Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Bergamo il 28.5.1892, aggiustatore meccanico, antifascista, definito anarchico dagli apparati polizieschi dello Stato. Figlio di un imbianchino, si sposa a Bergamo il 3.11.1917 con Pietra Angela Battaglia, dalla quale ha 3 figli: Alcide, Vaigro, Egidio. Dal suo foglio matricolare, conservato nel fondo Ruoli Matricolari del Distretto Militare presso l’Archivio di Stato di Bergamo, risulta che, benché nato nel 1892, si arruola volontario come allievo carabiniere a piedi per svolgere il servizio militare con la classe di leva 1891, cioè un anno prima di quanto previsto di norma, grazie al fatto che il padre fornisce il necessario consenso, dichiarato il 12.2.1911. Fatutti viene incorporato per una ferma di 5 anni a partire dal 25.4.1911, come risulta dal suo foglio matricolare n. 30147. Diviene a tutti gli effetti un carabiniere a piedi dal 30.11.1911 e il 9.12.1911 viene assegnato alla legione dei Cc di Milano. Il 22.9.1912, tuttavia, viene mandato come rivedibile al Corpo di appartenenza di Milano per una patologia al ginocchio destro (gonartrosi). In seguito a visita medica del 18.10.1912 all’ospedale militare del capoluogo lombardo, viene riformato il 20.10.1912, con un anticipo di 4 anni rispetto ai termini di leva inizialmente previsti. Ciononostante, dopo l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, nell’estate del 1915 si arruola volontario nell’esercito e viene incorporato nella Ia Compagnia Volontari nel Battaglione ‘Morbegno’ del 5° Reggimento Alpini della Brigata Alpina ‘Julia’, attiva nella zona dell’Ortles-Cevedale e del Tonale. Il Battaglione combatte per la prima volta sull'Adamello il 9.6.1915, poi sull' Ortigara e sulla Bainsizza. Il momento più significativo, che porta al conferimento al Battaglione della medaglia d’argento al valor militare, è la battaglia per contrastare la Strafexpedition austriaca, combattuta sull’altipiano di Asiago (Vi), a Monte Fior e Castelgomberto, tra il 5 e l’8.6.1916, dove gli alpini del ‘Morbegno’ tengono la posizione, impedendo agli austriaci di scendere dall’altopiano ma pagando il prezzo di numerose vite. Il 23.11.1917, però, Fatutti viene riformato anche dal corpo degli Alpini. Consultando la lista di leva del Municipio di Bergamo dell’anno 1892, anche questa conservata presso l’Archivio di Stato di Bergamo, la ragione del suo esonero è scritta sul suo stato di servizio in questi termini: “Riformato per provata e documentata imbecillità”. Purtroppo questa è l’unica annotazione che lo riguardi, dato che non vengono riportati fatti o episodi che servano a chiarire i suoi comportamenti e le ragioni di un giudizio come quello appena riportato.
Nell’aprile 1923 emigra in Francia, recandosi in Alsazia e Lorena, a Baroncourt (dipartimento Mosa, regione Lorena), dove trova lavoro come meccanico nelle locali miniere di ferro, ma vi rimane pochi mesi. Trovandosi isolato e non conoscendo il francese, rientra a Bergamo nel novembre 1923. In città rimane un anno, fino al novembre 1924, quando emigra di nuovo, questa volta per la Svizzera italiana, a Viganello di Lugano, grazie all’appoggio fornitogli dal cognato Clovis Tarabola, marito di sua sorella Ida, commesso viaggiatore di oggetti di cancelleria e ufficiale della riserva. Nel 1925 lo raggiunge la moglie, a sua volta compresa nell’elenco di sovversivi. Nell’anno 1926 risulta tra gli abbonati della rivista di Ginevra «Il Risveglio anarchico». Dal 4.2.1927 al 13.7.1929 lavora a Lugano come fabbro presso la ditta degli eredi di Domenico Franzi.
Fatutti comincia ad essere tenuto d’occhio dalle autorità fasciste di polizia in seguito ad una segnalazione di Canuto Rizzatti, prefetto di Como dal giugno 1928 all’aprile 1931. Questi, in una relazione inviata il 28.3.1930 alla Direzione Generale della Ps – Divisione Affari Generali e Riservati del Ministero dell’Interno, al Cpc e alle Prefetture di Varese, Pavia e Bergamo, nel fornire informazioni su alcuni antifascisti italiani residenti a Lugano e dintorni, in particolare su Ambrogio Cattaneo, figura ambigua che in precedenza aveva venduto informazioni al Consolato italiano e al prefetto di Varese, cita anche Tarabola e Fatutti. Di quest’ultimo scrive che “è della stessa risma degli altri due e per di più nutre sentimenti sovversivi, è dedito all’alcool ed è capace di losche speculazioni, pur di trarne guadagno”, rinviando però, per maggiori informazioni, al prefetto di Bergamo.
Il 13.5.1930 la Direzione Generale della Ps – Divisione Affari Generali e Riservati del Ministero dell’Interno trasmette alla Prefettura di Bergamo una lettera raccomandata con informazioni fornite da un anonimo informatore fascista del Consolato italiano di Lugano. Le informazioni riguardano in particolare Tarabola, segnalato come sospetto “che spesso a ora assai tarda arriva in automobile in compagnia di certo Fatutti davanti all’abitazione di quest’ultimo in territorio di Viganello, località della ‘La Santa’ sulla linea ferroviaria Lugano-Viganello. Il Fatutti è noto come uno dei più sfegatati socialcomunisti. Bergamasco d’origine, lavorava nelle officine metallurgiche Fratelli Franzi da dove fu allontanato bruscamente per il suo contegno. Ora, apparentemente, non ha nessuna occupazione e vive bene perché anche la moglie ha abbandonato il suo mestiere di donna di fatica presso famiglie private. Lo si vede a tutte le manifestazioni socialcomuniste ed antifasciste, compreso le conferenze della ‘Romeo Manzoni’. Ha circa trent’anni e, come segno particolare, un occhio difettoso, da parere quasi guercio”. Effettivamente nel 1930 Fatutti lascia la ditta Franzi, ma non è chiaro se sia stato licenziato o se ne sia andato di sua spontanea volontà, come in seguito affermerà lui stesso. Di fatto, poco tempo dopo viene assunto dalla ditta Bertoglio di Viganello, dove rimane fino alla fine del 1930, quando torna a lavorare da Franzi. Nel corso di quell’anno si era recato a Basilea, ma sulle ragioni di questo viaggio vi sono due versioni diametralmente opposte, quella del Cpc e della Prefettura di Bergamo da un lato e, dall’altro, quella dello stesso Fatutti. Secondo la prima, Fatutti si sarebbe recato a Basilea per ragioni politiche su incarico della concentrazione antifascista parigina, ed è per questo che la Questura di Bergamo, considerandolo un attivo oppositore, richiede la sua fotografia. La versione di Fatutti, invece, contenuta nel verbale del suo interrogatorio nel dicembre 1936 presso la Questura di Bergamo, smentisce le ragioni politiche del viaggio a Basilea. Parlando infatti del suo lavoro presso la ditta Franzi, Fatutti osserva che “mentre ero alle dipendenze della Ditta predetta, fui da questa inviato a Basilea per il collocamento di una saracinesca ad un garage, di cui non ricordo il nome (…) nego formalmente di essere stato alla dipendenza della concentrazione antifascista di Parigi, dalla quale non ho avuto incarichi di sorta”.
Nel 1932, con il n° 32225, viene iscritto nella RF come anarchico. Nell’aprile 1932 risulta essere tornato da Basilea a Lugano, senza riprendere impiego presso la ditta Franzi, dove lavorava in precedenza. Si incontra con il socialista Angelo Tommaso Tonello e il repubblicano Randolfo Pacciardi, antifascisti rifugiati in Svizzera. Nel settembre 1933 è sempre a Lugano e, secondo un’informativa che il Consolato Generale di Lugano trasmette il 25.8.1933 al Cpc, e questo il 10.9.1933 al prefetto di Bergamo, Fatutti “è tuttora membro della Colonia proletaria Italiana di Lugano e frequenta ambienti sovversivi ed antifascisti, senza peraltro esplicare attività degna di nota”. L’attenzione nei confronti di Fatutti si fa più marcata quando, nell’ottobre 1933, il Ministero dell’Interno trasmette alle Questure italiane, tra le quali quella di Bergamo, una segnalazione relativa ad alcuni antifascisti presenti in Svizzera e in contatto con il “noto pericoloso repubblicano Pacciardi Randolfo”, legato al direttore di «Libera Stampa», il socialista e deputato al Gran Consiglio ticinese Amilcare Gasparini (1888-1943). Compaiono così i nomi di Livio Bertini, di Giovanni Schmidt, del luganese Pietro Spinzi, del ‘pericoloso’ socialista Giuseppe Faravelli (1896-1974), soprattutto dell’elettricista repubblicano e poi giellista Bruno Lugli (nato il 21.7.1901 a Trasanni, provincia di Urbino, e morto il 16.7.1937 in Spagna, a Villanueva del Pardillo, come volontario antifranchista), legato a Pacciardi, Lussu e Rosselli, rifugiatosi clandestinamente in Svizzera nel 1932, che si fa chiamare De Maria, espulso dalla Svizzera nel novembre 1935. Tra questi nomi compare anche quello di Fatutti ed è per questo che l’informativa ministeriale viene trasmessa anche alla Questura di Bergamo la quale, a sua volta, il 24.10.1935 la trasmette al comando dei Cc di Bergamo, al comando della 14a legione della Mvsn di Bergamo, ai Commissariati di Ps di Città Alta e di Treviglio e agli agenti della squadra politica della Questura stessa. Nel testo dell’informativa Fatutti viene definito “iscritto rubrica di frontiera per perquisizione et segnalazione, indicato quale elemento anche moralmente losco et capace prestarsi per azioni delittuose”. Insieme a Fatutti vengono segnalati anche il cognato e la nipote di Fatutti, cioè Clovis Tarabola, detto Gino, e sua figlia Bianca, la quale “farebbe frequenti viaggi da Lugano a Milano ove avrebbe contatti con persone politicamente sospette”. I nomi indicati vengono segnalati all’attenzione delle relative Questure perché “data pericolosità notoria elementi su indicati può presumersi che venga premeditata attuazione qualche disegno del quale ignorasi gravità (..) è necessario quindi che in previsione prossime cerimonie 28 ottobre et 4 novembre, sia intensificata al massimo vigilanza anche sui treni specie frontiera Svizzera e Francia”.
Il Consolato Generale italiano di Lugano il 18.11.1935 rilascia a Fatutti un passaporto valido per un anno e solo da e per la Svizzera. Due giorni dopo, il 20.11.1935, si presenta al valico di confine di Ponte Chiasso per entrare in Italia, dove viene arrestato. Trasferito a Bergamo a disposizione della Questura, gli viene ritirato il passaporto. La settimana successiva, il 27.11.1935, in vista dell’interrogatorio a cui Fatutti deve essere sottoposto a Bergamo, è il Cpc che da Roma invia al prefetto di Bergamo un elenco di accuse da contestargli e sulle quali interrogarlo: 1. essere stato alle dipendenze della Concentrazione antifascista di Parigi, dalla quale avrebbe avuto incarichi da svolgere a Basilea; 2. avere mantenuto da Basilea stretti rapporti con i centri antifascisti di Parigi e Lugano; 3. avere mantenuto contatti con noti antifascisti residenti in Svizzera come Giuseppe Faravelli, Randolfo Pacciardi, Bruno Lugli, Domenico Visani e Angelo Tonello; 4. essere stato sussidiato agli inizi del 1934 da un ente cantonale presieduto da Bruno Lugli e avere avuto aiuti economici anche da Luigi Mainetti, insieme ai quali avrebbe preso parte attiva ad aggressioni a fascisti svizzeri a Bellinzona; 5. avere pubblicato un trafiletto sul n° del 9.2.1935 di «Libera Stampa» nella quale smentisce l’accusa di essere un fascista e si proclama antifascista.
L’interrogatorio si svolge in Questura a Bergamo in due distinte occasioni nel corso del mese di dicembre, nel corso delle quali gli vengono contestate tutte le accuse formulate nell’informativa trasmessa dal Cpc. Fatutti risponde ritenendo le accuse che gli vengono rivolte come l’effetto di un “alterco da me avuto con un individuo svizzero, il quale, in un’osteria, essendo stato da me percosso con due o tre pugni, ebbe a dire, con altre persone, che nel caso che io fossi ritornato in Italia, mi avrebbe aggiustato per le feste”. Afferma di conoscere Pacciardi e Tonello solo di vista, dichiara che, essendo fabbro, ha avuto contatti solo per ragioni professionali e non politiche con Visani, segretario della federazione dei metallurgici, nega di conoscere Faravelli e Lugli e nega anche di aver assistito alle conferenze tenute dall’associazione culturale ‘Romeo Manzoni’ anche per via della sua sordità, dice di avere conosciuto Mainetti per aver eseguito su sua commissione lavori in ferro senza nemmeno essere stato pagato, e aggiunge di non sapere niente di aggressioni contro fascisti svizzeri e, quanto al suo trafiletto su «Libera Stampa» del 9.2.1935, lo definisce apocrifo perché, essendo stato accusato di essere una spia fascista, era stato subito licenziato dalla ditta per la quale lavorava e perciò, “per non subire tutti i comprensibili danni derivanti dalla disoccupazione, mi limitai a chiarire, ai dirigenti di detto giornale, di non essere mai stato una spia, ciò che li autorizzò a pubblicare la nota dichiarazione che io non ho nemmeno letta”.
La Questura di Bergamo, non convinta delle risposte di Fatutti, pochi giorni dopo la interroga una seconda volta sulle stesse questioni. Nel secondo verbale Fatutti si mostra contrariato di essere stato riconvocato: “All’insistenza con la quale mi viene addebitata un’attività sovversiva all’estero, debbo ancora una volta affermare di non aver partecipato mai a manifestazioni politiche di qualsiasi genere, anche perché la mia persona non era in grado di apportare alcun contributo alla causa comunista, sia per la mia accentuata sordità e sia per la scarsa cultura”. In generale, a ciascuna delle accuse risponde sminuendo la valenza politica dei contatti con gli antifascisti che gli vengono citati, riconducendoli a motivi legati al suo lavoro, oppure ridimensionandone il significato, come nel già citato caso del trafiletto pubblicato su «Libera Stampa», oppure negando decisamente l’addebito, come nel caso dell’accusa di esser stato al servizio della Concentrazione antifascista di Parigi o di aver partecipato all’aggressione di alcuni fascisti svizzeri. Ammette di aver conosciuto Luigi Mainetti, che definisce “acceso socialista” e del quale dice che “non trascurava di affermare, nei suoi discorsi, che in Italia si vive sotto un regime di terrore; e ciò egli dichiarava non solo da quanto aveva appreso da quelli che ritornavano dall’Italia, ma anche perché se ne era personalmente reso conto durante i ripetuti viaggi che egli faceva nel Regno”. Infine, oltre ad affermare di non aver avuti altri contatti, nega di aver frequentato la Colonia proletaria italiana di Lugano. Dopo questi interrogatori, il 28.12.1935 il questore di Bergamo scrive un rapporto al prefetto, presidente della Commissione Provinciale per il confino di polizia, nel quale mostra di non credere ad una sola parola delle risposte di Fatutti, riconfermando invece tutte le accuse contenute nell’informativa ministeriale del 27.11.1935 giunta dal Cpc e sopra citata. Fatutti viene definito un “antifascista pericoloso”, che “risiedette parecchi anni a Lugano e fu membro di quella colonia proletaria, dimostrandosi acceso antifascista col prendere parte attiva ad aggressioni contro fascisti svizzeri, aggressioni verificatesi a Bellinzona alla fine del 1934. Fu anche alle dipendenze della Concentrazione antifascista di Parigi, dalla quale ebbe incarichi di fiducia da espletare a Basilea, dove il Fatutti si trasferì nel 1930, lasciando la famiglia a Lugano. Da Basilea si mantenne in stretti rapporti con i centri sovversivi di Parigi e Lugano. Essendo disoccupato, verso i primi dell’anno 1934, fu sussidiato dall’ente cantonale presieduto da un noto sovversivo italiano ricevendo anche aiuto da altri compagni di fede. A conferma del suo livore antifascista sta una sua dichiarazione apparsa sul periodico «Libera Stampa» in data 8 febbraio 1935, che è del seguente tenore: «Venuto a conoscenza, forse un po’ tardi, ma sempre in tempo per difendermi, di una calunnia divulgata contro di me secondo la quale sarei stato licenziato dall’Impresa dove lavoravo perché trovato in possesso di una tessera di adesione al fascio, sfido tutti i dipendenti della detta Impresa e particolarmente il vile calunniatore, a confermare davanti a me e alla Direzione dell’Impresa la ignobile calunnia. Convinto antifascista Fatutti Italo». Nello scorso novembre, per fini non bene accertati, egli rimpatriò, ma all’atto del suo ingresso nel Regno fu fermato e tradotto a Bergamo a disposizione di questo Ufficio. Nell’interrogatorio reso, il Fatutti mostrò reticenze per quanto riguardava gli addebiti di antifascismo, convincendo ancor più come le notizie fiduciarie pervenute sul suo conto fossero veritiere. Per i suesposti motivi, ritenendo il Fatutti Italo elemento da sottoporre a particolare vigilanza, lo denunzio per l’assegnazione al Confino”.
Detenuto nelle carceri giudiziarie di Bergamo, il 3.1.1936, su carta intestata ‘Ospedale Psichiatrico provinciale di Bergamo - Direzione medica’, prot. n. 18, a firma del direttore si dichiara che Italo Fatutti tra il 1913 e 1921 è stato ricoverato quattro volte in cura per ‘imbecillità’ (dal 16.11.1913 all’1.3.1914; dal 20.3.1914 al 23.4.1914; dal 2.9.1914 al 21.10.1914; dal 16.6.1921 al 16.7.1921) e che soffre di epilessia. Il giorno dopo, 4.1.1936, il capitano Giuseppe Porta dei Cc della compagnia di Bergamo invia alla Questura un rapporto su Fatutti, nel quale è evidente la volontà di colpirne l’antifascismo denigrandolo sul piano umano e forzando i dati di realtà. Definito infatti come “irriducibile nemico del Regime Fascista”, Fatutti viene descritto come persona “affatto amante del lavoro, trascorre il suo tempo nell’ozio e nel vagabondaggio, spesso allontanandosi da Bergamo, evidentemente per svolgere la sua equivoca e malefica attività”. Non è difficile cogliere nell’ultima frase un elemento contro-fattuale: Fatutti ha lasciato Bergamo nel 1923, riornandovi in stato di arresto nel dicembre 1935, quindi è falsa e pretestuosa l’affermazione sul suo periodico allontanarsi da Bergamo e vagabondare. La conclusione del rapporto è del tutto coerente con le premesse: “La sua presenza in Bergamo costituisce una continua minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica, per cui si impone nei suoi riguardi un provvedimento di polizia in modo da metterlo nell’impossibilità di nuocere alla società ed alla Nazione, essendosi appalesato elemento molto pericoloso in linea politica, come tale capace financo di organizzare imprese criminose miranti a sovvertire gli ordinamenti politici statali. Lo si propone pertanto per il confino di polizia”.
Pochi giorni dopo ancora, il 12.1.1936, su apposito modulo della ‘Direzione delle Carceri Giudiziarie di Bergamo’, Fatutti si rivolge al commissario di Ps perché, dopo 50 giorni di carcerazione, è ancora all’oscuro della sua sorte e chiede di sapere che cosa lo aspetta. Il 20.1.1936 la Commissione Provinciale lo condanna al confino per 3 anni, fino al 19.11.1938. Sua madre, Giuditta Palazzi, presenta ricorso contro la sentenza, ma il 10.2.1936 la Questura di Bergamo, su indicazione del Cpc, respinge l’istanza specificando che il ricorso dev’essere presentato dallo stesso confinato e non dalla madre. Fatutti viene tradotto a Ponza, dove arriva il 29.1.1936. Pochi mesi dopo, il 31.5.1936, l’Alto Commissario di Napoli si rivolge al Ministero dell’Interno trasmettendo l’istanza di liberazione dal confino, avanzata da Fatutti firmando il suo atto di sottomissione a Mussolini. Nell’informativa da Napoli si aggiunge che “Fatutti, che trovasi a Ponza confinato dal 29 gennaio 1936, per i primi giorni ha frequentato la compagnia dei confinati comunisti, ma da due o tre mesi si è appartato dagli altri confinati e non dà luogo a rilievi con la propria condotta politica”. Il Ministero dell’Interno l’8.6.1936 inoltra alla Prefettura di Bergamo una copia di quanto è stato trasmesso da Napoli, chiedendo il parere sull’opportunità o meno di concedere il proscioglimento dal confino. Il parere da Bergamo è favorevole e il 21.9.1936 viene firmato l’atto di clemenza di Mussolini con il quale viene concesso il proscioglimento. Il 23.9.1936 Fatutti viene liberato e inviato a Bergamo, dove però non ha occupazione e nemmeno casa, dato che la sua famiglia risiede ancora in Svizzera. Così, il 29.9.1936 da Bergamo scrive al questore locale una lettera autografa nella quale chiede che gli venga riconsegnato il passaporto perché “qui non tengo casa, non ho nessuna speranza per il momento di una probabile occupazione. Mi trovo in questi giorni ospitato in casa di mio cognato, il che anche per lui rimane troppo gravoso avendo già a suo carico mia mamma e un mio figlio di circa diciotto anni anch’esso disoccupato. Questa mia insostenibile situazione mi fa sperare nella di Lei clemenza di poter ottenere la grazia di poter vedere, dopo un ben meritato esilio di un anno mia moglie e altri due miei figli uno di quindici anni e l’altro di otto che risiedono in Giubiasco”.
Il 10.9.1936, cioè pochi giorni prima di essere scarcerato, il Cpc aveva informato il prefetto di Bergamo che sul giornale di Lugano «Avanguardia» era comparsa la notizia che un figlio di Fatutti era stato arrestato per furto e che il padre, appunto Italo Battista Fatutti, a suo tempo era stato espulso dal territorio svizzero, anche se nei giorni successivi lo stesso giornale aveva dovuto pubblicare la smentita di tale informazione per l’intervento della ‘Colonia proletaria italiana’ di Lugano. A questo proposito, il Cpc così commenta nella citata informativa al prefetto di Bergamo: “Tutto ciò conferma ancora una volta l’antifascismo del Fatutti del quale – se così non fosse – la ‘colonia proletaria italiana’ non si sarebbe curata”. Inoltre, ricapitolando in sintesi la militanza antifascista di Fatutti, aggiunge che questi “fu al servizio della concentrazione finché questa esistette; frequentò assiduamente a Lugano la redazione di «Libera Stampa», ed ebbe contatti ed intese di natura politica con i più noti e pericolosi esponenti del fuoruscitismo, nonché con elementi di spiccati sentimenti antifascisti”.
Il 5.10.1936 una lettera su carta intestata ‘Associazione Nazionale Volontari di Guerra 15 - 18 Sezione Francesco Nullo Bergamo’ viene firmata dal ‘Cav. Uff. Prof. Alcide Rodegher T. Colonnello degli Alpini’, il quale chiede al questore Simoni di fare in modo che “il nostro Volontario di Guerra Fatutti Italo che ha la famiglia in Giubiasco - Canton Ticino - possa al più presto ottenere il passaporto per raggiungere la famiglia stessa”.
Alcide Giulio Raffaele Rodegher, nato a Romano di Lombardia (Bg) il 7.2.1885, primo degli 8 figli di Emilio e Libera Vittoria Luini, nel 1920 era stato fra i fondatori del Circolo Filatelico Bergamasco e con il padre nel corso degli anni Venti aveva pubblicato importanti contributi botanici sulla flora alpina bergamasca, raccogliendo anche un notevole erbario, ora all’Università di Pavia. Collaboratore della «Rivista di Bergamo», poi insegnante di ‘Cultura militare’ presso il liceo-ginnasio ‘Paolo Sarpi’ di Bergamo e poi nel 1950 segretario a Bergamo del Partito Nazionale Monarchico, dal 1922 al 1925 era stato presidente della sezione di Bergamo dell’ANA – Associazione Nazionale Alpini, perché durante la prima guerra mondiale, da tenente, comandava la I Compagnia Volontari Alpini del Battaglione ‘Morbegno’ del 5° Alpini provenienti da Bergamo, dove si era arruolato Fatutti. Il rapporto tra i due deve essere stato assai buono, dato che Fatutti ha poi voluto chiamare uno dei suoi figli con il nome del proprio comandante, Alcide, e si capisce allora perché Fatutti si sia rivolto a lui come intermediario per ottenere dalla Questura di Bergamo il rilascio del passaporto. Il rapporto con Rodegher aiuta forse a precisare meglio anche un’altra vicenda della vita di Fatutti, citata nel Cantiere biografico degli Anarchici IN Svizzera, dove si trova un sintetico profilo biografico dedicato a Fatutti, del quale si scrive che “nel corso della Prima guerra mondiale viene espulso dall'arma dei carabinieri per aver sparato contro superiori e colleghi, poi ricoverato in manicomio”. Come abbiamo visto, Fatutti è stato nei carabinieri tra il 1911 e il 1912, ma non durante la prima guerra mondiale, dov’era arruolato tra gli alpini. Pertanto, se l’episodio è effettivamente avvenuto tra i carabinieri, non è stato durante la guerra, e se è avvenuto durante la guerra, non solo non è stato tra i carabinieri, ma è anche molto difficile credere che Rodegher, il suo comandante di chiara collocazione monarchica, si sarebbe dato da fare per lui presso l’autorità prefettizia se Fatutti avesse davvero rivolto un’arma contro commilitoni e ufficiali. Il fatto è, purtroppo, che in nessuno dei due registri militari da noi consultati, quello dedicato al servizio di leva volontaria svolto presso i carabinieri e quello relativo alla sua partecipazione alla prima guerra mondiale, compare il benché minimo cenno di insubordinazione a mano armata da parte sua, fatto gravissimo, che avrebbe comportato conseguenze altrettanto gravi. Non si può nemmeno escludere che l’essere stato riformato così presto durante il servizio militare presso i carabinieri dipenda all’episodio citato, forse taciuto in quanto tale e coperto dalla dichiarazione di un malanno fisico in considerazione delle condizioni psicologiche di Fatutti. Si tratta però, va ribadito, di mere congetture. Di fatto Fatutti, grazie alla mediazione di Rodegher, ottiene il passaporto, la cui scadenza è il 18.11.1936. Agli inizi di novembre 1936 torna in Svizzera e, prima di giungere il 3.11.1936 a Giubiasco dove risiede la sua famiglia, si ferma a Lugano. Da qui in poi, la precisa determinazione dei suoi spostamenti è decisiva per comprendere meglio le ragioni dei suoi comportamenti. Sulla base delle informazioni fornite dal Dipartimento di Giustizia e Polizia di Ginevra, nel gennaio 1938 il Consolato Generale italiano di Ginevra ricostruisce infatti gli spostamenti di Fatutti a partire dal 15.11.1936, quando lascia la Svizzera per cercare lavoro, recandosi in Francia e, attraverso la Francia, in Spagna. Già poche settimane dopo rientra in Svizzera da Ginevra, dove viene arrestato il 5.1.1937 alla stazione ferroviaria Cornavin mentre sta per partire per il Canton Ticino. La ragione dell’arresto sta nel fatto che Fatutti era stato espulso dalla Svizzera con un decreto formale del 6.3.1936, cioè quando si trovava al confino in Italia, pertanto il decreto di espulsione era ancora pendente. La motivazione dell’espulsione è la seguente: “dedito al vino, di carattere violento ed irrispettoso verso le Autorità e le persone, non osserva le leggi. Straniero indesiderabile”. In conseguenza dell’arresto, il Tribunale di Polizia di Ginevra l’11.1.1937 lo condanna a 6 giorni di prigione per infrazione alla legge relativa al soggiorno degli stranieri e dopo la reclusione viene riaccompagnato alla frontiera francese.
Dalla Francia, tuttavia, Fatutti rientra subito in Svizzera. Pertanto, da quando esce dal territorio elvetico il 15.11.1936 a quando vi rientra nei primi giorni del gennaio 1937, passa un mese e mezzo, periodo durante il quale è in Francia, poi in Spagna e poi di nuovo in Francia. Si tratta di un breve lasso di tempo, nel quale, sia pure per poco tempo, entra nella vicenda della guerra di Spagna. É lo stesso Fatutti che nel gennaio 1937, al rientro dalla Spagna, ricostruisce in breve quei giorni al Consolato generale italiano di Lugano. Racconta infatti che al termine del periodo del confino, torna in Svizzera ma è disoccupato e senza risorse. Allontanato dalla polizia, parte in cerca di lavoro recandosi a Basilea, dove trova impiego presso il garage Boeker. Dopo pochi giorni, però, la polizia lo allontana anche da Basilea. Un operaio del garage di Basilea gli consegna allora un biglietto con l’indirizzo di un fabbro di nazionalità svizzera che risiede a Mulhouse, ma anche da qui viene allontanato dalla polizia francese perché privo di un regolare permesso di lavoro. Si trasferisce allora a Parigi, dove si mette in contatto con il bergamasco Pasquale Martinelli (b. 61), originario di Pianico (Bg) e da lui conosciuto circa 20 anni prima a Lovere (Bg). Martinelli a Parigi gestisce il ristorante Franco-Italiano e riesce a trovargli un lavoro come meccanico automobilistico in un vicino garage gestito da un certo Porzio. Anche in questo caso, senza il relativo permesso, dopo soli sette giorni viene privato del lavoro e diffidato dalla polizia. Nella capitale francese viene ingaggiato dal mantovano Luigi Menoghi per un lavoro a Barcellona, dove deve presentarsi al Comitato nazionale trasporti come meccanico automobilistico, con la promessa verbale di un compenso di cento pesetas al giorno, che in realtà diventano dieci, corrisposte da un Comitato regionale italiano diretto dall’anarchico abruzzese Giuseppe Bifolchi. Secondo il rapporto del 22.1.1937 del Consolato italiano, Fatutti “ebbe occasione di constatare gli orrori della situazione; gli anarchici del gruppo italiano di cui sarebbe stato capo il Bifolchi erano in piena lotta con gli italiani aderenti al gruppo ‘Giustizia e Libertà’ capitanato dal noto Rosselli. Fu maltrattato e corse pericolo di essere fucilato come spia e si risolse a fuggire. Riuscì infatti a passare la frontiera francese e poi quella svizzera a Ginevra, dove fu arrestato e detenuto qualche giorno poi ritornò a Bellinzona”. Le dichiarazioni di Fatutti e lo stesso rapporto del Consolato minimizzano il significato della sua presenza in Spagna, che in effetti è durata pochissimo. A questo proposito, il suo nome compare in un elenco di volontari per la Spagna del cui reclutamento si è occupata ‘Giustizia e Libertà’. Tale informazione deriva dall’intercettazione di una lettera non firmata, scritta da Parigi il 9.12.1936 e indirizzata al genovese Enrico Giussani, aiutante di Carlo Rosselli nella costituzione dei diversi scaglioni che progressivamente vanno a costituire la ‘Colonna Rosselli’. Alla lettera sono infatti allegati elenchi di volontari che devono raggiungere la colonna sul fronte aragonese e il nome di Fatutti compare nell’elenco dei 27 uomini del 7° scaglione, presi in forza il 28.11.1936.
Secondo le fonti di polizia, al suo ritorno in Svizzera Fatutti si sarebbe fermato a Lugano per recarsi presso gli uffici di «Libera Stampa», ma è lo stesso Consolato Generale italiano di Lugano che il 22.1.1937 smentisce tale ipotesi, informando il Cpc e il prefetto di Bergamo che Fatutti “a Lugano fece soltanto una breve sosta alloggiando all’Albergo Melios ed è da escludersi, secondo informazioni assunte, che abbia avuto contatti di qualche importanza col giornale «Libera Stampa» e che sia andato sparlando dell’Italia; risulta che esso ebbe a dichiarare di non intendere più occuparsi di politica”. Inoltre, prosegue l’informativa del Consolato, dato che su di lui pendeva il decreto di sfratto, Fatutti “si è presentato alla R. Agenzia Consolare a Bellinzona e a questo Consolato Generale per rientrare in Italia, ma vorrebbe essere rassicurato di non venire arrestato rientrando nel Regno”. Nella sua nota il Consolato si dichiara incompetente a fornire la garanzia richiesta da Fatutti, perciò rimette la questione al Ministero dell’Interno italiano e rileva che, a rigore, Fatutti avrebbe già contravvenuto alle disposizioni vigenti viaggiando per Francia e Spagna con un passaporto scaduto e comunque non valido per i paesi citati, aggiungendo però di non sapere se, “per il fatto di essersi recato in Ispagna a servizio dei rossi il Fatutti sia incorso in un reato e se per questo o per altre ragioni egli debba essere arrestato”.
Il 12.2.1937 il Cpc comunica al prefetto di Bergamo, al Consolato generale d’Italia a Lugano, alla R. Legazione a Lugano e al Ministero degli Esteri che Fatutti può entrare liberamente nel regno, non esistendo nei suoi confronti provvedimenti restrittivi della libertà personale. Nell’aprile 1937 le autorità svizzere presentano una nuova ingiunzione di sfratto a Fatutti, che tramite l’avvocato Antognini di Bellinzona presenta ricorso, che però non ha esito favorevole. In quei mesi, sono le vicende della guerra civile spagnola e, in essa, il ruolo svolto dagli antifascisti italiani, a costituire una delle principali preoccupazioni degli apparati diplomatici e polizieschi del regime fascista. Il 29.5.1937 il Cpc si rivolge al prefetto di Bergamo informandolo del fatto che, “secondo informazioni confidenziali”, Fatutti sarebbe stato arrestato a Basilea – in realtà, come detto in precedenza, l’arresto avviene a Ginevra – e, a seguito della perquisizione personale, sarebbe stata trovata corrispondenza spedita da una persona che si firma ‘Alcide’, il quale “dal contesto della corrispondenza stessa risulterebbe combattente nelle milizie del fronte popolare spagnolo. Interrogato in proposito, il Fatutti Italo avrebbe dichiarato che questo ‘Alcide’ sarebbe un suo fratello allontanatosi dall’Italia appositamente per andare in Spagna ad arruolarsi tra i rossi”. Si tratta di informazioni fornite da una spia fascista, che vanno considerate con molta cautela. Comunque, il Cpc incarica la Prefettura di Bergamo di raccogliere tutte le informazioni possibili sul fantomatico Alcide Fatutti. Tuttavia, se Fatutti ha davvero parlato di questo suo fratello Alcide come di un volontario antifranchista in Spagna, da un lato ha mentito abilmente, perché aveva davvero un fratello di nome Alcide, nato a Bergamo il 6.8.1894, ma dall’altro lato e nello stesso tempo ha agito con superficialità, rischiando di farsi scoprire attraverso un semplice controllo anagrafico, perché Alcide Fatutti è morto all’età di 10 anni il 27.4.1904.
Dopo essere stato consegnato all’ufficio di Ps di Chiasso dalla gendarmeria svizzera perché espulso come indesiderabile, il 31.7.1937 Fatutti si presenta alla Questura di Bergamo con il foglio di via obbligatorio rilasciatogli il giorno prima dalla Questura di Como. Il 3.8.1937 la Prefettura di Bergamo informa il Cpc del suo rientro in Italia. Per il Cpc si tratta di un’occasione da sfruttare per avere informazioni sulla guerra di Spagna e il 17.8.1937 invia al prefetto di Bergamo una richiesta ben precisa: “si prega di interrogare l’anarchico in oggetto circa l’attività politica svolta all’estero, e i contatti avuti, nonché circa le vicende occorsegli nella Spagna rossa, ed ogni particolare che sia a sua conoscenza, in merito ai sistemi usati, sull’attività svolta dalle autorità rosse spagnole”. Il 5.9.1937 Fatutti viene a lungo interrogato in Questura a Bergamo dal commissario di Ps Luigi Prato. Nelle sue risposte a proposito delle sue esperienze all’estero ribadisce in sintesi quanto già da lui dichiarato in occasione degli interrogatori del dicembre 1935, soffermandosi anche su aspetti che nelle risposte del dicembre 1935 aveva taciuto, oltre naturalmente a parlare della sua esperienza in Spagna, sulla quale aggiunge ulteriori particolari rispetto a quanto aveva già dichiarato al Consolato Generale italiano di Lugano al momento del suo rientro dalla Sagna. Emerge così che, una volta ricevuti da Luigi Menoghi i documenti per l’ingresso in Spagna, il gruppo di Fatutti parte da Parigi il 28.11.1936 e valica il confine franco-spagnolo a Portbou, dove al posto di polizia c’è il commissario politico della colonna italiana Ernesto Bonomini, nato a Pozzolengo (Bs), che nel 1924 a Parigi aveva ucciso il dirigente fascista Nicola Bonservizi. Una volta ritirati i documenti di ingresso in Spagna avuti a Parigi, il gruppo viene accompagnato a Barcellona e alloggiato in una caserma comandata dal ferroviere anarchico bolognese Lorenzo Giusti (ACS, Cpc, b. 2464). A Fatutti viene consegnato un cartoncino rosa con la scritta ‘meccanico’ e portato a lavorare in un’officina di riparazione di automobili della CNT – Confederación Nacional del Trabajo, dove lavora per circa 33 giorni per molte ore al giorno, vigilato da miliziani armati, mentre mangia e dorme nella caserma. Nella nuova situazione si trova molto a disagio e teme anche per la sua vita: “non andavo mai a spasso. Una sera mi permisi di andare al cinematografo, cioè al teatro, ma fui spaventato da certe scene per cui non mi permisi più di uscire. Quella sera al teatro, ad un certo punto furono spente le luci, poi i miliziani con le lampadine tascabili identificavano le persone designate, le facevano uscire dal locale e le fucilavano. Detti miliziani erano tutti spagnoli e giovani dai 17 ai 20 anni”. Chiede di nuovo i documenti per poter lasciare la Spagna e quando li riceve fugge dopo tre giorni, rientra in Francia e si dirige, come già detto, a Ginevra. Alla domanda sugli italiani che ha conosciuto a Barcellona, risponde dicendo che “ricordo un certo Vitali, bergamasco, che ha la moglie ad Algeri. Egli disse che faceva parte del gruppo di assalto e che era ritornato in permesso dal fronte del Cimitero di Huesca”. Sono proprio i nomi fatti nelle sue risposte che consentono di ritenerlo sincero. Gli incarichi degli italiani antifranchisti da lui citati corrispondono al loro effettivo ruolo, che Fatutti non poteva certo inventarsi. A maggior ragione ciò vale per i due bergamaschi citati, Martinelli e Vitali (b. 105). Sono proprio le informazioni raccolte in precedenza su di loro dalla polizia fascista nei rispettivi fascicoli, conservati nell’Archivio di Stato di Bergamo e al Cpc, a confermare le dichiarazioni di Fatutti. Nel contesto della sua breve esperienza spagnola, trascorsa per lo più a Barcellona, resta da spiegare la fugace presenza di Fatutti a Huesca, segnalata dalla bella e accurata ricerca su Fatutti compiuta da Gabriele Rossi, Biografemi, in via di pubblicazione a cura della Fondazione Pellegrini Canevascini di Bellinzona. Considerato che il periodo in questione è il dicembre 1936, è da escludere una sua partecipazione a rilevanti fatti militari. Area nevralgica del fronte aragonese, Huesca e il suo territorio erano stati teatro di intensi combattimenti tra franchisti e miliziani repubblicani nei primi mesi della guerra civile, quando Fatutti non era ancora in Spagna, e sarebbe stata coinvolta in un’importante battaglia nei mesi successivi, tra il giugno e il luglio 1937, quando Fatutti era da tempo tornato in Svizzera e stava per rientrare in Italia. Nel periodo intermedio, quello appunto della presenza di Fatutti, per la sua posizione geografica e per la prossimità a Saragozza (che non verrà mai presa dagli anti-franchisti), Huesca è comunque una città sulla linea calda del fronte aragonese e questo spiega anche la presenza di un gruppo d’assalto dei miliziani. Un’informazione interessante a questo proposito, contenuta nelle dichiarazioni di Fatutti, è quella che riguarda il suo incontro con l’anarchico bergamasco Guglielmo Vitali: “Fra gli italiani che ho conosciuti a Barcellona, ricordo un certo Vitali, bergamasco, che ha la moglie ad Algeri. Egli disse che faceva parte del gruppo di assalto e che era ritornato in permesso dal fronte del Cimitero di Huesca”. Vitali aveva lasciato Algeri per arruolarsi nelle milizie antifranchiste, era entrato in Francia e aveva raggiunto Perpignano, luogo di raccolta e smistamento di molti volontari, da dove il 6.12.1936 era partito per Barcellona. Vitali, pertanto, non può essere a Huesca prima della metà del dicembre 1936. Dunque, il suo incontro con Fatutti, che questi afferma essersi verificato a Barcellona durante una licenza di Vitali, può essere avvenuto solo dopo il rientro di Fatutti da Huesca e a ridosso della sua uscita dalla Spagna, cioè nell’ultima settimana del dicembre 1936. Escludendo dunque un suo impegno armato, è ragionevole ipotizzare che Fatutti fosse a Huesca proprio come meccanico addetto agli autoveicoli. Questa, però, rimane appunto un’ipotesi.
Il verbale dell’interrogatorio di Fatutti viene trasmesso al Cpc e, per un confronto, anche all’Ambasciata italiana di Parigi, che il 22.10.1937 invia il seguente dispaccio al Cpc (che ne trasmette copia alla Prefettura di Bergamo il 7.11.1937): “Questo Ufficio ritiene che le dichiarazioni del Fatutti siano sincere. Il commissario politico da lui nominato non è altro che il noto anarchico Bonomini Ernesto, uccisore di Nicola Bonservizi ed il Martinelli dovrebbe identificarsi col noto Martinelli Pasquale di Rocco e di Franini Maria, nato a Pianico il 5.4.96 noto reclutatore di volontari per Spagna qui residente al n° 6 della rue de Chalon, presso la Gare de Lyon (e non presso la Gare du Nord). Il Fatutti non ha qui esplicato attività politica”.
Nel novembre 1937 Fatutti abita a Bergamo con la famiglia in via Borgo Santa Caterina 68 e lavora presso le Officine Meccaniche Bergamasche Battagion. Dichiara di non voler più tornare in Svizzera, avendo venduto l’immobile che aveva a Giubiasco. La mattina del 21.5.1938 si presenta avvinazzato alla portineria delle Officine Meccaniche Bergamasche, dove inveisce contro la direzione dello stabilimento perché, per regolamento, lo avevano invitato a presentare certificato medico per giustificare un’assenza dal lavoro per malattia, pretende inoltre che la moglie del custode chiami il capo officina, minaccia altri dipendenti di passaggio in portineria, gridando che, come riferisce la Questura di Bergamo al prefetto il 28.6.1938, “non aveva paura di nessuno, perché non è come quei fascisti che gridano viva il Fascio anche se li lasciano morire di fame”. La proposta della Questura, in vista della riunione della Commissione Provinciale per giudicare il suo caso, è quella di infliggergli l’ammonizione. Invece, il rapporto dei Cc alla Questura, inviato il giorno dopo, firmato il 29.7.1938 dal capitano Giuseppe Passanisi, è più favorevole a Fatutti, ritenendo che “l’incidente sopra esposto sia dovuto ad un momento di esaltazione mentale. Infatti, il Fatutti, quando non è alterato dal vino, ed in piene facoltà mentali, non dà luogo a rimarchi di sorta. In considerazione di quanto sopra non si ritiene di doverlo proporre per un provvedimento di polizia, ritenendosi invece consigliabile l’eventuale suo ricovero in luogo di cura”. L’11.7.1938 viene ammonito dalla Commissione Provinciale, ma la condanna viene sospesa in attesa di un ulteriore rapporto dei Cc. Il 15.7.1938 la Questura di Bergamo si limita a diffidarlo. In seguito non ci sono rilievi ulteriori sul suo conto. Nel marzo 1940 lavora come aggiustatore meccanico presso lo stabilimento Fervet e risiede sempre in via Borgo Santa Caterina. Viene spesso segnalato come ubriacone. Nel giugno 1940 presenta domanda di iscrizione al Pnf, ma non ci sono riscontri sull’accettazione della domanda. Il 12.8.1947 viene inserito nell’elenco dei confinati politici durante l’ex-regime fascista con la qualifica di anarchico antifascista. Morto a Bergamo il 6.3.1977. Nel fascicolo sono conservate tre copie di una sua fotografia in duplice posa, scattata il 23.1.1936, una delle quali incollata sul foglio dactiloscopico. Sono inoltre presenti 5 copie di una sua fotografia di età precedente. Cpc, b. 1973, 1927-1940. (G. Mangini)