Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Trieste il 12.11.1906, sacerdote, antifascista. Sul piano fonetico, il cognome si pronuncia 'Bidovez'. Il padre, proprietario di un piccolo negozio di generi alimentari a Trieste, è nato in Slovenia, a Breznica, un villaggio dell’Alta Carniola (in sloveno Gorenjska) e il 16.9.1906 sposa la triestina Antonia Vianello, dalla quale ha 10 figli, il maggiore dei quali è appunto Ivan / Giovanni. Benché si tratti di un matrimonio tra due persone di nazionalità diversa, in famiglia prevale la coscienza dell’appartenenza slovena, accompagnata da una fervida professione di fede cattolica. Il primogenito Ivan / Giovanni studia infatti a Lubiana, dove frequenta il ginnasio Ledini, poi entra nel seminario teologico di Gorizia. Nello stesso periodo suo fratello Ferdo / Ferdinando, in reazione alla radicale politica di forzata nazionalizzazione italiana e di snazionalizzazione slovena e croata imposta in quell’area dal fascismo, diviene membro attivo del movimento nazionale sloveno. Oltre ad altri episodi simili, all’inizio di febbraio 1930, in vista del primo anniversario dei Patti Lateranensi, Ferdo Bidovec è tra coloro che preparano l’attentato contro il giornale triestino «Il Popolo di Trieste», come reazione ai continui attacchi del giornale a sloveni e croati. Il 10.2.1930 Ferdo Bidovec, con Franjo (Francesco) Marušič, Alojzij (Luigi) Valenčič e Zvonimir Miloš collocano una bomba nella sede del giornale. Lo scoppio causa la morte del giornalista Guido Neri e il ferimento di altre tre persone. Vengono subito arrestate numerosissime persone, ma soltanto nei mesi successivi, ricorrendo anche alla pratica della tortura degli arrestati, la polizia fascista individua 18 giovani italiani di origine slovena sospettati di essere coinvolti negli attentati e in particolare in quello del giornale triestino. Vengono tutti deferiti al Tribunale Speciale, che per l’occasione si sposta appositamente da Roma a Trieste e che il 5.9.1930 condanna a morte quattro imputati, cioè Ferdo Bidovec e i suoi tre compagni Marušič, Valenčič e Miloš. Alle prime luci dell’alba del giorno dopo, il 6.9.1930, i quattro giovani vengono fucilati nel poligono di tiro di Basovizza, una frazione di Trieste. Sono i giorni in cui Ivan / Giovanni Bidovec completa il suo percorso di formazione teologica al seminario di Gorizia e viene ordinato sacerdote. Nel maggio 1931 riceve l’incarico di coadiutore parrocchiale nella frazione Grusizza di Podgrad / Castelnuovo d’Istria, mentre nel settembre 1932 è nominato parroco di Dolina / San Dorligo della Valle. In questa parrocchia, nonostante venga più volte richiamato, don Bidovec adempie al suo ministero pastorale usando la lingua slovena e manifestando chiaramente le sue posizioni antifasciste. Viene inoltre accusato di auspicare, da parte della popolazione slava, il sostegno al movimento comunista, il cui programma rivendica i diritti delle nazionalità e l’autodeterminazione dei popoli, obiettivi che da un lato avrebbero consentito agli sloveni e ai croati di sottrarsi all’italianizzazione forzata imposta dal fascismo e dall’altro facilitato una riconfigurazione politico-territoriale dell’area giuliana e istriana, modificando l’assetto deciso dai trattati di pace al termine della prima guerra mondiale nella direzione dell’autonomia politica delle comunità nazionali slave. Nelle carte della polizia fascista Bidovec viene infatti definito ‘slavofilo’ e il Cpc lo definisce ‘comunista’. Come riferisce la Questura di Trieste, “i risultati di tale deleteria opera di propaganda si notano nella tenace resistenza della popolazione locale alla penetrazione del fascismo e alle continue manifestazioni antinazionali”. Arrestato il 16.11.1936 per ‘attività sovversiva’, viene denunciato alla Commissione Provinciale per il confino di polizia di Trieste, che il 21.11.1936 lo assegna al confino per 5 anni. Destinato alle Tremiti, vi viene tradotto il 27.11.1936. La Prefettura di Trieste apre la sua scheda biografica il 7.3.1937. Pochi giorni dopo, il 25.3.1937, viene siglato un accordo di relazioni amichevoli tra il regime fascista e il regno jugoslavo, per effetto del quale Mussolini concede un’ampia amnistia ai condannati al confino sostenitori dei movimenti irredentistici slavi, proprio come don Bidovec, prosciolto con la condizionale. Già il 27.3.1937 con foglio di via obbligatorio parte per Trieste, dove comunque è sempre vigilato perché continua a manifestarsi favorevole al movimento nazionale sloveno. Il 21.8.1940 il capitano Mori dei Cc di Postumia (oggi in Slovenia con il nome di Postojna, nella Carniola Interna) denuncia alla Questura di Trieste l’attività di don Bidovec, che si trova a Crenovizza come coadiutore parrocchiale: “mentre una volta non faceva alcun mistero dei suoi sentimenti anti-italiani, ora invece cerca camuffarli, e se li manifesta lo fa con molta prudenza. E’ noto che prima dell’assegnazione al confino, ostentava le sue idee, paragonando fra l’altro il di lui fratello, fucilato a Basovizza il 6.9.1930, al nostro martire Oberdan”. Inoltre, prosegue il rapporto del capitano Mori, può contare sull’omertà dei suoi fedeli, in particolare su quella dell’elemento femminile, e svolgere così propaganda a favore della lingua slovena. Per questo, al termine del rapporto, viene proposto l’allontanamento del sacerdote. Il 7.9.1940 il questore di Trieste Raffaele Capobianco per la seconda volta denuncia don Bidovec alla Commissione Provinciale di Trieste, ritenendolo “un elemento di pericolo per la sicurezza dello Stato, oltre che una seria preoccupazione politica per la zona da lui amministrata, in considerazione dell’attuale stato di emergenza”. Don Bidovec viene arrestato il 27.9.1940 a Crenovizza dalla guardia di Ps Catello Donnarumma e dal commissario aggiunto di Ps Feliciano Ricciardelli. L’accusa è quella di essere “responsabile di attività antinazionale”, cioè di fare l’apologia del fratello fucilato e di usare sempre la lingua slovena nell’insegnamento del catechismo e nella celebrazione delle funzioni religiose. Il 27.9.1940 il commissario Ricciardelli, capo dell’Ufficio politico della Questura di Trieste, redige il verbale della dichiarazione del sacerdote, il quale afferma che “in merito a quanto mi viene addebitato, dichiaro che dall’epoca in cui ritornai dal confino, non ho più svolto alcuna attività politica. Per quanto riguarda il fatto che io nell’esercizio del mio ministero faccio uso della lingua slovena, faccio presente che di ciò è a conoscenza anche S.E. il Vescovo, il quale mai nessun ordine in contrario mi ha dato in proposito”. La Commissione Provinciale di Trieste il 28.9.1940 lo condanna a 5 anni di confino per “attività antinazionali”. La località di confino è Bergamo, dove viene accompagnato e dove giunge il 13.10.1940, recandosi subito in Questura, dove il commissario di Ps Francesco Giongo redige e fa firmare al sacerdote il documento che riporta le prescrizioni previste per i confinati:
“1 non allontanarsi dalla periferia della città di Bergamo senza il preventivo avviso di questo Ufficio;
2 non uscire al mattino prima della levata del sole e di non rincasare la sera dopo il tramonto;
3 non frequentare esercizi, spettacoli e trattenimenti pubblici, nonché pubbliche riunioni;
4 tenere buona condotta e di non dare luogo a sospetti;
5 presentarsi a questo Ufficio la fine di ogni mese;
6 portare sempre con sé la presente carta prescrittiva per esibirla ad ogni richiesta degli Ufficiali o degli Agenti di P.S.”.
Lo stesso giorno don Bidovec viene ‘consegnato’ a don Alberto Crippa, che in quel periodo è facente funzioni di direttore della Casa del Clero di via Sant’Antonino 3, presso cui don Bidovec si stabilisce. La condizione materiale di esistenza di don Bidovec a Bergamo è difficile e il sacerdote non manca di farlo notare alla Prefettura di Bergamo, che si rivolge per questo al Ministero dell’Interno, il quale il 24.4.1941 risponde alla Prefettura che a Bidovec spettano, oltre alle 6.50 lire giornaliere per il vitto, anche 50 lire mensili come indennità di alloggio. Il 4.5.1941 Bidovec viene raggiunto nella Casa del Clero di Bergamo da altri due sacerdoti slavi provenienti da Trieste, don Natale / Božo Milanovich e don Andrea / Andrej Gabrovšek (il cui fascicolo personale non è però stato aperto a Bergamo), a loro volta confinati perché difendono, rispettivamente, l’identità linguistico-culturale croata e slovena. Gabrovšek, in particolare, è un caro amico dello scrittore Boris Pahor. Oltre a condividere la condizione di confinato con i due sacerdoti citati, Bidovec riceve anche visite di amici sacerdoti sloveni. Il 25.9.1941 l’agente G. Giglio della squadra politica informa la Questura che don Bidovec il 22.9.1941 ha ricevuto alla Casa del Clero la visita dell’amico e sacerdote triestino don Albino Kjnder, che è ripartito per Trieste il mattino successivo, e la visita “ha carattere esclusivo di pura amicizia”. La situazione di confinato non comporta l’assenza degli impegni religiosi e don Bidovec dice messa presso la chiesa di San Marco, sussidiaria della parrocchia di Sant’Alessandro della Croce. Per ogni messa guadagna 10 lire, come annota il 26.9.1941 il brigadiere Calanca della squadra politica della Questura. Ai 3 sacerdoti presenti nella Casa del Clero di Bergamo nei primi mesi del 1942 si aggiunge un quarto sacerdote di origine istriana, don Ernesto Bellé, a sua volta confinato a Bergamo per le stesse ragioni degli altri tre. Oltre alle visite di amici sacerdoti, la diocesi di Trieste non fa certo mancare la sua vicinanza ai 4 preti. Il 12.4.1942, infatti, è lo stesso arcivescovo di Trieste, Antonio Santin (Rovigno, 9.9.1895 – Trieste, 17.3.1981), a venire di persona a Bergamo a fare loro visita. Dopo essere stato vescovo a Fiume fino al 16.5.1938, Santin aveva assunto l’incarico vescovile appunto a Trieste, ma aveva anche un legame personale con la città orobica, dato che nel 1923 aveva conseguito il dottorato in teologia presso il Pontificio istituto di scienze sociali di Bergamo. La sua visita ai sacerdoti confinati a Bergamo va collocata in un contesto molto preciso. Santin, infatti, dal maggio del 1941 al febbraio del 1942 aveva assunto anche l’incarico di amministratore apostolico nella diocesi di Parenzo e Pola, in quel momento vacante, dove si era impegnato ad intervenire presso le autorità fasciste a difesa della popolazione slava internata o a rischio di internamento. Anche se l’incarico si era appena concluso sul piano formale, Santin continuava ad occuparsene su quello sostanziale, a maggior ragione per i suoi sacerdoti, come nel caso dei 4 confinati a Bergamo. Il 4.5.1942 la Curia vescovile di Bergamo si rivolge alla Questura chiedendo che i quattro sacerdoti ospiti della Casa del Clero vengano autorizzati a consumare i pranzi nella casa della famiglia Gandolfi di via Paleocapa 12, in conformità alla domanda da loro inoltrata già il 20.4.1942 con il consenso del loro vescovo Santin, espresso a Bergamo in occasione della sua visita. Anche lo svolgimento dell’attività pastorale è condizionato dai vincoli a cui il sacerdote confinato è sottoposto. L’1.4.1943, per esempio, il parroco di Sant’Antonio d’Adda (frazione del comune di Caprino Bergamasco), don Domenico Calvi, con tre settimane di anticipo si rivolge alla Questura di Bergamo per chiedere, in occasione della Pasqua imminente, la concessione a don Bidovec del permesso di trasferirsi a Sant’Antonio d’Adda per un giorno (dal 24.4.1943 al mattino del 25) “per esercizio di culto in occasione della Pasqua. Le ragioni sono: 1. trovarsi il parroco solo; 2. non aver potuto trovare altro sacerdote disponibile. Prega inoltre, qualora il nominativo insinuato non sia accetto, di sostituirlo con uno degli altri due compagni residenti nella stessa casa. Il sottoscritto confida che la presente istanza sia favorevolmente accolta, salvo sempre in linea subordinata la autorizzazione della Curia di Bergamo”. Questa lettera, inoltre, mostra che la presenza a Bergamo dei sacerdoti triestini era ben nota al clero della Diocesi locale, dato che don Calvi nella sua lettera parla con sicurezza degli “altri due compagni residenti nella stessa casa”, anche se i compagni erano diventati tre.
Il 14.5.1943 il maresciallo Calanca della squadra politica della Questura redige un rapporto dattiloscritto, con il quale riferisce che il sacerdote Francesco Laurencic, parroco del comune di Crenovizza (Ts), il giorno prima, 13.5.1943, è giunto in visita a don Bidovec ed è stato ospite presso Casa del Clero, ripartendo poi la mattina del 14.51943 alla volta di Trieste. Oltre a don Bidovec, ad accompagnarlo alla stazione c’erano anche 5 militari del 78° Reggimento Fanteria di stanza in città, parrocchiani del Laurencic. Bidovec viene però diffidato dall’accompagnarsi con militari, benché slavi. Il fatto non passa inosservato neanche ai fascisti di Bergamo, tanto che tre giorni dopo, il 17.5.1943, il segretario federale del Pnf di Bergamo, Mario Cionini Visani, scrive al prefetto informandolo che da ‘fonte fiduciaria’ attendibile risulta che la mattina del 14.5.1943 alle 7,30 due sacerdoti slavi confinati in città sono stati visti alla stazione ferroviaria conversare in slavo con alcuni militari in servizio presso il locale distretto militare. Uno dei due sacerdoti ha poi preso treno per Brescia, mentre l’altro è uscito dalla stazione con gruppo di soldati. Questi sacerdoti “godrebbero di eccessiva libertà, tanto che la loro presenza nei pressi della stazione ferroviaria sarebbe stata più volte rilevata”. In un rapporto al questore dell’11.2.1944 redatto dal maresciallo di Ps Tito Calanca emergono ancora le difficoltà materiali della condizione di Bidovec: come confinato percepisce un sussidio di 10 lire al giorno e ne riceve altre 18 per le messe giornaliere, ma per vitto e alloggio alla Casa del Clero deve pagare 30 lire al giorno. Saltuariamente riceve qualche sussidio dai familiari, ma non ha denaro per il vestiario sacerdotale, per questo il sacerdote richiede un sussidio ulteriore. La pratica si trascina a lungo. Alla fine, il 24.1.1945 il Ministero dell’Interno – Divisione A.G.R. Sezione I, autorizza la corresponsione a Bidovec di un sussidio straordinario di 8.000 lire per l’acquisto degli indumenti sacerdotali. In base alla data della condanna al confino, la fine del provvedimento avrebbe dovuto essere il 26.9.1945, ma il sacerdote può rientrare a Trieste subito dopo il 25.4.1945 e il 13.7.1945 la Questura di Bergamo certifica che è rimasto a Bergamo fino all’aprile 1945. Nell’anniversario dell’uccisione da parte fascista di suo fratello Ferdo e di altri tre giovani antifascisti sloveni, il 6.9.1946 don Bidovec celebra una messa al monumento di Basovizza eretto in memoria delle quattro vittime. Muore a Sezana, in Slovenia, il 3.9.1978. Nel fascicolo è conservata una sua fotografia in triplice posa. Cpc, b. 637, 1936-1942, scheda biografica. (G. Mangini)