Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Anzola Emilia (Bo) il 6.3.1893. Il suo fascicolo viene aperto dalla Questura di Bergamo nel 1921, quando Cocchi ha preso residenza ad Alzano Maggiore (Bg). Pertanto, nel fascicolo non sono conservati documenti sulle vicende precedenti della sua vita. Tuttavia, alcune informazioni in tal senso sono desumibili dal fascicolo conservato al Cpc e da alcuni testi storiografici, in particolare quelli di Giampiero Valoti. Il padre di Cocchi è contadino e la madre casalinga: i due avranno 11 figli. La famiglia nel 1896 si trasferisce nella frazione Castagnolo (all’epoca Ducentola) del comune di San Giovanni in Persiceto (Bo) dove, grazie ad un sacerdote che ne coglie l’intelligenza, Romano può entrare in seminario a Bologna e compiere gli studi ginnasiali, ma non diviene sacerdote perché interrompe gli studi in seminario, probabilmente a causa di un innamoramento. Alterna lavori diversi, si avvicina ad un gruppo di Cesena guidato da Eligio Cacciaguerra, seguace della Lega democratico-cristiana di Romolo Murri. Lo scoppio della prima guerra mondiale allontana Cocchi dal gruppo cesenate, che è interventista, mentre lui è antimilitarista. Nel 1914 a San Giovanni in Persiceto incontra il sindacalista e politico cattolico Guido Miglioli (1879-1954), da pochi mesi eletto alla Camera dei deputati, per conto del quale si trasferisce a Soresina (Cr), dove Miglioli è stato eletto, a dirigere l’Ufficio del Lavoro del sindacato cattolico, attivo nelle campagne della bassa Lombardia. L’incontro è fondamentale per Cocchi. Nello stesso 1914 infatti Miglioli inizia il lavoro per organizzare a livello nazionale i contadini cattolici e nel settembre 1916 sorge la Fila - Federazione italiana dei lavoratori agricoli. Subito dopo la fine della prima guerra mondiale la principale parola d’ordine di Miglioli e del suo movimento è ‘la terra ai contadini’, programma di lotta il cui contenuto sociale è però diverso da quello propugnato dai socialisti: questi, attraverso la lotta di classe, puntano al superamento della proprietà privata per l’acquisizione e la gestione della terra da parte dello Stato, cosicché i contadini diverrebbero salariati statali, mentre per il movimento contadino di Miglioli il conflitto sociale ha per scopo una progressiva conquista della proprietà da parte dei contadini, non solo con la cointeressenza negli utili, ma anche con la partecipazione al controllo e alla gestione del lavoro, oltre che con la giornata di 8 ore. Questa distinzione di contenuti, tuttavia, per Miglioli non implica una contrapposizione pratica tra l’azione di lotta dei contadini cattolici e quelli socialisti. In tale contesto, Cocchi si forma nell’esperienza dell’attività propagandistica e organizzativa, principalmente nelle campagne ma anche in qualche fabbrica: è il cosiddetto ‘bolscevismo bianco’, la componente più radicale del movimento sociale cattolico. Inizia anche a collaborare alla rivista «L’Azione», fondata da Miglioli già nel 1905. Cocchi si sposa il 23.9.1917 a Grontardo (Cr) con Edvige Maria Alenghi, dalla quale ha due figli, Ferdinando e Maria. Nel marzo 1918 viene fondata la Cil – Confederazione Italiana del Lavoratori, organizzazione sindacale cattolica che vede alla segreteria Giovan Battista Valente, poi Giovanni Gronchi (tra i fondatori del Ppi nel gennaio 1919, presidente della Repubblica dal 1955 al 1962) e Achille Grandi (dall’azione del quale nasceranno in seguito la Cisl e le Acli). Questo nuovo organismo non convince Miglioli, che lo ritiene destinato a dividere i lavoratori perché calato dall’alto anziché essere l’espressione del movimento già attivo dal basso, tuttavia nel giugno 1919 il gruppo raccolto intorno a Miglioli, nonostante le riserve sulla fisionomia politica del partito, ritenuta troppo moderata, decide di entrare nel Ppi, fondato nel gennaio precedente da don Luigi Sturzo. Cocchi si colloca alla sinistra del partito, cercando, come Miglioli e come Giuseppe Speranzini, di orientarlo a divenire l’espressione politica del proletariato cristiano, anche se si tratta di una posizione minoritaria. Nel 1919, tuttavia, non nasce solo il Partito popolare ma anche il movimento fascista, che a Cremona si organizza intorno a Roberto Farinacci e alle sue squadre, che vedono in Cocchi uno dei loro bersagli. A causa delle bastonate fasciste, nell’estate del 1919 Cocchi si trasferisce a Bergamo, dove diviene segretario di don Franco Carminati, direttore dell’Ufficio del lavoro, struttura sindacale cattolica sorta in precedenza a Bergamo e rilanciata dopo la fine della prima guerra mondiale con la nomina a presidente di don Francesco Garbelli, che a sua volta nomina come direttore don Carminati. L’Ufficio del Lavoro, che dal 2.8.1919 ha anche un organo di stampa, «La squilla dei lavoratori» (1919-1925), organizza e indirizza la forte conflittualità sociale sorta al termine del conflitto mondiale, soprattutto nelle campagne ma anche in alcune industrie, specie tessili. All’interno dell’Ufficio del lavoro, però, coesistono e confliggono tra loro due componenti, una più moderata e favorevole ad accogliere le indicazioni della gerarchia ecclesiastica, l’altra più radicale e fautrice di una sostanziale autonomia. La forte conflittualità sociale, sia nelle campagne che nell’ambito industriale, soprattutto tessile, da una parte, e dall’altra l’imminenza delle prime elezioni politiche a suffragio universale maschile, previste per il 16.11.1919 con il nuovo sistema elettorale proporzionale, acuiscono le tensioni sia all’interno dell’Ufficio del Lavoro che tra lo stesso Ufficio del Lavoro e il contesto istituzionale ed ecclesiastico del cattolicesimo a Bergamo e provincia. Il ruolo organizzativo di Cocchi cresce in fretta e nel settembre 1919 diviene il segretario dell’Ufficio del Lavoro, subentrando al moderato Celestino Ferrari e svolgendo un ruolo significativo soprattutto nel secondo ciclo di lotte dei tessili nel febbraio 1920. La sua radicalità lo fa però entrare in contrasto con la prevalente componente moderata del cattolicesimo bergamasco, con l’istituzione ecclesiastica e con il quotidiano cattolico «L’Eco di Bergamo», che dei cattolici moderati e dell’istituzione ecclesiastica è l’organo giornalistico per eccellenza. Dopo essere diventato segretario della Federazione dei lavoratori tessili, diviene anche segretario generale dell’Ufficio del Lavoro. Qui incontra Enrico Tulli, certamente una delle figure più importanti della sua vita. Sull’onda del suo accresciuto ruolo nel contesto sindacale, Cocchi cerca di aumentare la sua influenza politica nel Ppi. Per questo il 19.3.1920 organizza a Bergamo, presso il cinema Centrale, un convegno dei cosiddetti ‘gruppi di avanguardia’ del Ppi, fautori di un più avanzato radicamento sociale del Ppi nelle campagne a fianco delle rivendicazioni popolari contadine. Al convegno intervengono anche Miglioli, Speranzini e l’avvocato Giorgio Luigi Colombo, esponente dell’analogo gruppo di Milano, del quale fa parte anche il giovane Riccardo Lombardi. Nella circostanza sono accolti in sala anche operai e contadini socialisti e nell’intervento di Miglioli l’unità tra cattolici e socialisti è auspicata anche oltre la dimensione sindacale. Il giorno dopo, però, sia la Presidenza (don Garbelli) che la direzione (don Carminati) dell’Ufficio del Lavoro rendono noto che il convegno è da ritenersi un’iniziativa personale del segretario dell’Ufficio, appunto Cocchi, e non dell’Ufficio in quanto tale. Lo stesso pontefice Benedetto XV, in un messaggio al vescovo Marelli, prende le distanze da quanto sta avvenendo a Bergamo ed esorta a prendere provvedimenti: il vescovo di Bergamo solleva don Garbelli e don Carminati dal loro incarico di presidente e direttore dell’Ufficio del lavoro. Don Carminati condivide l’obiettivo di Cocchi e Miglioli di far avere la terra ai contadini, ma lo considera un obiettivo da raggiungere sul terreno della lotta sociale per una diversa e più equa ripartizione della proprietà, rifiuta però ogni implicazione politica dell’unione dei cattolici con i socialisti, che è un obiettivo di Miglioli e Cocchi ma non del Ppi. Nasce da qui la rottura tra Cocchi e don Carminati. Inoltre, il dissidio tra il Ppi e i ‘gruppi di avanguardia’ cocchiani diviene insanabile non solo a livello di sindacato ma appunto a livello di partito. In effetti, la radicalità dell’azione organizzatrice e propagandistica di Cocchi lo porta ben presto ad entrare in conflitto con lo stesso Ufficio del lavoro, tanto che nel giugno 1920 viene licenziato dall’organizzazione per volontà del vescovo Luigi Maria Marelli, a dispetto del fatto che la componente di sinistra del Ppi a Bergamo avesse la maggioranza all’interno del partito. Così, insieme a Tulli l’1.7.1920 Cocchi fonda una nuova organizzazione sindacale, l’Unione del Lavoro - Federazione Sindacale Cristiani del Lavoro per la Provincia di Bergamo (con sede in via San Giorgio 14) e Brescia (con sede in via Milano 70). Il nuovo organismo sindacale si avvale anche di un proprio organo di stampa, il periodico settimanale «Bandiera Bianca», diretto da Cocchi, il cui primo numero esce l’11.7.1920. Il motto della rivista è “Per l’Avvento di Cristo, per l’Avvento del Popolo”. Cocchi viene accusato di ingenuità dalla stampa periodica sindacalista, infatti nell'agosto 1920 la rivista «Pagine Libere», diretta da Angelo Oliviero Olivetti e in quell'anno edita a Bergamo, pubblica un articolo di Ubaldo Riva, reduce dalla prima guerra mondiale, che definisce illusoria la pretesa del Ppi e a maggior ragione di Cocchi di muoversi sul piano politico e sindacale in autonomia rispetto alla gerarchia ecclesiastica. Nel febbraio 1921 l’Unione del Lavoro viene espulsa dalla cattolica Cil - Confederazione italiana dei lavoratori e Cocchi viene espulso anche dal Ppi insieme a Speranzini. Le cose cambiano rapidamente per Cocchi e Tulli. Il 16.9.1921 vede la luce a Bergamo il primo numero del nuovo settimanale «L’Azione proletaria. Organo ufficiale della Camera confederale del Lavoro di Bergamo e provincia», di cui Tulli è redattore capo. Il giornale nasce dalla fusione del periodico «La Fiaccola», organo della CdL di Bergamo, col settimanale cattolico «Bandiera bianca» diretto da Cocchi. La fusione delle due riviste è il segno, sul piano editoriale, di un progressivo radicalizzarsi di una parte delle leghe bianche, di cui Cocchi e Tulli sono gli esponenti più significativi, fino all’adesione alla Cdl anche se, in effetti, nelle note redazionali della nuova rivista Cocchi e Tulli vengono ancora indicati come ‘democratici cristiani’. Cocchi, in particolare, è molto polemico verso il Ppi, accusato di connivenza con il fascismo. Verso la fine del marzo 1922 l’Unione del Lavoro aderisce formalmente alla CdL di via Sant’Orsola 7 a Bergamo, nel contesto della quale Tulli prosegue la sua attività propagandistica “organizzando le masse con tendenze comuniste”.
Quello delineato fin qui è in sintesi il percorso di Cocchi e lo sfondo della sua azione fino al momento in cui, appunto nel 1921, viene aperto un fascicolo su di lui dalla Questura di Bergamo. All’Unione del Lavoro, in sede provinciale, aderiscono la Federazione Operai ed Assistenti Tessili, la Federazione Muraria Bergamasca, la Federazione Fornaciai, il Sindacato Cristiano Cementieri, la Federazione Impiegati e Commessi d’Aziende Private, la Federazione Minatori, la Federazione Setaiole, la Federazione Contadini, la Federazione Cartai. Il Consiglio Direttivo è costituito dal presidente Carlo Manenti, operaio di Capriate d’Adda, dai consiglieri Zenone Sora di Albegno, dall’operaio Luigi Bassani di Cene, dall’operaio Andrea Donati di Ponte Nossa, dall’operaio Giuseppe Sirtoli di Alzano Sopra, dal contadino Giuseppe Daminelli di Verdello, dall’operaio Ariodante Mariani di Albino, dall’operaio Antonio Fustinoni di Sedrina. Il consulente legale è il già citato avvocato Giorgio Luigi Colombo, residente a Gallarate ma legato al gruppo milanese degli ‘avanguardisti’. Il segretario delle Federazioni Tessili, Impiegati e Commessi, Fornaciai ed Affini, è Massimiliano Preda, il segretario della Federazione Contadini è Leone Garlini (b. 45), il segretario della Federazione delle Setaiole è Romeo Locati, il segretario generale è Romano Cocchi. A riprova della notevole ostilità che l’azione di Cocchi aveva determinato nel ceto proprietario bergamasco, va citato il fatto che nel fascicolo intestato a Cocchi è conservata una lettera anonima indirizzata al prefetto e spedita da Bergamo l’8.1.1921: “Bergamo 8 Gennajo 1921 - Ill. Sig. prefetto di Bergamo - Non le pare che sia ora di prendere dei provvedimenti a carico di quei farabutti Cocchiani, che continuano ad aizzare le masse contadiniane? mi pare sia ora di finirla e di lasciarci un po’ quieti! Però di farci pagare le tasse è capace dunque?... Un piccolo Proprietario”. Per evitare di rimanere isolato politicamente dopo la sua espulsione dal Ppi, insieme a Speranzini, al giovane Riccardo Lombardi e ad Enrico Tulli, il 3 e 4.4.1921 a Palestrina (Roma) Cocchi fonda il Partito Cristiano del Lavoro, di cui è segretario politico e cui è legata anche la nascita di una Confederazione sindacale. In vista delle elezioni viene stampato anche un nuovo periodico, «Conquista Sindacale» (1921), che si presenta come organo del nuovo partito e del nuovo sindacato, e il cui primo numero, benché senza data, esce il 14.4.1921. Come direttore figura Giuseppe Speranzini e come redattore responsabile Enrico Tulli. Il nuovo partito, però, alle elezioni del 15.5.1921 raccoglie pochi voti e Cocchi non viene eletto deputato, anche se nell’area bergamasca i voti sono più numerosi di quelli del Ppi. La rivista «Conquista Sindacale» si interrompe subito dopo l’insuccesso elettorale. Così, insieme a Tulli, già nell’estate del 1921 Cocchi si avvicina ai socialisti. Intanto, il 30.5.1921 l’agente investigativo Luigi Locatelli della Questura di Bergamo comunica al questore le generalità dei componenti della direzione dell’Unione Provinciale del Lavoro di Bergamo: Romano Cocchi, Andrea Donati (fu Luigi, n. Calcio il 4.7.1887 e residente a Bergamo in via San Giorgio 14), Leone Garlini (fu Lorenzo e Pierina Foresti, n. Verdello il 25.9.1888, dove risiede), Giuseppe Speranzini (fu Ladislao, nato a Pesaro, residente a Cremona), l’avvocato Giorgio Luigi Colombo. Cocchi viene colpito da mandato di cattura emesso il 5.8.1921 e due giorni dopo, il 7.8.1921, viene invitato dal commissario di Ps De Franceschi a seguirlo in Questura, dove viene arrestato per il reato di calunnia. L’imputazione è duplice. La prima riguarda il fatto che il 19 luglio precedente Cocchi aveva sporto denuncia al procuratore del Re contro il maggiore dei Cc Paolo Annoni, incolpandolo di avere arrestato arbitrariamente due coloni di Nese, Costante e Paolo Suardi, padre e figlio originari di Trescore Balneario (Bg), che nelle settimane precedenti si erano trovati in contrasto con il proprietario Giovanni Ambiveri sulla conduzione del fondo agricolo da loro lavorato: l’accusa contro Cocchi è di aver denunciato il maggiore Annoni pur sapendolo innocente. La seconda imputazione consiste nell’avere Cocchi accusato il proprietario Ambiveri di aver indotto un suo dipendente, la guardia campestre Pietro Rossi, a denunciare al maresciallo dei Cc di Alzano Maggiore una minaccia a mano armata nei propri confronti da parte dei due Suardi che in realtà non sembra essere avvenuta. Nella circostanza Cocchi viene assistito dagli avvocati Ubaldo Riva e Carlo Zilocchi. Il giorno dopo, l’8.8.1921, il prefetto di Bergamo invia al Ministero dell’Interno un rapporto sull’arresto di Cocchi: “Ieri in questo capoluogo la Questura procedette all’arresto di Cocchi Romano di Ferdinando e di Sagnati Emma, nato ad Anzola e dimorante in Alzano Maggiore, Segretario Generale dell’Unione del Lavoro – cattolica estremista (Partito cristiano del Lavoro) – da lui fondata in antagonismo all’Unione Confederale del Lavoro dalla quale egli si era distanziato. Il Cocchi è stato arrestato in esecuzione di mandato di cattura emesso dal Giudice Istruttore del locale Tribunale per reato di calunnia in danno del Maggiore dei Carabinieri Cav. Annoni Paolo, Comandante la divisione di questa provincia, da lui denunciato al Procuratore del Re per arresto arbitrario di due contadini aderenti all’Unione del Lavoro, e per altro reato di calunnia in danno del Comm. Ambiveri Giovanni, presidente della Camera di Commercio di Bergamo ed agiato possidente, che segnatamente il Cocchi aveva denunciato per avere indotto un contadino (ndr: Pietro Rossi) a simulare una grave minaccia a mano armata subita ad opera di altro organizzato dall’Unione predetta, ben sapendo che l’Annoni e l’Ambiveri non erano responsabili dei reati loro attribuiti da esso Cocchi. Ne informo codesto On. Ministero per notizia, aggiungendo che finora gli organizzati, operai e contadini, seguaci del Cocchi, non hanno dato segno di un’eventuale agitazione e che in ogni caso quest’ufficio si tiene pronto per provvedere secondo emergenze nell’interesse dell’ordine pubblico e pel rispetto alla legge”. Il 12.8.1921 esce un numero speciale di «Bandiera Bianca» dedicato all’arresto di Cocchi. Il 16.8.1921 sul «Giornale di Bergamo», n° 188, compare l’articolo Una protesta per l’arresto di Romano Cocchi: “Una protesta per l’arresto di Romano Cocchi. Sappiamo che il Consiglio Direttivo dell’Unione del Lavoro, riunitosi ieri, ha deliberato di invitare tutte le leghe aderenti all’Unione stessa a recarsi in massa a Bergamo per protestare contro l’arresto di Romano Cocchi che è un segno - così l’o.d.g. - della reazione imperversante e del desiderio dell’autorità di stroncare sistematicamente le organizzazioni sindacali. La data per l’effettuazione della protesta verrà comunicata alle singole leghe dalla Segreteria generale”. In realtà, nonostante l’articolo appena citato possa far pensare a manifestazioni degli aderenti all’Unione del lavoro a favore di Cocchi, è proprio il sotto-prefetto di Clusone (Bg) che, rispondendo ai telegrammi della Prefettura che chiedevano informazioni in tal senso, il 19.8.1921 smentisce tale eventualità, scrivendo al prefetto che “i capi lega cocchiani di Gazzaniga, Fiorano, Cene, Vertova, Casnigo e Ponte Nossa coi quali espressamente chiamati oggi ho conferito hanno anzi dichiarato riconoscere che qualsiasi azione in tal senso non gioverebbe al partito, né alla causa dello stesso capo il quale ha già dato ordini in contrario. Ho nello stesso incontro appreso non essersi dall’Unione del Lavoro provocata agitazione e sciopero dei tessili di cui nell’altro telegramma n. 894 del 17 corrente ma solo aversi in animo di spiegare, d’accordo colla Camera del Lavoro presso la quale i leghisti stessi stamane erano convocati, un’azione pacifica intesa a contrastare presso il convegno di Milano l’accettazione della riduzione del 20% sui salari globali che si ritiene non giustificato dalla situazione del mercato annonario che tende invece al rialzo. Essendosi però oggi appreso dalla stampa che il concordato si è già concluso fra le Federazione industriale e le organizzazioni operaie, i capi lega mi hanno dichiarato che, se la notizia fosse esatta, le maestranze dipendenti non potrebbero che sottostare ai patti. Non consta neppure che la stessa Unione del Lavoro fomenti fra i cementieri, che in questo Circondario hanno sede soltanto a Fiorano e Riva di Solto, l’agitazione cui allude l’altro telegramma prefettizio 17 corrente n. 984”. Sul giornale «Bandiera Bianca» del 21.8.1921, n° 32, compare un breve articolo redazionale intitolato ‘Una visita a Romano Cocchi in carcere’, effettuata la domenica 14.8.1921 da Enrico Tulli: “Finalmente! Dopo aver battuto a tante porte, dopo di avere tanto insistito, Enrico Tulli domenica scorsa poteva entrare a S. Agata, al carcere dov’è rinchiuso il nostro nobile amico; poteva vederlo. La pesante prigionia non lo ha prostrato fisicamente; solo, nel viso, è facile leggergli la somma delle sofferenze morali e materiali alle quali è sottoposto. Parlò con un triste sorriso sulle labbra; volle essere informato delle vicende dell’organizzazione, anche delle più piccole. Era in ansia – oh quanto – per la sua creatura e per la gentile signora che è in tanta pena. Si dimostrò fiducioso che i giudici lo avrebbero ben presto messo in libertà convinti ch’egli non ha altra colpa che quella di aver difeso due contadini: non altro. Il resto è cattiveria, il resto è infamia. «A tutti, a tutti coloro che domandano di me, porta il mio fraterno saluto, la sicurezza che io tornerò presto in mezzo ai miei operai, ai miei contadini con raddoppiata lena e con raddoppiato affetto riprenderò il mio lavoro». Il Tulli non si poté trattenere più di 15 minuti!; si abbracciarono. Romano Cocchi a fianco del carceriere si avviò alla sua celletta; si volse una ultima volta sorridendo tristemente agitando la mano in segno di saluto; e scomparve dietro una porticina ferrata… Un colpo di chiave secco…”. Il 22.8.1921, cioè il giorno dopo l’uscita dell’articolo sulla visita di Tulli a Cocchi in carcere e dopo 16 giorni trascorsi nel carcere di Sant’Agata in Città Alta, Cocchi viene scarcerato e posto in libertà provvisoria. Della sua liberazione viene data notizia il giorno dopo dal «Giornale di Bergamo». Nel settembre 1922, per evitare ritorsioni da parte fascista, Cocchi decide di allontanarsi da Alzano Maggiore e si trasferisce a Milano. Il timore è ampiamente fondato, anche perché i fascisti hanno già bastonato lo stesso Tulli, che a sua volta si sta trasferendo a Milano. L’1.10.1922 è il pubblicista Federico Taino ad accompagnare Cocchi in treno a Milano. Alla stazione di Verdello Cocchi viene minacciato da un gruppo di fascisti e Taino per difenderlo estrae una rivoltella Beretta, che gli viene sequestrata da un agente di Ps. Il 29.12.922 la Questura di Genova si rivolge a quella di Bergamo chiedendo notizie e una fotografia di Romano Cocchi, perché si è presentato a Genova una persona dallo stesso nome, addetta alla Federazione provinciale fascista di Genova, per capire se si tratti dello stesso Romano Cocchi o di un caso di omonimia. Da Bergamo rispondono il 12.1.1923 mandando una copia del giornale «Bandiera Bianca» con il ritratto di Cocchi, chiedendo di averlo in restituzione, il che avviene il 20.1.1923 con la conferma che si tratta di un’omonimia. Le Questure di Milano e Bergamo sono in continuo contatto per rintracciare Cocchi e Tulli. L’8.6.1923 il brigadiere Locatelli e il vice-brigadiere Calanca, entrambi componenti della squadra politica della Questura di Bergamo, informano il questore che Cocchi si è trasferito a Milano in via Brioschi 26: “Lo spedizioniere Torniello di questa città, con sede in via S. Bernardino, ha provveduto al trasporto della sua mobilia, e fra questa è stata caricata anche qualche poca del Tulli Enrico che lui stesso fece la spedizione per il Cocchi, perciò fa dubitare che tanto il Cocchi quanto il Tulli abitano a Milano in via Brioschi 26”. L’informazione viene trasmessa alla Questura di Milano, che però il 17.7.1923 comunica che all’indirizzo di via Brioschi 26 i due ricercati non sono presenti e che i tentativi per rintracciarli, al momento, sono negativi. Nel frattempo Cocchi e Tulli sono comunque attivi sul piano della comunicazione, come dimostra questo trafiletto apparso sul n. 183 del «Corriere della Sera» di giovedì 2.8.1923: “Il Consiglio provinciale di Bergamo. A proposito della nostra notizia da Bergamo sullo scioglimento di quel Consiglio provinciale, i signori Romano Cocchi ed Enrico Tulli ci fanno rilevare che tale amministrazione era retta dai popolari, dai quali essi, all’epoca della sua elezione, nel 1920, si erano staccati, costituendo un’organizzazione secessionista che non partecipò alla lotta elettorale”. Proprio nel 1923 Cocchi e Tulli a Milano pubblicano un libro di denuncia sulla situazione del cattolicesimo a Bergamo: Romano Cocchi, Enrico Tulli, Scandali nella Vandea clericale, prefazione di G. M. Serrati, Tipografia Società editrice Avanti, Milano 1923, pp. VII, 91.
Il 22.11.1923 la Questura di Milano comunica a quella di Bergamo che Cocchi abita in via Solari 79 e che una perquisizione domiciliare ha dato esito negativo. Isolati politicamente, sia Cocchi che Tulli entrano nel Psi facendo proprie le posizioni terzinternazionaliste di Serrati, come la prefazione di quest’ultimo al loro libro indirettamente conferma e, nel 1924, seguono Serrati quando confluisce nel Pci. In quello stesso anno Cocchi pubblica un piccolo opuscolo di 16 pagine, "Lettera ai contadini bianchi d’Italia", pubblicato per le Edizioni del Consiglio Internazionale dei Contadini, Roma 1924. Nel suo testo, a fronte della dura sconfitta sia operaia che contadina di fronte alla reazione fascista, con l’arretramento delle condizioni materiali e contrattuali di tutti i lavoratori, Cocchi afferma che (pp. 6-7) “oggi bisogna dire apertamente ai contadini che innanzitutto la loro organizzazione deve essere una ed una sola. Le varie organizzazioni di vario colore, che spesso si combattono a vicenda, e sul cui giuoco si inseriscono gli interessi elettoralistici dei partiti antirivoluzionari rappresentano, mancando di unità, un facile bersaglio per la classe padronale”. Il programma è quello di creare l’unione sindacale degli operai e dei contadini in ogni nazione e insieme la creazione di un’associazione internazionale dei contadini, sulla base del presupposto che si tratta di (pp. 10-11) “abbandonare il tentativo di ricostituire le varie leghe bianche, gialle, verdi, ecc., ma creare un’unica organizzazione nazionale che comprenda tutte le categorie dei contadini. Tale organizzazione ha il compito di difesa della classe contadina in genere: contro il fascismo, contro il caroviveri, contro le amministrazioni comunali borghesi, contro il ricco padronato terriero; per il miglioramento dei patti salariali, di mezzadria, dei capitolati d’affitto, per la soppressione delle tasse che gravano sugli stessi mezzadri”. E’ in tale prospettiva che Cocchi si rivolge in particolare a quei contadini che sono stati ‘bianchi’ (pp. 15-16): “anche i contadini cristiani o popolari o cattolici che conobbero la nostra esperienza e tutto l’inganno che si nasconde dietro le promesse dei partiti che non possono prescindere dall’ordine borghese e che si propongono di conservarlo, non possono ora non comprendere che il loro interesse di classe è comune all’interesse di tutta la classe lavoratrice”, in vista della creazione di uno Stato operaio e del governo di operai e contadini. Nel 1925 Cocchi è redattore del quotidiano comunista «L’Unità» a Milano, dove dirige anche il periodico comunista «Il Seme» (1924-1925), che ha per sottotitolo ‘Quindicinale dei contadini’, sorto per dare uno strumento pubblicistico alla politica del Pci verso il mondo contadino, di cui nel partito si occupano soprattutto Ruggero Grieco e Giuseppe Di Vittorio, il quale collabora con Miglioli, soprattutto in seguito all’adesione di quest’ultimo al Krestintern, l’Internazionale contadina, fondata nell’ottobre 1923 dall’Internazionale Comunista. La rivista «Il Seme», organo dell’Associazione dei contadini, più che un’azione sindacale, cerca di ampliare l’adesione associativa dei contadini coinvolgendo, oltre ai salariati agricoli, anche piccoli proprietari, mezzadri, ecc. Per le sue posizioni e per la sua esperienza, Cocchi era l’uomo giusto per dirigere la rivista. Nello stesso 1925 si trasferisce a Roma. Colpito da mandato di cattura sulla base delle leggi eccezionali, riesce a riparare clandestinamente all’estero, prima in Jugoslavia, poi a Vienna e poi a Parigi. Nel numero 221 de «L’Unità» del 17.9.1926 il nome di Cocchi compare con la sottoscrizione di 50 lire in solidarietà con i minatori inglesi. Nel dicembre 1926 viene condannato in contumacia dalla Commissione Provinciale di Roma a 5 anni di confino. Il 9.3.1927 viene colpito da un mandato di cattura emesso dal giudice istruttore del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, che delibera nei suoi confronti l’assegnazione al confino di polizia per un totale di 12 anni perché imputato di incitazione all’insurrezione e a commettere fatti diretti a mutare violentemente la costituzione dello Stato. Il 4.6.1927 il Cpc informa la Prefettura di Bergamo che “certo Cocchi”, insieme ad altri, “è stato eletto a far parte della Commissione esecutiva centrale dei gruppi comunisti italiani residenti in Francia”. Una nota del 2.12.1927 Cpc al Prefetto di Bergamo ribadisce che “il sovversivo Cocchi Romano, svolge sempre propaganda comunista come segretario del Soccorso Rosso a Parigi” e il 29.5.1928 viene ancora segnalato come residente a Parigi, dove dirige la sotto-sezione italiana del Soccorso Rosso Internazionale e talvolta pubblica articoli sul quotidiano comunista francese «L’Humanité», oltre a far parte del comitato di redazione della rivista «Il Fronte Antifascista». Nello stesso 1928 viene espulso dal territorio francese per la sua attività comunista, ma l’anno successivo torna clandestinamente a Parigi dove, con il falso nome di ‘Adami’, continua a dirigere la sotto-sezione del Soccorso Rosso Internazionale, spostandosi spesso in Belgio e in Germania ma soprattutto in Svizzera, per tenere i contatti con gli esponenti del Pci. Oltra a quello di Adami, Cocchi usa anche altri pseudonimi: Giorgio, Giorgi, Fernando Cortez.
La scelta del Pci di allinearsi alla linea stalinista determina importanti conseguenze, sia dal punto di vista organizzativo che politico-ideologico, come nel caso dell’espulsione di Pietro Tresso, Alfonso Leonetti e Paolo Ravazzoli, accusati di essere seguaci di L. Trockij, avvenuta il 9.6.1930. In tale espulsione Cocchi ha significativa responsabilità. In quell’anno, infatti, Cocchi viene segnalato residente a Basilea, dove dirige il periodico comunista «Falce e Martello» e organizza i comunisti italiani rifugiati nella Confederazione elvetica. Fa anche parte del Comitato centrale del Partito Comunista Svizzero (Pcs) e dello stesso ufficio politico del Pcs. Come testimonia Ena Viatto (moglie di Girolamo Li Causi e in seguito di Riccardo Lombardi), che incontra Cocchi a Zurigo nell’aprile 1931, questi “mi conferma le avvenute epurazioni di cui egli stesso è il ‘giudice istruttore’: a Parigi sono stati espulsi dal partito Tasca, Tresso, Ravazzoli – revisionismo, deviazionismo di sinistra e di destra, opportunismo – gli ismi si sprecano e io non capisco. Apprendo soltanto che alcuni uomini che consideravo amici non sono più miei compagni”. Cocchi, come componente dell’ufficio politico del Partito comunista svizzero, fa parte anche della commissione che nel 1931 espelle dalle sue fila Ignazio Silone. Il Pcs gli affida anche l’incarico di responsabile del partito per il Canton Ticino. Collabora a molti giornali, tra cui il «Basler Vorwarts» di Basilea, anche se il suo maggior impegno giornalistico, nel periodo svizzero, è quello della direzione della rivista «Falce e Martello» (1925-1936), edito in lingua italiana. Nel 1932, inoltre, viene delegato dal Pcs al 12° Comitato esecutivo dell’Internazionale Comunista. Ricercato dalla polizia federale svizzera, viene arrestato a Lugano il 23.2.1933 e con un decreto del Consiglio federale svizzero viene espulso verso la Francia il 7.4.1933. Il 20.6.1933 la Prefettura di Bergamo comunica al Cpc di avere radiato Cocchi dall’elenco dei sovversivi perché assente dalla provincia dal 1922 e perché non vi è nato.
Le vicende successive di Cocchi, dopo la sua radiazione dal casellario di Bergamo, sono molto intense e vengono qui sintetizzate. Con la moglie e i figli vive a Montreuil-sous-Bois (dipartimento Senna-Saint-denis, regione Île-de-France) al n° 41 di boulevard Chanzy e utilizza vari pseudonimi, prevalentemente quello di ‘Adami’. In un comizio indetto dal Fronte Unico il 28.10.1933 a Parigi nei locali della cooperativa comunista ‘La Bellevilloise’, Cocchi interviene contro il regime fascista, alla presenza di circa 300 intervenuti tra italiani e francesi. Tra i principali fautori del Fronte Unico, tra il 1933 e il 1934 risiede nella zona di Parigi, dove ha vari recapiti, tra cui il Café du Sport, rue de Paris 210 a Romainville. Nel maggio 1934, all’inaugurazione della sede del Fascio nel comune di Pantin (dipartimento Senna-Saint-Denis, regione Île-de-France), Cocchi partecipa insieme a circa 600 persone, tra cui comunisti italiani e francesi, ad una manifestazione di ostilità verso l’iniziativa, mentre il 24.4.1935, presso la sede del partito comunista di Drancy, tiene un discorso contro Mussolini e la guerra d’Abissinia. Questa informazione è tratta da una lettera al padre scritta il 22.4.1935 dall’operaio comunista bergamasco Primo Sala (b. 94, nativo di Gazzaniga, residente a Nembro, emigrato a Drancy nel 1930), nella quale racconta del suo incontro con Cocchi, ma la lettera non giungerà mai a destinazione perché viene intercettata dalla polizia e trattenuta nelle carte del fascicolo di Sala, che frequenta le riunioni comuniste di Drancy.
Nel 1936 Cocchi entra a far parte dell’ufficio politico del Pci, sostiene il Fronte popolare francese e l’alleanza tra comunisti e socialisti. Durante la guerra di Spagna ha l’incarico di tenere stretti rapporti tra gli emigrati italiani antifascisti e i combattenti italiani nella XII Brigata Internazionale ‘Garibaldi’. Membro del Comitato d’aiuto alla Spagna repubblicana, si reca anche in Spagna con una delegazione del Fronte Popolare e con lo pseudonimo di Adami pubblica l’opuscolo Visite aux volontaires de la Liberté. Une délégation du CIAPE, sous la présidence du camarade Nolla, représentant du Front Populaire d’Espagne, a visité les fronts de la liberté et les Volontaires des Brigades Internationales. Paris, Éditions du Comité International d’Aide au Peuple Espagnol. (Commission Internationale pour l’Aide aux Familles des Volontaires), février 1937, p. 10. Secondo il Ministero della Guerra, nel gennaio 1937 Cocchi si trova a Vienna proveniente dalla Svizzera per svolgere attività al servizio di Mosca. Nel marzo 1937 a Lione si tiene il congresso costitutivo dell’Upi – Unione Popolare Italiana, di cui Cocchi diviene segretario. Viene anche pubblicato il settimanale «La Voce degli Italiani». Nel contesto di tali iniziative Cocchi, molto attivo, cerca di combattere il settarismo ideologico ostile ai lavoratori italiani cattolici immigrati in Francia. Nel giugno 1937 è a Parigi, dove il 12 giugno ha tenuto una conferenza a Villerupt (dipartimento Meurthe-et-Moselle, regione Grand Est) in qualità di segretario generale dell’Unione Popolare Italiana e direttore del quotidiano antifascista «La Voce degli Italiani», che si caratterizza per l’unità d’azione tra il partito socialista e quello comunista. Lo sfondo, tipico dell’esperienza di Cocchi come agitatore e organizzatore cattolico, è il suo tentativo di creare un fronte antifascista unitario per coinvolgere le masse cattoliche insieme a quelle socialiste e comuniste. E’ il caso di una sua conferenza dell’estate 1937 a Cannes. Per tutte queste attività Cocchi diviene una figura molto popolare come dirigente dell’Upi. Figura di rilievo della direzione parigina del Pci, nel novembre 1937 prepara a Parigi un congresso delle donne italiane. In una nota del 13.5.1938 la Prefettura di Bologna informa il Cpc che: “La R. Ambasciata d’Italia il 9 dicembre u.s. ha riferito che il Cocchi coadiuvato dalla nota Noce Teresa continua a svolgere propaganda fra gli emigrati italiani ed avrebbe ora in animo di rivolgere la propria azione propagandista verso quelle famiglie di italiani che sono aderenti al Partito Fascista. La stessa autorità il 3 aprile u.s. ha informato l’On. Ministero che il medesimo fa parte del consiglio di una società antifascista, costituita di recente sotto il titolo «fratellanza bergamasca»”. Alla fine del 1938 è colpito da decreto di espulsione dalla Francia, ma riesce ad ottenere un ‘Sursis’, cioè una sospensiva al decreto e quindi a rimanere. L’accordo russo-tedesco, siglato il 23.8.1939 con il patto Molotov-Ribbentrop, rappresenta per Cocchi una drammatica disillusione. In radicale dissenso con la direzione comunista, cerca di coinvolgere le forze socialiste e di ‘Giustizia e Libertà’ in una politica anti-comunista che determina la sua espulsione dal Pci, dal quale viene trattato come traditore stipendiato dalle autorità francesi. Dopo l’invasione tedesca della Francia e dopo aver collaborato con la Resistenza francese, nel settembre 1943 viene arrestato dai tedeschi, ai quali il suo nome è stato comunicato dalle autorità italiane. Rinchiuso nel carcere di Fresnes (dipartimento Valle della Marna, regione Île-de-France), il 6.12.1943 viene deportato in Germania e, attraverso alcune tappe, giunge nel campo di Buchenwald il 19.12.1943, dove muore il 28.3.1944. Cpc, b. 1385, 1925-1943. (G. Mangini)