Profilo sintetico riassuntivo
Nato il 7.5.1900 a Bergamo, dove risiede in via Pignolo 38. Fabbro alla Dalmine, definito dalla polizia fascista “lavoratore assiduo e diligente”, comunista. Scheda biografica aperta l’1.4.1927 dalla Prefettura di Bergamo. Ha una sorella gemella, Angela Rosa. Ha frequentato la quarta elementare e ha compiuto il servizio militare come soldato del 36° Reggimento Fanteria di stanza a Modena. Il 26.5.1923 emigra con regolare passaporto in Francia, dove si iscrive al Partito comunista e dove inizia a svolgere propaganda politica in senso antifascista. In seguito alla morte del padre e di due fratelli, rientra in Italia il 20.6.1926, ma rimane disoccupato fino al novembre 1926, quando trova lavoro come fabbro alla Dalmine. Convive con la madre e due sorelle, Angela Rosa e Gemma Annunciata. Si dedica alla militanza organizzativa e propagandistica comunista attraverso la distribuzione di giornali, opuscoli e manifestini. In particolare, alle famiglie dei condannati al confino distribuisce somme di denaro avute da emissari del partito. Gli agenti della squadra politica della Questura di Bergamo, su segnalazione confidenziale, il 18.2.1927 redigono un rapporto al questore sull’attività organizzativa di Pansera, del quale vengono a conoscere l’attività, segnalandolo perciò come elemento pericoloso per la sicurezza nazionale. Il rapporto genera in Questura la decisione di dar subito luogo ad una perquisizione domiciliare. Alle 9.30 del 20.2.1927, infatti, i 4 agenti della squadra politica della questura di Bergamo, autori del rapporto citato (Sante Jacobazzi, guardia scelta; Pietro Bruno, vice-brigadiere; Tito Calanca, vice-brigadiere; Luigi Guidolotti, brigadiere), eseguono una perquisizione nell’abitazione di Pansera in via Sant’Alessandro 13 a Bergamo, nel corso della quale vengono rinvenute 13 copie del quotidiano comunista «L’Unità», stampato clandestinamente, e un block-notes datato 1927, conservato nel fascicolo, che reca nomi e indirizzi di antifascisti dai quali la polizia fascista desume l’attività di sussidio svolta da Pansera a favore delle famiglie di alcuni confinati politici bergamaschi. Tra queste figurano le famiglie di Vittorio Barcella, Battista Bonomi, Alessandro Caglioni, Guido Galimberti. Arrestato, Pansera rivendica con fierezza di essere iscritto al Pci e di aver tentato di ricostituire un’organizzazione sindacale clandestina di militanti comunisti. Interrogato in proposito, dichiara che nel novembre 1926 Battista Bonomi, arrestato subito dopo e, secondo Pansera, espulso dal partito comunista, lo aveva segnalato all’organizzazione del partito di Milano. Per questo, uno sconosciuto funzionario del partito, proveniente da Milano ma con spiccato accento piemontese, gli avrebbe proposto di distribuire nell’area bergamasca copie dell’«Unità» clandestina e sussidi per le famiglie degli antifascisti bergamaschi condannati al confino. Pansera accetta e il funzionario torna a Bergamo altre 6 volte. La prima volta nello stesso novembre 1927 per una consegna; la seconda, giungendo alle ore 18 e ripartendo alle 21, nel dicembre successivo, subito dopo l’arresto di alcuni militanti antifascisti destinati al confino. La terza, non indicata cronologicamente, è quella in cui l’interlocutore, dall’apparente età di 32 o 33 anni, vestito dimessamente, giunge alla stazione d’arrivo a Bergamo del tram di Monza e consegna 4 o 5 copie dell’«Unità» stampata clandestinamente, con il n. 1 e la data 1.8.1927 (nel verbale dell’interrogatorio è scritto 1.1.1927, ma la data corretta è appunto 1.8.1927) e la somma di 300 lire da distribuire alle famiglie degli arrestati politici di Bergamo, cioè Alessandro Caglioni, Battista Bonomi, Egidio Corti, Gaetano Ghirardi (che però li rifiuta), Vittorio Barcella e Santo Giuseppe Beltrami. La quarta volta, non indicata cronologicamente, è quella in cui giunge un altro emissario, altrettanto sconosciuto ma più giovane, che si presenta all’abitazione di Pansera con in mano, come segno di riconoscimento, la metà di un foglio di cui l’altra metà è appunto nelle mani di Pansera. Passeggiando per Bergamo, l’emissario comunista discute sulla possibilità di formare, all’interno della classe operaia bergamasca, piccoli gruppi per un’organizzazione sindacale clandestina legata al partito comunista, possibilità assai problematica secondo il parere di Pansera. La quinta, non indicata cronologicamente, vede il ritorno del primo emissario, che riprende il discorso sull’organizzazione sindacale e chiede le fotografie dei confinati, il loro mestiere e la composizione delle loro famiglie (che però Pansera non farà a tempo a fornire), consegnando altre 300 lire a loro favore, come nell’occasione del terzo incontro. La sesta e ultima volta, venerdì 18.2.1927, sempre alla stazione del tram di Monza, lo stesso funzionario gli consegna 12 copie dell’«Unità» n. 3 ma lo saluta subito perché deve recarsi a Brescia. Nella sua dichiarazione Pansera aggiunge che le copie del n. 1 dell’«Unità» le ha distribuite nel caffè «La Fenice» di via Sant’Alessandro ad un amico di nome Egidio (forse l’anarchico Egidio Corti?). Analoghe dichiarazioni Pansera rilascia l’1.3.1927 nelle carceri giudiziarie di Bergamo, dove riconferma quanto già detto al momento dell’arresto, aggiungendo solo che “non ho mai professato idee anarchiche e con gli anarchici non ho mai avuto contatti. Io sono un comunista puro e convinto e professo questa idea che per me rappresenta la libertà dei lavoratori tutti”. Il 2.3.1927 il questore di Bergamo, E. Menna, dopo aver letto le due dichiarazioni, controfirmate da Pansera, scrive un rapporto alla Commissione Provinciale per il confino di polizia per sottolinearne la ‘pericolosità’ sovversiva, raccomandando il confino. Il 15.3.1927 tale Commissione si riunisce, composta dal prefetto Carlo Solmi, dal vice-questore Carlo Barbugli, dal procuratore del Re Vincenzo Zambelli, dal console della Mvsn Battista Marconi e dal maggiore dei carabinieri Pietro Testani, che condannano Pansera a 5 anni di confino. Il 29.3.1927, con un telegramma, il Ministero dell’Interno comunica che la località prescelta è l’isola di Ustica. Nella scheda biografica che gli viene intestata l’1.4.1927, il funzionario di Questura che la compila osserva che Pansera, pur non essendo molto adatto al ruolo di propagandista per la sua scarsa cultura, è però da ritenersi pericoloso ed efficace per il suo carattere volitivo e determinato e, per questo, da sorvegliare attivamente. Pansera giunge a Ustica l’8.5.1927. Il 7.8.1927 la Commissione d’Appello di Roma, dopo il suo ricorso, riduce la pena da 5 a 2 anni. Il 7.11.1927 viene arrestato al confino per ricettazione e trasgressione agli obblighi di confino e incarcerato a Palermo. Liberato dal carcere il 3.1.1928, viene di nuovo tradotto a Ustica, ma il 26.3.1928 viene di nuovo arrestato, tradotto a Palermo e giudicato dal Tribunale, che il 3.4.1928 lo condanna a un anno e 2 mesi e a 350 lire per furto, ricettazione e contravvenzione agli obblighi del confino. Tuttavia, già il giorno 11.4.1928 viene trasferito dal carcere di Palermo di nuovo alla colonia di Ustica. Pansera ricorre in appello contro la sua condanna e il 14.7.1928 la Corte d’Appello di Palermo riduce la pena a 7 mesi di detenzione e a 175 lire di ammenda, pena esecutiva a partire dal 29.9.1928. Nel frattempo, il 3.8.1928 viene deciso il suo trasferimento dalla colonia di Ustica a quella di Ponza, che si effettua il 29.8.1928. Il 3.9.1928 l’agente Jacobazzi della Questura di Bergamo, in un rapporto al questore e al Ministero dell’Interno, dopo aver raccolto informazioni in proposito, riferisce delle misere condizioni economiche sulla famiglia di Pansera, composta dalla madre, che lavora come domestica in una casa privata ma che è rimasta disoccupata a causa di una bronco-polmonite, e da due sorelle, la sua gemella operaia presso il cotonificio Oetiker di Redona ma con orario e salario ridotti a causa della crisi del settore, l’altra disoccupata. Data la situazione e l’assenza di altri introiti, il 28.10.1928 la madre di Pansera riceve dalla Direzione Generale di Ps un assegno di mantenimento di L. 300. Il 6.12.1928 la Procura di Palermo emette mandato d’arresto nei confronti di Pansera per scontare la condanna dell’ottobre precedente: arrestato l’11.1.1929 a Ponza, deve scontare il residuo periodo di pena di 5 mesi e un giorno. Il 16.1.1929 viene tradotto nel carcere di Poggioreale a Napoli da dove, scontata la pena, il 18.6.1929 viene riportato a Ponza, dove l’8.9.1929 viene arrestato ancora una volta per “contravvenzione agli obblighi del confino e per violenza e oltraggio alla forza pubblica”. Tradotto nelle carceri di Poggioreale a disposizione del locale Tribunale, il 17.1.1930 è condannato a 2 mesi e 15 giorni di reclusione. Tuttavia, nonostante la condanna, terminato il periodo di confino, il 30.1.1930 viene rilasciato da Ponza e l’1.2.1930 rientra a Bergamo, prendendo alloggio presso la casa della famiglia d’origine in via Sant’Alessandro 13, al primo piano. Il suo nome viene compreso nell’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze e sorvegliato. Nell’aprile è ancora disoccupato, mentre nel novembre successivo lavora come operaio, senza dar luogo a rilievi di tipo politico per la sua condotta. Nel 1932 lavora presso la ditta ‘Bresciana’ per pulitura vetri e abita in via Pignolo 38. Il 5.6.1934, in un rapporto al questore, l’agente Jacobazzi esprime parere contrario all’ipotesi di una cancellazione del nome di Pansera dall’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze, perché questi continua ad esprimere la sua convinzione politica comunista e a non mostrare alcun rispetto per le autorità. Nel 1937 risulta abitare in via Pignolo 42. Nel dicembre 1939 è segnalato dalla Questura di Bergamo al Ministero dell’Interno per l’eventuale assegnazione al confino in caso di guerra. Nel giugno 1940 viene radiato dall’elenco dei sovversivi da inviare al confino in caso di guerra, mentre rimane nell’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze. La mattina del 25.12.1940, in seguito al ritrovamento di scritti antifascisti sui muri della città di Bergamo, viene fermato e detenuto nelle carceri giudiziarie per accertamenti. Il 28.12.1940 scrive dal carcere una breve lettera al questore di Bergamo in cui professa la sua totale estraneità all’episodio in questione (il documento è conservato nel fascicolo). Non essendo risultato nulla a suo carico, il 12.1.1941 viene rilasciato dopo essere stato diffidato. In tale periodo esercita il mestiere di pulitore di pavimenti. Il 23.9.1941 però è ancora in carcere “per indagini di Polizia Politica” a proposito dei danneggiamenti arrecati al monumento della Rivoluzione Fascista di Bergamo e all’effigie di Mussolini a Valtesse, avvenuti nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1941. Interrogato a questo proposito il 30.9.1941 dal maresciallo di Ps Tito Calanca (che era vice-brigadiere quando il 20.2.1927 aveva partecipato alla perquisizione dell’abitazione di Pansera e lo aveva arrestato), nega qualunque coinvolgimento e viene rimesso in libertà lo stesso giorno. Muore a Bergamo il 10.11.1941. Nel fascicolo sono conservate due fotografie, una in doppia posa scattata a Palermo il 24.8.1927, e una in doppia posa eseguita prima. É presente anche un piccolo block-notes con nominativi e indirizzi. La sua scheda biografica è compilata a partire dall' 1.4.1927. Cpc, b. 3700, 1927-1941, scheda biografica. (G. Mangini, R. Vittori)