Profilo sintetico riassuntivo
Nata ad Albino (Bg) il 27.2.1909, operaia filatrice, orfana di padre. Coinvolta nello sciopero del 22 e 23.5.1931 al Cotonificio Honegger di Albino, il 24.5.1931 viene denunciata insieme alle operaie Angela Noris, Angela Elisabetta Moroni, Emma Barcella, Ida Brugali, Maria Cuter, Maria Belotti, Teresa Fogaccia, Egidia Camozzi - tutte di Albino, tranne la Barcella, di Ponte Nossa (Bg) - come promotrice dell’astensione al lavoro da parte delle operaie. Inoltre, è accusata di aver incitato le operaie alla resistenza passiva il 21 e il 22.5.1931, opponendosi allo sgombero dello stabilimento da parte della forza pubblica. Ciò induce il questore Guarducci a proporre, per lei e per le altre citate, un provvedimento di polizia da parte della Commissione Provinciale. Il questore, nel suo rapporto al prefetto, individua come principale responsabile l’operaia Angela Noris la quale, licenziata, determina lo sciopero come forma di solidarietà nei suoi confronti, inoltre mette in relazione lo sciopero con altre manifestazioni, meno significative ma avvenute poco prima o in contemporanea in altri stabilimenti industriali di Albino e Nembro (Bg). La situazione induce il questore a credere all’esistenza “di un movimento a carattere sedizioso e che, se non arginato in tempo con provvedimenti di rigore esemplari, può dar la sensazione alle masse che esse possano impunemente violare le leggi”. I Cc danno subito luogo ad un’inchiesta per ricostruire la dinamica degli avvenimenti e individuare le specifiche responsabilità della protesta delle operaie. Già il 28.5.1931 fanno pervenire al questore la loro relazione su Ida Testa, che viene descritta da un lato come apolitica, di buona condotta morale e appartenente ad una famiglia operaia i cui componenti sono di buona condotta ma, dall’altro, nel corso della manifestazione del 22 maggio “fu la principale agitatrice non solo materialmente fermando le macchine onde impedire alle compagne di lavorare, ma anche invitandole ad abbandonare il lavoro come per prima essa aveva fatto, ed inoltre istigandole pur non lavorando a non abbandonare lo stabilimento in modo da rendere la loro protesta più efficace. Il suo comportamento fu una delle principali cause che determinò la decisione delle maestranze non solo ad astenersi dal lavoro ma a continuare in tale delittuoso procedere pur conoscendo la grave responsabilità a cui andava incontro”. Secondo la relazione di Cc, inoltre, se si dovessero verificare situazioni analoghe, la giovane Testa potrebbe riproporre lo stesso comportamento perché è in grado di svolgere propaganda, inoltre gode della fiducia delle altre operaie, sulle quali ha influenza. I Cc spiegano che non hanno provveduto al suo arresto perché, lo stesso giorno dello sciopero, era stata incaricata di presiedere la commissione che avrebbe dovuto recarsi a conferire coi rappresentanti dell’Unione Industriali a Bergamo per esporre le ragioni delle proteste delle maestranze. La scelta è caduta su di lei perché considerata “la più capace e anche perché era la principale agitatrice ed organizzatrice del movimento. Ed in tale opera sobillatrice essa, dotata di intelligenza non comune per la sua condizione di facilità di parola, riuscì in modo efficace come lo può testimoniare l’incarico di fiducia affidatole non solo dalle compagne ma anche dagli stessi rappresentanti dei sindacati”. Per tutto questo, il comandante della compagnia dei Cc di Bergamo interna Francesco Mosca propone al questore di adottare nei confronti della Testa un ‘severo’ provvedimento di polizia perché “elemento pericoloso facile a trascendere ad atti illegali”. Il questore, facendo proprie le valutazioni dei Cc, lo stesso giorno in cui riceve il loro rapporto scrive al prefetto per proporre uno specifico provvedimento di polizia dato che la Testa, “per l’ascendente della medesima sulla massa operaia, per la propaganda dalla stessa svolta per l’abbandono dal lavoro e l’incitamento a persistere nell’astensione, può essere ritenuta una delle maggiori responsabili’ della manifestazione”. Alle 18 del 2.6.1931 i Cc la fermano perché denunciata alla Commissione Provinciale per l’assegnazione al confino. Trasferita nel carcere giudiziario di Bergamo, viene subito portata davanti alla Commissione, composta dal prefetto Egisto Terzi, dal procuratore del re Roberto Bonvino, dal questore Giovanni Guarducci, dal tenente colonnello dei Cc Pietro Testani e da Ferruccio Gatti, console e comandante della XIV legione della Mvsn di Bergamo. Dal verbale, oltre alla condanna a pagare 100 lire di multa e 50 lire di ammenda “perché responsabile del reato previsto dall’art. 18 legge 3.4.1926 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi in relazione all’art. 95 del regolamento ed agli art. 190 e 434 del codice penale”, risulta anche l’assegnazione di 2 anni al confino di polizia. Il prefetto di Bergamo, tuttavia, nutre dei dubbi sulla sensatezza o, almeno, sull’opportunità politica e sociale dell’assegnazione della ragazza al confino, dato che già il giorno dopo, 3.6.1931, informando la Divisione Confino del Ministero dell’Interno della condanna al confino, scrive: “prego far conoscere d’urgenza se per la Testa, analogamente a quanto è stato stabilito per le altre 5, debbasi sospendere la partenza per il luogo assegnato pel confino”. Di fatto, la condanna non ha seguito e il 15.6.1931 viene liberata dal carcere come le altre operaie, senza che di nessuna di esse venga segnalato il nominativo al Cpc. Nel fascicolo non ci sono specifici documenti che forniscano informazioni sui giorni trascorsi dalla condanna alla liberazione e sulle specifiche ragioni del mutato atteggiamento da parte dell’apparato repressivo nei confronti della Testa e delle altre operaie arrestate. Tuttavia, nel fascicolo è presente un ultimo, significativo dattiloscritto a firma del questore, senza data ma certamente posteriore ai documenti fin qui indicati, in cui si coglie bene la vera e propria inversione nell’atteggiamento verso le operaie coinvolte nel provvedimento del confino di polizia, in particolare proprio verso Ida Testa. Scrive infatti il questore: “Visto che la denuncia alla Commissione del confino fu consigliata da motivi contingenti, tanto è vero che il provvedimento di polizia venne quasi subito revocato, mentre in linea politica le prevenute non diedero mai luogo a rilievi, e pertanto non si ritiene di segnalarla a Casellario centrale, si depennano”. La precipitazione spaventata con cui, all’inizio della vicenda, i Cc, la Questura e la Prefettura reagiscono allo sciopero spontaneo delle operaie di Albino organizzando subito il dispositivo della Commissione Provinciale per l’assegnazione al confino, si può forse spiegare con la paura che l’episodio andasse inteso come l’affiorare di una potenziale e temuta conflittualità sociale e politica che, in realtà, era assente, comunque erroneamente giudicata maggiore e più significativa di quanto non fosse in realtà. Si tratta di un atteggiamento che può essere interpretato anche come il segno di una sostanziale insicurezza, da parte delle forze dell’ordine, a proposito della propria effettiva capacità di controllo delle dinamiche sociali. Nella documentazione conservata, viceversa, non ci sono documenti che possano chiarire l’altrettanto veloce cambiamento nei confronti delle prime decisioni prese dagli apparati dello Stato fascista in sede locale, che può forse essere attribuito ad una più lucida interpretazione dei fatti, favorita dalla valutazione della fisionomia umana e politica delle singole operaie dopo il loro arresto, forse insieme ad un qualche intervento esterno, da parte imprenditoriale o religiosa o altro, a tutela delle singole operaie e delle loro famiglie. (G. Mangini, R. Vittori)