Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Bergamo il 4.2.1898, pubblicista, comunista, morto all'ospedale di Agen (Francia) il 12.10.1942. Suo padre Filippo, di Ettore e Carolina Ciolfi, è n. a Pofi (Fr) il 22.10.1869 ed è domiciliato a Bergamo insieme alla moglie Giulia Valli, fu Alessio e Daly Vinefredy Cornel, n. Ambivere (Bg) il 26.5.1870. Si sposa a Milano con Pina (Giuseppina) Bosatra il 6.6.1921. Ha due fratelli, Tullo e Vittorio, quest’ultimo impiegato all’Ospedale maggiore di Milano e sposato con Enrichetta Botta. Querelato per diffamazione ed ingiurie, il 12.12.1919 il Tribunale di Bergamo assolve Enrico Tulli per recesso di querela, ma nel fascicolo non ci sono indicazioni sull’autore e sulle ragioni della querela. Il 15.4.1920 la Prefettura gli rilascia il porto d’armi per una rivoltella. Nel corso dello stesso 1920 tiene conferenze ai contadini in lotta con i proprietari terrieri per l’affittanza della terra nella sua qualità di dirigente presso l’Ufficio del Lavoro aderente alla Casa del Popolo, incarico da cui viene allontanato insieme a Romano Cocchi per la radicalità delle posizioni assunte dai due nel contesto del movimento sociale cattolico. Tulli e Cocchi costituiscono allora l’Unione del Lavoro di Bergamo e Brescia, aderente alla Confederazione Sindacale del Lavoro, che ha le proprie sedi in via San Giorgio 14 a Bergamo e in via Milano 70 a Brescia, e ha come organo ufficiale il periodico «Bandiera Bianca». Il 10.8.1921, su carta intestata ‘Confederazione Sindacale del Lavoro - Unione del Lavoro di Bergamo e Brescia - Bergamo, Via S. Giorgio 14, Telef. 10-67 - Brescia, via Milano 70 - Organo ufficiale: «Bandiera Bianca»’, Tulli scrive al vice-commissario della Questura di Bergamo. La lettera, conservata nel fascicolo, come da obbligo di legge informa la Questura che l’Unione del Lavoro sta per spedire, a tutte le leghe presenti in provincia di Bergamo e aderenti alla Confederazione, alcuni manifesti per l’affissione pubblica, dei quali allega copia, aggiungendo che alcuni di essi, per un equivoco dell’incaricato, sono già stati spediti. Sul foglio della lettera c’è anche un appunto autografo del vice-commissario: “11.8.21 Disposto sia denunciato il Tulli”. La denuncia segue il suo corso e, con sentenza del 16.9.1921 del pretore di Bergamo, Tulli viene condannato a pagare un’ammenda di 30 lire per violazione dell’art. 65 della legge di Ps, relativo appunto alle norme che regolano le pubbliche affissioni. Lo stesso 16.9.1921, giorno della sentenza che condanna Tulli al pagamento della multa, vede la luce a Bergamo il primo numero del nuovo settimanale «L’Azione proletaria. Organo ufficiale della Camera confederale del Lavoro di Bergamo e provincia», di cui Tulli è redattore capo. Il giornale nasce dalla fusione del periodico «La Fiaccola», organo della CdL di Bergamo, col settimanale cattolico «Bandiera bianca» diretto da Cocchi. La fusione delle due riviste è il segno, sul piano editoriale, di un progressivo radicalizzarsi nell’area bergamasca della componente migliolina delle leghe bianche, di cui Cocchi e Tulli sono gli esponenti più significativi, fino all’adesione alla Cdl anche se, in effetti, nelle note redazionali della nuova rivista Cocchi e Tulli vengono ancora indicati come ‘democratici cristiani’. Cocchi, in particolare, è molto polemico verso il Ppi, accusato di connivenza con il fascismo. In effetti, verso la fine del marzo 1922 l’Unione del Lavoro aderisce formalmente alla CdL di via Sant’Orsola 7 a Bergamo, nel contesto della quale Tulli prosegue la sua attività propagandistica “organizzando le masse con tendenze comuniste”. L’aperto antifascismo di Tulli lo fa diventare un bersaglio per i fascisti locali, rendendo pericolosa la sua permanenza a Bergamo, dove abita in via N. Sauro 9. Per sfuggire alle violenze fasciste, che gli infliggono ripetuti pestaggi, il 28.9.1922 si trasferisce a Milano e la stessa cosa fa Cocchi. Tra i principali interlocutori di Tulli e di Cocchi a Milano c’è Riccardo Lombardi, a sua volta formatosi nell’ambito del partito popolare e progressivamente spostatosi sulle posizioni radicalizzate di Guido Miglioli come Tulli e Cocchi, per uscire infine dal partito nella primavera del 1921. Con Giuseppe Speranzini, Enrico e Tullo Tulli, Cocchi e alcuni altri, nel settembre 1921 Lombardi aveva contribuito alla fondazione del Partito cristiano del lavoro, un tentativo che però si era spento presto. Tulli e Cocchi, dopo essere entrati nel partito socialista, insieme a Giacinto Menotti Serrati si spostano rapidamente verso il Pcd’I, facendo parte del gruppo dei cosiddetti ‘terzini’ per essere aderenti alla Terza Internazionale, mentre Lombardi verso il Partito socialista, salvo poi avvicinarsi a sua volta al Pcd’I dopo il delitto Matteotti. Nel corso del 1923 Tulli e Cocchi pubblicano a Milano il libro Scandali nella vandea clericale, con prefazione di Serrati, stampato dalla tipografia della Società Editrice ‘Avanti!’. Intanto, con sentenza del 31.1.1923 il Tribunale di Bergamo condanna Tulli a 2 mesi e 15 giorni di reclusione per minaccia a mano armata nei confronti del fascista ragionier Attilio Japicca e per porto abusivo di rivoltella, condanna però amnistiata. Il 21.3.1923 il Tribunale di Bergamo lo condanna a 150 lire di multa per infrazione della legge sulla stampa. Dal momento del suo trasferimento a Milano, le Questure delle due città si impegnano a rintracciarlo per poterlo controllare perché, come afferma il 12.5.1923 il questore di Bergamo scrivendo a quello di Milano, negli “ultimi tempi” Tulli è passato dall’organizzazione sindacale dell’Unione del Lavoro di Bergamo e Brescia, cattolica, alla Camera del Lavoro, socialista. Gli agenti di Ps di Milano, su segnalazione della Questura di Bergamo del 12.6.1923 (che riferisce anche che Tulli collabora al giornale socialista «La Giustizia»), lo cercano in via Brioschi 26, dove vivrebbe con Cocchi, e nelle adiacenze, senza risultato, riferendo a Bergamo il 17.7.1923. Le ricerche della polizia sono intense ma a lungo infruttuose. Il 12.8.1923 il questore di Bergamo scrive al questore di Milano che sul n. 183 del «Corriere della Sera» del 2.8.1923, viene pubblicata una dichiarazione del “noto estremista bianco Tulli Enrico a proposito dell’avvenuto scioglimento del Consiglio provinciale di Bergamo”. La segnalazione viene effettuata perché “tale circostanza potrebbe agevolare le ricerche del Tulli”. La Questura di Milano lo rintraccia il 22.11.1923 in via Crema 6, dove risiede presso la suocera, la cui abitazione viene perquisita con esito negativo e Tulli vigilato. Il 13.2.1926 la Questura milanese chiede altre informazioni a quella di Bergamo su Tulli, che abita ancora in via Crema 6, perché è entrato da poco a far parte della redazione de «L’Unità». Sull’«Avanti!» del 22.8.1926 compare la seguente notizia: “Aggressioni e violenze. L’altra notte verso le due, il redattore dell’«Unità» Enrico Tulli, appena uscito dalla tipografia, veniva circondato da una decina di sconosciuti muniti di nodosi randelli e circondato con evidenti intenzioni poco benevole. Il Tulli riusciva però a sfuggire agli aggressori, i quali lo inseguivano lanciandogli sassi e un randello che non lo colpivano; la squadra stazionava ancora diverso tempo nei pressi del giornale”. Due giorni dopo, la Questura di Milano informa quella di Bergamo che Tulli è comunista ed è redattore del quotidiano comunista «L’Unità». Anche il 16.9.1926 la Questura di Milano scrive a quella di Bergamo che Tulli è sempre comunista e scrive per «L’Unità». Nel luglio 1927 viene arrestato a Milano perché in via Bixio 10 la polizia fascista scopre una sorta di ufficio di corrispondenza comunista diretto da Luigi Bagnolati (Bondeno, 1892 – Bologna, 1976; Cpc, b. 253). Tulli viene denunciato al Tribunale Speciale, imputato dei reati previsti dagli articoli 2, 3, 4 della legge per la difesa dello Stato, insieme ad altre 7 persone: oltre al già citato Luigi Bagnolati (di Giovanni, n. a Bondeno, Fe, il 26.9.1892), Dina Nozzoli (di Gioacchino, n. a Montespertoli, Fi, il 14.8.1898), Aderito Ferrari (di Adolfo, n. a Reggio Emilia il 19.1.1900), Vincenzo Rigamonti (di Luigi, n. a Milano il 21.2.1901), Agostino Novella (n. a Genova il 28.91905), Giuseppe Perrucchini (di Giovanni, n. a Roma il 10.2.1901), Cesare Cassi (di Costante, n. a Torino il 23.12.1901), Carlo Agosti (di Ignoti, n. a Dazio, So, il 20.8.1905). Dopo l’arresto viene detenuto nel carcere di San Vittore a Milano. Dalla metà di novembre 1927 Tulli viene collocato nella stessa cella di Antonio Gramsci che, da Ustica, vi era stato trasferito il 7.2.1927. Nelle lettere dal carcere di Gramsci, la prima menzione dell’arrivo di Tulli nella sua cella è del 21.11.1927, quando ne scrive alla madre in termini positivi: “in questi ultimi giorni mi sento proprio bene, perché abito in una cella insieme con un amico; la compagnia fa sentire meno la noia e ciò determina un po’ più di appetito”. Lo stesso giorno ne scrive anche a Giulia (Julka) Schucht, la moglie russa da cui aveva avuto i due figli Delio e Giuliano, aggiungendo un elemento ulteriore: “da qualche giorno non sono più isolato, ma sto in una cella comune con un altro detenuto politico, che ha una graziosa e gentile bimbetta, di tre anni, che si chiama Maria Luisa. Secondo un costume sardo, abbiamo deciso che Delio sposerà Maria Luisa appena i due siano giunti all’età matrimoniale; che te ne pare?”. Tra la moglie di Tulli, Pina, e Tatiana Schucht, la cognata di Gramsci, presente a Milano, si stabilisce un rapporto di amicizia e collaborazione, tanto che la Schucht si trasferisce nell’abitazione della moglie di Tulli, con l’aiuto della quale, fino al gennaio 1928, tutti i giorni riesce a preparare un pasto adeguato per Gramsci, che ne trae giovamento per le sue precarie condizioni di salute. In seguito all’arresto, alla denuncia al Tribunale Speciale e alla detenzione preventiva in attesa di giudizio, il 29.8.1927 il Tribunale Militare del Corpo d’Armata Territoriale di Milano scrive al questore di Bergamo per avere informazioni su Tulli. Il 15.9.1927 gli agenti della squadra politica della Questura di Bergamo (il brigadiere Luigi Guidolotti, il vice-brigadiere Tito Calanca e la guardia scelta Sante Jacobazzi) redigono il rapporto richiesto, in cui riassumono le attività di Tulli a partire da quando è stato vice-segretario generale dell’Unione del Lavoro, per conto della quale ha tenuto conferenze “nelle quali adoperava un linguaggio violento, faceva anche stampare dei manifestini volanti con tono estremistico tanto più che più d’una volta ha turbato l’ordine pubblico”. La conclusione del rapporto è che, “stante la coltura e la scaltrezza del Tulli, si ritiene pericolosissimo per l’ordine Nazionale. Si fa noto che il Tulli è conosciuto perfettamente dal Brig. Guidolotti Luigi e dal V. Brig. Calanca Tito della squadra politica di questa R. Questura”. Il Tribunale Speciale si riunisce per processare Gramsci e altri 21 imputati (il ‘processone’) il 28.5.1928 e il 4.6.1928 Gramsci viene condannato ad oltre 20 anni di carcere e mandato al confino a Turi (Ba), mentre lo stesso Tribunale l’8.10.1928 dichiara colpevoli Bagnolati, Cassi e Tulli di ricostituzione del partito comunista e di istigazione (rispettivamente condannati a 15 anni i primi due e a 13 anni Tulli); Ferrari e Perrucchini di sola ricostituzione del partito (10 anni ad entrambi); Novella, Rigamonti e Agosti di appartenenza al partito e di propaganda sovversiva (4 anni ad entrambi); Nozzoli di sola appartenenza al partito (3 anni). Tutti gli imputati sono interdetti dai pubblici uffici e sottoposti a tre anni di libertà vigilata una volta scontata la pena detentiva. Tulli viene mandato ad Ancona, ma dal 1930 verrà trasferito a Turi, dove ritrova Gramsci. Il 6.5.1929 il Ministero degli Interni - Direzione Generale di Ps - Polizia Politica, scrive una nota riservata al prefetto di Bergamo informandolo del fatto che un uomo di Seriate (Bg), forse cugino di Tulli, si sarebbe incontrato in Belgio con Guido Miglioli, dandogli notizie catastrofiche sulla situazione interna dell’Italia. Il Ministero chiede perciò di provvedere all’identificazione dell’uomo. Il prefetto di Bergamo risponde dopo dieci giorni, il 16.5.1929, informando che Tulli non ha parentela a Seriate ma solo a Bergamo e che l’unico parente non residente a Bergamo, Amerigo Valli fu Alessio e fu Piccioni Maria, nato a Brooklin il 22.10.1899, si trova negli Stati Uniti da molto tempo e, finché è rimasto in Italia, “per quanto pregiudicato per reati comuni, non ha dato motivi a rimarchi per condotta politica”. Durante il soggiorno a Turi, il dibattito politico con Gramsci, già iniziato nel carcere di San Vittore, nel 1930 assume una connotazione assai aspra, dato che Tulli fa parte di quel gruppo di comunisti che in carcere discutono con durezza le sue posizioni, prendendo progressivamente le distanze sia da lui che dagli altri comunisti fedeli alla linea del partito. Il 3.10.1931 il Cpc scrive al prefetto di Bergamo chiedendo informazioni su Tulli, in quel momento detenuto nelle carceri di Turi (Ba). La ragione della richiesta dipende dal fatto che il nome di Tulli figura in un elenco di “vittime del fascismo” in possesso di Aldo Lorenzoni, arrestato in Belgio. Da Turi viene poi trasferito a Civitavecchia. Il 17.8.1932 il Cpc informa i prefetti di Bergamo e Milano che Tulli ha chiesto di poter corrispondere con la moglie Giuseppina Bosatra e le figlie Frida e Maria Luisa, residenti a Milano in via Montebello 7; con il fratello Vittorio, residente a Milano via Goldoni 1, e con i genitori, che abitano a Bergamo in via XXVIII ottobre 31. Il vice-brigadiere di Ps Paolo Rizza il 23.8.1932 esprime parere favorevole alla corrispondenza tra Tulli e i genitori per la buona condotta di questi: la comunicazione formale del permesso avviene il 25.8.1932. Nel dicembre 1932 Tulli presenta alla direzione del carcere di Civitavecchia la domanda per ottenere la libertà condizionata, respinta, mentre nel settembre 1933 chiede di tenere corrispondenza con la signora Agnese Valli vedova Alborghetti, residente a Bergamo in via XXVIII Ottobre n. 31, zia materna. Il 12.9.1933 il Cpc, prima di concedere il permesso, chiede al prefetto di Bergamo informazioni sul conto della signora. Una settimana dopo, il 19.9.1933, il prefetto risponde al Cpc che la signora Valli vedova Alborghetti è zia di Tulli, che i componenti della famiglia Alborghetti “sono di condotta ineccepibile e i figli risultano inscritti al Partito Fascista. Pertanto nulla osta a che tra il Tulli e la zia Valli abbia luogo scambio di corrispondenza”. Scontata la pena principale, ridotta per successivi indulti, nel settembre 1934 viene liberato dal penitenziario di Civitavecchia e inviato a Bergamo e qui sottoposto alla libertà vigilata. Si tratta di una pena accessoria che prevede l’obbligo di svolgere un lavoro, di non uscire dalla propria abitazione al mattino prima dell’alba e non rincasare più tardi ‘dell’Ave Maria’, di non frequentare luoghi pubblici (osterie, spacci di bevande alcooliche, postriboli, luoghi di riunione, trattenimenti e spettacoli pubblici), non accompagnarsi abitualmente a persone pregiudicate o sospette anche in linea politica, non avere o portare armi o strumenti di offesa, tenere buona condotta e non dar luogo a sospetti, presentarsi ogni domenica mattina alle autorità di Ps del proprio distretto. Giunto a Bergamo e subito sottoposto a vigilanza da parte dell’agente Sante Jacobazzi, chiede di essere autorizzato a traferirsi a Milano, dove risiede la sua famiglia e sua abituale dimora. La richiesta viene accolta con formale autorizzazione concessa il 3.10.1934 dal Giudice di sorveglianza del Tribunale di Bergamo. Il 25.10.1934 il Cpc comunica al prefetto di Bergamo che chi ha competenza a concedere il trasferimento di Tulli da Bergamo a Milano non è il Ministero degli Interni, bensì il Giudice di Sorveglianza (cioè il Ministero di Grazia e Giustizia), ma nel caso il Giudice di Sorveglianza chiedesse un parere in proposito al Cpc, questi lo esprimerebbe favorevole. Così, in data 30.10.1934 c’è un appunto rivolto al questore da un agente di Ps che dice: “30.10 Il Vice-Segretario Federale raccomanda il Tulli che ha bisogno di andare a vedere la sua famiglia a Milano” e, nella stessa data, sullo stesso foglio, così scrive il questore: “Si concedono due giorni di permesso informatone il Questore di Milano”. Il 5.11.1934 c’è un appunto dell’agente Jacobazzi che comunica di aver ordinato a Tulli di presentarsi in Questura quello stesso pomeriggio per istruire la pratica del suo trasferimento di residenza vigilata a Milano, e a tale appunto è allegato il biglietto da visita di Enrico Tulli: “Enrico Tulli - Studio d’Arte Via Montebello, 7 – Milano”. Il 13.11.1934 il giudice di sorveglianza di Bergamo autorizza Tulli a trasferirsi a Milano e il 17.11.1934 l’agente Jacobazzi segnala al questore di Bergamo la partenza di Tulli alla volta di Milano. Il 22.2.1936 la Sezione I della AGR - Divisione Affari Generali Riservati della DGPS - Direzione Generale della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno scrive al prefetto di Bergamo per sapere dove si trovi Tulli, chiedendo informazioni sul suo conto a partire dal momento della sua liberazione dalle carceri di Civitavecchia. Il 19.8.1936 il brigadiere Calanca riferisce al questore di Bergamo che Tulli, libero ma vigilato politico, è ripartito alla volta di Milano dopo aver dimorato presso i genitori in via F. Martinengo Colleoni 3. Il 27.1.1938 si allontana dalla propria abitazione di Milano senza più farvi ritorno. A Milano era comproprietario del periodico settimanale «Enigmistica Tascabile» e, prima di allontanarsi, ha venduto la sua quota di proprietà del periodico. Agli inizi del febbraio 1938 viene segnalato in Svizzera, dove si è recato varcando clandestinamente il confine. Il 12.2.1938 il questore di Bergamo informa il Cpc e il prefetto di Milano che Tulli è stato a Bergamo dai genitori per l’ultima volta in occasione delle feste natalizie del 1937. Il 21.3.1938 viene iscritto in RF con l’indicazione dell’arresto. Il 21.8.1938 è iscritto in BR con il n° 0620. Il 2.3.1939 la Prefettura di Milano informa che Tulli risiede a Parigi, 12 Rue Ortolan (situata tra il Pantheon e la Senna), dove ha uno studio di scultura. A Parigi si lega di intensa amicizia con Angelo Tasca. Nel giugno del 1940, a causa dell’occupazione nazista, Tulli aiuta Tasca a mettere in salvo la sua ricca biblioteca. Per la stessa ragione Tulli lascia Parigi per recarsi ad Agen, dove esiste una nutrita comunità di lavoratori bergamaschi d’orientamento cattolico-sociale. Il 21.11.1940 da Agen (dipartimento Lot-et-Garonne, regione Aquitania) Tulli scrive alle figlie una cartolina illustrata con i soli saluti e il giorno successivo, 22.11.1940, una cartolina analoga da Tolosa. La corrispondenza della famiglia è controllata e la polizia fascista interroga le figlie di Tulli sul recapito del padre, che però ignorano. Analogamente, il 28.11.1940 i genitori di Tulli, che risiedono a Bergamo in via Colleoni 3, ricevono dal figlio una cartolina da Tolosa con i soli saluti. Anche loro, interrogati il 2.1.1941 dagli agenti di Ps, ignorano dove il figlio si trovi. Una segnalazione del Cpc dell’1.6.1941 alle Prefetture di Bergamo e Milano di provenienza fiduciaria riferisce che Tulli “sarebbe attualmente capitano dell’esercito francese”. Il 18.4.1942 il prefetto di Milano segnala al Cpc e al prefetto di Bergamo che Tulli, da molto tempo, non dà sue notizie alle figlie residenti a Milano, mentre il 13.9.1942 il Cpc informa le Prefetture di Bergamo e Milano che Tulli, secondo notizie fiduciarie, è stato segnalato ad Agen, dove muore all’ospedale locale in seguito ad un attacco cardiaco il 12.10.1942. Cpc, b. 5238, fasc. 002252, 1927-1943; ACS, PP, b. 1383. (G. Mangini)