Profilo sintetico riassuntivo
Nato il 3.9.1907 a Ponte San Pietro (Bg), muratore, antifascista, residente a Curdomo (Bg) in frazione Merena. La sua famiglia è composta dalla sorella Anna, dal fratello Ermanno e dalla zia materna Angela Colleoni. Possiedono in comune una casa del valore di 35.000 lire costruita dallo stesso Maffeis dove vivono insieme. Il 16.3.1937 Maffeis e Gioacchino Alborghetti, entrambi muratori dipendenti dell’impresa edile Luigi Colombo di Mapello (Bg), sono impegnati nella costruzione di un capannone per il deposito di biciclette degli operai occupati nel campo di aviazione di Ponte San Pietro. A causa del ritardo nei lavori al tetto da parte di un'altra ditta, la ditta Colombo si vede costretta a sospendere i lavori in muratura in cui erano impegnati una decina di operai. Nella circostanza, "l’Alborghetti, perciò, riferendosi a questo fatto, verso le ore 9 stando nel costruendo capannone, pronunziò la frase: «Vengano i rossi che li accoglieremo a braccia aperte», al che l’altro muratore, il Maffeis, soggiunse «andremo con il bandierone a Ponte a fare la rivoluzione». I due furono redarguiti dal podestà di Bonate Sopra, i quali dopo tacquero". Denunciati dal podestà di Bonate Sopra, Giovanni Locatelli, il 20.3.1937 i Cc di Bergamo procedono all’arresto dei due i quali, interrogati, negano. Solo il 22.3.1937 i Cc comunicano al Cpc, alla Prefettura e alla Questura di Bergamo di aver arrestato i due operai, i quali preparano un memoriale difensivo. Quello di Maffeis, scritto dal suo avvocato, è del 2.4.1937: ‘Il 16.3.1937 certo Alborghetti, addolorato per essere prossimo a tornare occupato, ebbe a fare una ‘boutade’: «Magari venissero i Rossi». Al che il Maffeis con spirito di cattivo genere soggiunse: «Gli vado incontro anch’io». Parole senza serietà. Spirito di cattivo genere. Ma nessuna intenzione dolosa. Si richiamano i suoi ottimi precedenti, la situazione familiare e i testi in sua difesa’. Il 4.4.1937 il questore di Bergamo, Monarca, invia al prefetto una relazione sulle ragioni del fermo e, pur rilevando che i due muratori non hanno precedenti penali e politici, sottolinea il fatto che le frasi da loro pronunciate sono ‘prova certa dei loro sentimenti antifascisti’. Ritenendoli pericolosi per l’ordine pubblico, anche in considerazione degli avvenimenti internazionali (la guerra di Spagna), propone per entrambi l’assegnazione al confino di polizia. Il 7.4.1937 si riunisce la Commissione Provinciale per il confino di polizia per giudicare e decidere le eventuali sanzioni e nel corso della seduta Maffeis nega con decisione di aver pronunciato le parole che gli vengono attribuite e di non essere stato presente neanche al momento delle parole di Alborghetti. Per questo, la Commissione decide un supplemento d’inchiesta, interrogando il podestà Locatelli, il mutilato Giuseppe Pelliccioli, custode del deposito di biciclette, e il centurione Federico Giacometti, comandante della Mvsn della zona di Ponte S. Pietro. I verbali delle loro dichiarazioni sono conservati nel fascicolo. Per quanto riguarda Giuseppe Pelliccioli (fu Giovanni e Giuditta Persico, n. il 9.10.1886 e abitante a Sombreno di Paladina, custode al deposito biciclette del campo di aviazione di Ponte San Pietro), dichiara di non conoscere di persona né Alborghetti né Maffeis, ma che alla distanza di 4-5 metri ha udito uno dei due dire: «Prenderemo il bandierone e andremo a Ponte San Pietro», e l’altro ha risposto: «Andremo a fare il lunedì all’Ufficio Collocamenti», aggiungendo di aver udito ‘anche che uno dei due ma non posso precisare quale, si esprimeva, lamentando il modo come venivano trattati i mutilati’. A causa del rumore del lavoro non ha sentito altre parole. Il podestà Giovanni Locatelli (n. a Bonate Sopra il 31.8.1899 e residente a Ponte S. Pietro) afferma che Maffeis, non potendo lavorare quel giorno, si allontana ma si imbatte in Alborghetti, il quale si lamenta di essere stato escluso pronunciando la frase incriminata, seguita da quella di Maffeis. A suo parere, però, quest’ultimo non alludeva alla bandiera rossa come Alborghetti, ‘tanto che a costui disse, come risposta: «La bandiera non si usa più». Avendoli io richiamati ed invitati ad allontanarsi il Maffeis si allontanò’. Quanto al centurione Federico Giacometti, questi dichiara di non conoscere Maffeis, ma il fratello Ermanno, ‘buon fascista’. Non era presente al fatto e pertanto non può dire nulla al riguardo. Ritiene però che le parole sotto accusa, qualora fossero state pronunciate, non vanno intese come l’espressione di un’intenzione sovversiva, ma solo come ‘una recriminazione verso il dirigente del lavoro dal quale il Maffeis desiderava una sistemazione migliore (..) per poter contrarre matrimonio. Ciò ho riferito anche al sig. Console cav. Gallo’. Un secondo memoriale della difesa di Maffeis, datato 13.4.1937, firmato e presentato dall’avv. Ubaldo Riva, il quale scrive che ‘riteneva doversi escludere il dolo e ciò in base allo psichismo dell’imputato e i suoi precedenti e al suo ambiente famigliare. Ma in seguito alle dichiarazioni del Maffeis che esclude di aver pronunciata frase incriminata e anzi di aver ripreso il suo interlocutore e che vari testi d’accusa confermano la sua versione, fa istanza di non luogo a procedere contro Maffeis e in via istruttoria perché vengano sentiti i testi d’accusa e teste di controllo Maffeis Anna fu Guglielmo’. Nel fascicolo è conservato anhe il verbale relativo alla dichiarazione di Maffeis, interrogato il 27.4.1937 dalla Commissione Provinciale, con la quale conferma di essersi recato al lavoro il 16 marzo e di aver visto Alborghetti ma senza scambiare parole con lui, di aver parlato con un ingegnere e poi di essere andato via. É conservato anche il verbale dattiloscritto della Commissione Provinciale del 27.4.1937 (Giuseppe Toffano, prefetto; Francesco Calcaterra, procuratore del Re; Belisario Monarca, questore; Giovanni Gallo console Mvsn; Mapelli Luigi, comandante Cc; Guido Sessa commissario di Ps). La Commissione prende in esame gli atti relativi a carico di Maffeis, denunciato per l’assegnazione al confino di polizia ai sensi art. 181 n. 2 della legge di Ps, ‘quale individuo socialmente pericoloso per il suo atteggiamento antinazionale’ e delibera l’assegnazione al confino per la durata di un anno. La delibera è stata letta al Maffeis, al quale è anche stata resa nota la facoltà di ricorrere entro 10 giorni dall’emissione della sentenza alla Commissione Centrale di Appello presso Ministero dell’Interno, cosa che Maffeis fa. In conseguenza della condanna, il 5.5.1937 la Questura di Bergamo allerta i Cc di Bergamo e la Questura di Campobasso che Maffeis dve essere trasferito nella destinazione decisa dal Ministero dell’Interno, che è Isernia, dove giunge l’11.5.1937. Il 15.5.1937 i Cc restituiscono alla Questura di Bergamo il ricorso alla Commissione d’Appello, presentato da Maffeis per il tramite dell’avvocato Ubaldo Riva di Bergamo, commentandone il contenuto. Nel ricorso sono citate 3 persone, i cui verbali d’interrogatorio sono presenti nel fascicolo: il cavalier Federico Giacometti (fu Luigi e Rosa Gagiossi, n. il 24.2.1896 a Brembate Sopra, dove risiede, centurione della Mvsn e capo manipolo della centuria fascista di Ponte San Pietro), Mario Lombardi (fu Alessandro e Maria Fachiri, n. il 13.8.1899 ad Ambivere e residente a Ponte S. Pietro, impiegato, a sua volta capo manipolo di una centuria fascista di Ponte San Pietro), il sacerdote prof. don Giovanni Battista Lombardi (fu Alessandro e Maria Facheris, n. il 26.2.1883 a Mapello, residente a Ponte S. Pietro dove è parroco). Il comandante Giuseppe Pasanisi dei Cc osserva che si tratta di persone di buona condotta e, tranne il parroco, iscritte al Pnf. Inoltre, si sofferma su un passaggio specifico del ricorso, in cui è scritto che la frase ‘sovversiva’ pronunciata da Maffeis sia da intendere come costituita «parole senza serietà, e cioè di una espressione destituita di vis politica senza intenzione di offesa al Regime», ma Pasanisi, pur tenendo conto delle precedenti buone qualità morali di Maffeis e della lodevole condotta da lui tenuta sotto le armi, ritiene che la frase «Andremo con il bandierone a Ponte a fare la rivoluzione», pronunciata da Maffeis in risposta o in relazione ‘a quelle pronunciate dal noto Alborghetti Gioacchino fu Giuseppe (..) poteva, seppur debba ritenersi pronunciata senza una vera e propria intenzione dolosa, produrre, negli altri operai presenti, un pernicioso stato s’animo e un deplorevole incitamento ad una manifestazione pubblica di protesta, per mancanza di lavoro, che, se accolta dagli altri operai, che in quella mattina del 16 marzo scorso, erano forzatamente inoperosi, portare a conseguenze imprevedibili agli effetti dell’ordine pubblico’. Tuttavia, dato che in precedenza Maffeis non aveva dato luogo a rilievi in linea politica e data. ‘la sua intelligenza e il carattere sensibile, la detenzione e il confino già sofferti dal 20 marzo scorso ad oggi ritiensi siano sufficiente monito a meglio comportarsi politicamente per l’avvenire e l’atto di clemenza invocato, un mezzo per ridonare alla società con sentimenti di maggior devozione per la causa del fascismo’. La disponibilità del comandante Pasanisi ad accogliere il ricorso di Maffeis non viene accolta dal prefetto, che sotto la relazione scrive un appunto di suo pugno: ‘Sebbene si tratti di elemento non pericoloso (..) non si ritiene opportuna, almeno per ora, la revoca del provvedimento contro il quale si ricorre, allo scopo di far si che lo stesso serva di monito nell’ambiente operaio ed anche nei confronti del ricorrente e dia la precoce supposizione che certe manifestazioni a carattere piuttosto sovversivo trovano la giusta e pronta adeguata repressione da parte dell’autorità’. Il 22.7.1937 il Cpc chiede al prefetto di Bergamo di fornire la descrizione dei connotati di Maffeis e di spedire 2 sue fotografie. Dato però che Maffeis è a Isernia, il 16.8.1937 per telegramma viene richiesto dalla Questura di Bergamo alla Questura di Campobasso di fotografare Maffeis, ma due giorni dopo, il 18.8.1937, il questore di Campobasso risponde che non possiedono un gabinetto fotografico e pertanto dovranno inviare un fotografo di fiducia a Isernia. Le fotografie vengono realizzate dal fotografo Marcello Di Meo, 3 lastre in vetro presenti nel fascicolo, del costo di £ 24.00. La Questura di Campobasso il 29.12.1937 ne chiederà il rimborso a quella di Bergamo. Nel frattempo, il 27.7.1937 la Commissione d’appello accoglie parzialmente il ricorso di Maffeis e riduce il periodo di confino da 1 anno a 6 mesi. Così, il 21.9.1937 il prefetto di Campobasso Giuseppe Cocuzza con un telegramma informa sulla partenza di Maffeis, che nello stesso giorno è stato fornito dal municipio di Isernia del foglio di via obbligatorio, con l’obbligo di rientrare a Ponte San Pietro entro 3 giorni e presentarsi al questore di Bergamo. Sullo stesso documento, a mano, è annotato: ‘23-9-1937 presentatosi ed arrivato a Ponte San Pietro’. Il 20.8.1939 la questura di Bergamo chiede informazioni sulla condotta di Maffeis ai Cc, che rispondono il 29.8.1939 scrivendo che dal momento del rilascio dal confino non ha più dato luogo a rimarchi, ma non ritengono ancora opportuna la sua radiazione. Tra la fine del 1940 e l’inizio del 1941 Maffeis chiede l’iscrizione al Pnf. Il 9.1.1941 la Questura chiede ai Cc informazioni sulla condotta morale e politica di Maffeis e l’esito della sua domanda di iscrizione al partito fascista, aggiungendo che "si gradirà inoltre conoscere la razza cui appartiene, la religione che professa e quale reputazione gode nell’ambito fascista e possibilmente i motivi per i quali non chiese prima l’iscrizione". Non avendo avuto risposta, la questura sollecita i Cc il giorno 1.2.1941. I Cc rispondono alla questura il 15.3.1941, riferendo che la domanda di iscrizione al partito non ha ancora avuto esito, pertanto hanno sollecitato il Pnf di Mozzo che ha istruito la domanda. La domanda viene accettata con anzianità retroattiva al 29.10.1940 e i Cc il 14.6.1941 ne possono informare la Questura, proponendo di conseguenza la radiazione di Maffeis dallo schedario dei sovversivi. La Prefettura di Bergamo, a sua volta, il 16.6.1941 scrive al Cpc con il parere favorevole per la radiazione, disposta dal Cpc il 29.6.1941. Cpc, b. 2910, 1937-1941. (G. Mangini, R. Vittori)