Malvezzi Ferruccio Alfredo

n. busta
66
n. fascicolo
1973
Primo estremo
1912
Secondo estremo
1942
Cognome
Malvezzi
Nome
Ferruccio
Altri nomi
Alfredo
Presenza scheda biografica
Luogo di nascita
Data di nascita
1889/04/03
Professione
impiegato
Collocazione politica
Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Romano di Lombardia (Bg) il 3.4.1889, ha un fratello, Guido Pietro Francesco. Scheda biografica aperta a partire dal 26.5.1912. Impiegato, sindacalista rivoluzionario. Da ragazzo studia presso il seminario vescovile di San Giulio, a Orta Novarese, senza però conseguire diplomi o titoli, poi lavora per la Società del Gas di Intra (No). Trasferitosi a Bergamo, è impiegato presso la Ferrovia della Valle Seriana dal 4.6.1906 al 10.9.1910, quando viene licenziato dal suo incarico di capo-stazione per aver tentato di organizzare sindacalmente il personale. Trova lavoro per qualche mese come impiegato presso la Società Molini Né-Zopfi di Bergamo. Accompagna l’anarco-sindacalista Maria Rygier (1885-1953) in un giro di conferenze antimilitariste per la provincia di Bergamo. É uno dei più attivi esponenti del ‘Fascio Operaio di Bergamo e Provincia’ e della ‘Sezione Trafilatori ed Affini del Sindacato Metallurgico’, poi disciolti, collabora alla redazione della rivista quindicinale «Azione Proletaria» (1910-1911), organo del ‘Fascio Operaio’ di Bergamo e provincia. Nella nota biografica presente nella sua scheda, inizialmente redatta dal Delegato di Ps Arnaldo De Franceschi e dalla Guardia di città Giuseppe Nativi, si rileva che Malvezzi “è capace di tenere conferenze; a Bergamo ed in altri di questi Comuni ha diverse volte preso la parola. A Bergamo, in un comizio promosso dai Ferrovieri delle Secondarie, si è intrattenuto sulla legge dell’equo trattamento; ad Alzano Maggiore parlò l’8 gennaio 1911 pro Durand, censurando il Briand, il Governo democratico francese, ed incoraggiando il Sindacato dei Carbonai dell’Havre; a Bergamo si è pure intrattenuto, in diverse conferenze, sul caro dei viveri. Si è firmato in istanze per pubbliche riunioni, ha assistito a tutte le manifestazioni sovversive, facendo segni di approvazione per i concetti svolti dagli oratori”. Dall’aprile 1912 si trasferisce a Reggio Emilia presso Nicola Pagliuca (n. 1865 a Barile in provincia di Potenza, Cpc, b. 3657) e Paride Lesignoli, per organizzare sindacalmente il personale delle ferrovie secondarie e delle officine della zona. Durante il suo soggiorno a Reggio Emilia si mantiene in contatto con il locale circolo ‘Francisco Ferrer’, composto in prevalenza da anarchici, per organizzare il proletariato locale. A metà giugno 1912 lascia Reggio Emilia per dirigersi a Parma, dove però si ferma pochissimo. La polizia lo rintraccia a Savona agli inizi di settembre 1912 dopo essere stato a Sampierdarena. Nel corso del 1913 a Savona pubblica la rivista «Battaglie Nuove», organo dell’Unione Sindacale Italiana, il cui intento è quello di contrastare la candidatura alle elezioni dell’avvocato socialista riformista Giuseppe Garibaldi (1869-1918), (fonte: Marco Pignotti, Notabili, candidati, elezioni. Lotta municipale e politica nella Liguria giolittiana, Angeli, Milano 2001, p. 51) che querela Malvezzi. Il Tribunale locale il 16.10.1913 lo condanna a 200 lire di multa con il beneficio della condizionale. Nel novembre 1913, sempre come propagandista del sindacalismo rivoluzionario, si trasferisce da Savona a Genova. É attivo soprattutto a Sampierdarena, dove si pone in forte opposizione con il partito socialista riformista. Nel giugno 1914 si trasferisce da Genova a Bergamo. Il 14.6.1914 la Prefettura di Bergamo scrive al Cpc: “Il Malvezzi, qui dimorante in via Baioni 13, ha manifestato il desiderio di rimanere per qualche tempo estraneo alle lotte perché bisognoso di cure e sotto il peso ancora di dispiaceri altrove avuti per la sua opera di propaganda. Invece, in questi giorni egli ha preso parte attiva nelle manifestazioni di protesta per i fatti di Ancona che a Bergamo si verificarono, prendendo anche la parola nei comizi”. Con una nota dell’11.10.1914 la Prefettura di Bergamo scrive al Cpc: “Il Malvezzi, caduto in discredito, non fu ammesso a far parte della Unione Sindacale Bergamasca. Con pochi altri, costituì il Gruppo Libertario Bergamasco e fondò l’organo del Gruppo stesso, «Libertà». Nell’unico numero finora pubblicatosi, scrisse un articolo dal titolo La concezione libertaria sostenendo che la ‘concezione libertaria, negando Dio e rovinando l’autorità, trasformerà interamente il regime della società’”. Nel maggio 1915 prende parte attiva alle manifestazioni per l’intervento dell’Italia in guerra, poi si arruola volontario nel corpo degli alpini e nell’ottobre 1915 «Il Secolo» di Milano dà la notizia, infondata, della sua morte per ferite. Nel gennaio 1918, a Bergamo per una breve licenza dal fronte, prende la parola in pubblico in varie occasioni per sostenere le ragioni dell’interventismo, presentandosi come aspirante ufficiale. Il 12.1.1918 il prefetto di Bergamo lo segnala al comandante del suo corpo di appartenenza, il deposito del 5° Alpini di Milano, osservando che “ha preso parte attiva alle manifestazioni che qui ebbero luogo per l’intervento dell’Italia alla guerra, ma i suoi discorsi, perché improntati a livore verso persone ed i partiti cattolico, e moderato, vennero aspramente criticati”. Il 5.2.1918 il Tribunale Militare di Bologna lo condanna a 4 mesi di carcere militare per calunnia e insubordinazione. Dopo la fine della prima guerra mondiale, che conclude con il grado di sergente, tra il novembre e il dicembre 1918 rientra nella vita civile e professionale, assumendo l’incarico di capo-ufficio Commissioni presso gli stabilimenti Franchi-Gregorini di Dalmine. Nel marzo 1919 partecipa all’esperienza della gestione operaia della fabbrica e, in quella circostanza, conosce Mussolini, con il quale avrà poi una significativa corrispondenza, parte della quale verrà utilizzata in seguito da Malvezzi per una sua pubblicazione contro gli esponenti fascisti di Como. Intanto, il 25.1.1920, a conclusione di un’assemblea convocata tra tutti gli impiegati dei vari reparti degli stabilimenti di Dalmine, Malvezzi viene nominato componente della Commissione Interna Impiegati, insieme a lui composta da Egidio Salterini, che ne è il Presidente, Emilio Dvorak, Giovanni Battista Pozzi e Antonio Vavassori, con Andrea Borleri e Pasquale Bonazzola come supplenti. Nella stessa circostanza viene approvato all’unanimità l’ordine del giorno proposto da G. B. Pozzi che, in un contesto ideologico fortemente influenzato sia dall’attivismo del sindacalismo rivoluzionario che dalla mobilitazione nazionalista legata all’esperienza della recente guerra, prevede l’autogestione diretta degli impianti da parte delle maestranze nel caso di cessione dell’azienda a capitalisti stranieri. Alcune settimane dopo Salterini si dimette dall’incarico di Presidente della Commissione Interna e Malvezzi viene nominato al suo posto, con Pozzi vice-presidente. Nell’ottobre 1920 viene segnalata la sua frequentazione con ex-combattenti e con operai e impiegati: tra i suoi principali interlocutori, oltre all’amico Pozzi, c’è anche l’operaio Secondo Nosengo. Dopo la prima esperienza dell’occupazione degli stabilimenti di Dalmine da parte delle maestranze operaie, nota anche come ‘sciopero lavorativo’, verificatasi a partire dal 17.3.1919 da parte delle maestranze operaie, una seconda occupazione da parte di impiegati e operai insieme si svolge per trenta giorni dal 2.9.1920 fino al 2.10.1920, periodo allora definito, nel linguaggio del sindacalismo rivoluzionario, ‘gestione sindacale’ o ‘Atto di Capacità’. Tre giorni dopo la fine dell’occupazione, il 5.10.1920, di rientro da Dalmine a casa sua a Bergamo, quattro fascisti lo attendono e lo aggrediscono, lo buttano a terra, lo bastonano e lo colpiscono con calci e pugni. Inoltre, conclusasi l’esperienza dell’occupazione degli stabilimenti, Malvezzi e Pozzi vengono licenziati. Una dettagliata e interessante ricostruzione di tutta la vicenda è contenuta nel libro di Giovan Battista Pozzi, La prima occupazione operaia della fabbrica in Italia nelle battaglie di Dalmine. Storia documentata, Società Tipografica Editrice Bergamasca, uscito a Bergamo nel 1921, anno nel quale Pozzi è presidente dell’Associazione Provinciale fra Impiegati di Aziende Private (A.P.I.A.P.). Malvezzi, dal canto suo, nel 1921 si candida alle elezioni nella lista dei combattenti ma non viene eletto e nello stesso anno si trasferisce da Redona, dove abita, a Milano. Il 24.7.1923 da Milano si trasferisce a Como, dove viene assunto come segretario generale dei sindacati fascisti. Nella circostanza porta con sé, come segretario, anche l’amico e sodale Giovanni Battista Pozzi. A Como, tuttavia, l’attività di Malvezzi genera contrasti e discussioni, che emergono già nel dicembre dello stesso 1923 in un memoriale scritto dal notabile fascista bergamasco Giacomo Suardo. La ragione di ciò sta nel fatto che a Malvezzi vengono rimproverati metodi ‘rossi’ nello svolgimento delle sue funzioni in seno al sindacato fascista, metodi che però nei documenti conservati nel fascicolo non vengono indicati. La situazione di Como mette in difficoltà Malvezzi, che per tutelarsi cerca di coinvolgere il fascismo bergamasco a proprio sostegno, con il risultato di entrare un conflitto anche con questo. Ne nasce anche una vertenza cavalleresca con G. Suardo, eletto per la prima volta in parlamento alle elezioni politiche del 6.4.1924. Il 3.5.1924 Malvezzi pubblica a Como lo scritto Luci e verità. Numero straordinario di polemica e di battaglia, usandolo come strumento di lotta politica sia nel contesto del fascismo comasco che in quello bergamasco: nello scritto sono infatti pubblicati anche alcuni stralci di lettere di Mussolini a Malvezzi relative alle vicende dell’occupazione della fabbrica di Dalmine del 1919. É l’interpretazione storica e, di conseguenza, il giudizio politico su quell’esperienza che divide Malvezzi dai dirigenti del fascismo comasco e bergamasco. Le vicende successive ne sono una conferma. Esattamente un mese dopo, il 6.5.1924, reagendo alle affermazioni di Malvezzi contenute nel testo citato, Suardo gli manda il seguente telegramma: “Vedo vostra pubblicazione sostanzialmente falsa formalmente ipocrita. Fascismo bergamasco trascinato da vostro atteggiamento occuparsi vostra persona non intende ingerirsi situazione altre provincie. Confermo mia disposizione verbale trasmessovi meravigliato vostro tardo risveglio. Considerovi in termine se finalmente vi decidete chiedere riparazione cavalleresca. Suardo”. In risposta, il giorno dopo Malvezzi manda a Suardo il ‘cartello di sfida’ per l’organizzazione del duello tramite i suoi padrini, l’avvocato di Como Ferdinando Lanfranconi, figura di rilievo del fascismo comasco e del locale mondo delle professioni, e il tenente colonnello Cesare Pezzolet, da Malvezzi conosciuto a Milano al deposito del 5° Alpini. Suardo nomina suo padrino il comandante della tenenza dei Cc di Bergamo, tenente colonnello Paolo Annoni, noto fascista. La vertenza cavalleresca, tuttavia, si trascina per un anno e alla fine Suardo vi si sottrae, nonostante il tentativo di Malvezzi di coinvolgere la direzione nazionale del Pnf per una mediazione, senza alcun risultato. Licenziato dal suo incarico e allontanato da Como, nel maggio 1925 ritorna a Bergamo, dove però Malvezzi trova una situazione di forte tensione nei suoi confronti. Il 24.5.1925 al teatro Donizetti di Bergamo, in occasione del decimo anniversario dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, si tiene un’iniziativa pubblica, alla quale partecipa tra gli altri anche Giacomo Suardo. Il 27.5.1925 il quotidiano cattolico «L’Eco di Bergamo» ne riporta il sunto in cronaca e lo stesso giorno Malvezzi manda la seguente lettera a Suardo: “Questa mattina mi mostrarono «L’Eco di Bergamo», che riporta il vostro discorso tenuto il giorno 24 Maggio al Donizetti e mette in evidenza il vostro invito al reciproco rispetto ed alla vicendevole tolleranza. Io non ero presente, perché noi volontari di guerra ed interventisti siamo tagliati fuori dalla vita anche nei giorni che, come il 24 maggio, soprattutto ricordano il nostro gesto e la nostra passione per la Patria. E proprio quel giorno, recatomi a visitare un amico carissimo, mi veniva riferita una nuova calunnia che si aggiunge alla catena da voi formata col verbale 18 dicembre 1923, da voi confermato col telegramma 6 maggio 1924, che determinò la vertenza cavalleresca fallita per opera vostra, perché io, che non ho mai dato importanza alle buffonate cavalleresche, da voi sfidato accettai anche questa forma e vi insistetti per un anno, allo scopo di ottenere la giusta riparazione alla offesa che mi faceste. La Direzione del P.N.F., alla quale fu rimesso l’incarico di esaminare le questioni da voi provocate, con la complicità di calunniatori vigliacchissimi, non si è fatta viva, malgrado le sollecitazioni mie e dei miei Secondi. Voi avreste dovuto sollecitare la definizione ma manovraste in senso contrario perché, dopo quanto già consacrò nel verbale suo l’arbitro Decapitani, il quale rilevò, per uno che si deve intendere di procedure, che avreste dovuto sentire il sottoscritto e contestarmi le accuse e sentire eventualmente i miei testi prima di condannare sommariamente, con criteri troppo unilaterali e perciò interessati, colui che vi credeva tanto serio e galantuomo da affidare a voi l’incarico di inquisirmi; dopo ciò avreste dovuto assistere al crollo di tutto il castello di calunnie e cattiverie criminali da voi invece raccolto e sostenuto. E questo non avete voluto e vi siete appagato di recarmi un danno materiale e morale enorme, e mentre parlate di concordia e disciplina, fatta di bontà e di giustizia per il bene comune, commettete la grave ingiustizia di mantenere un galantuomo sotto un cumulo di calunnie gravi e vittima di persecuzioni che non lo abbandonano, malgrado che già sopporti le conseguenze del male fattomi iniquamente. Perché vi devo ripetere che è falso quanto voi raccoglieste nel vostro verbale ed esigo di provarlo e pretendo riparazioni. Se siete un galantuomo voi dovete subito rimediare. Se siete stato ingannato dovete onestamente riconoscerlo, dopo le prove che avete il diritto di esigere, ma non dovete permettere che continui uno stato di cose iniquo. Voi parlaste il 24 maggio di giustizia. Ed io voglio da voi giustizia. Se il grande episodio di Dalmine, esaltato da Olivetti mio maestro ed amico, oltre che dai fascisti di quell’epoca, è stato falsato da interessati denigratori, voi avete il dovere di esigere che la storia genuina sia ricostruita nella sua verità, altrimenti sarete reo di averla falsata e dalla storia vi farò condannare. Attendo quindi una pronta decisione onde sappia come regolarmi per la difesa del mio nome e della mia opera. Vi avverto che questa lettera potrà essere pubblicata con altri documenti”. Il giorno dopo, 28.5.1925, Malvezzi scrive direttamente a Roberto Farinacci, in quel momento segretario nazionale del Pnf, preannunciando un’azione giudiziaria civile contro il Pnf, civile e penale contro i fascisti Suardo, il console Mvsn di Como Tarabini e, tra gli altri, contro i fascisti di Bergamo Rota e Gazzaniga. I fascisti di Bergamo, dal canto loro, aspettano solo l’occasione per mettergli le mani addosso. In pochi giorni la situazione degenera. Minacciato, viene fatto oggetto di una spedizione punitiva, i fascisti entrano con la forza in casa sua, ma lui si salva fuggendo in compagnia del fratello, come ricostruiscono i Cc di Bergamo in una relazione del 4.6.1925 inviata al prefetto e firmata proprio dal tenente colonnello Paolo Annoni, padrino di Suardo: “Il 2 corrente, verso le ore 20.30 mentre tal Ferruccio Malvezzi, sovversivo, si recava a casa, fece incontro in via Nazario Sauro col fascista Gazzaniga e fra i due corsero sguardi di poco buon sangue. Verso le ore 22 lo stesso Malvezzi ebbe ancora occasione di incontrarsi col Gazzaniga, mentre questi s trovava sull’ingresso della trattoria ‘Riva’ sita nella precitata via. Nel passare, il Malvezzi afferma di avere inteso il predetto Gazzaniga parlare male di lui. Recatosi allora a casa, si unì al fratello Roberto, portandosi con costui nella trattoria suindicata, ove invitò il Gazzaniga ad uscire per giustificare il suo atteggiamento. Il Gazzaniga uscì infatti dall’esercizio accompagnato da certo Gelmini Eugenio, di anni 53 e dalla di costui figlia Antonietta, fidanzata del Gazzaniga. Tra i fratelli Malvezzi e le suindicate persone avvenne uno scambio vivace di insolenze e di reciproche accuse, il che degenerò in pugilato, però senza conseguenze. L’intervento di estranei pose fine all’incidente. I fratelli Malvezzi quindi si ritirarono in casa. Verso le ore 23, mentre i componenti la famiglia Malvezzi stavano per mettersi a letto, intesero nella sottostante strada un gruppo di persone che pretendeva che il Malvezzi Ferruccio uscisse dall’abitazione, ed essendo stato risposto dal padre che egli non era in casa, detti individui entrati in un limitrofo negozio in riparazione si impossessarono di un tavolo e di una scala con cui si innalzarono fino ad una finestra dell’abitazione del Malvezzi; rotto un vetro ed aperte le imposte, cinque di essi penetrarono nella casa che perquisirono allo scopo di rintracciare i Malvezzi. Riuscita vana la ricerca perché i ripetuti fratelli, prevenuti della minaccia, si erano dati alla campagna, scavalcando una terrazza, gli invasori, senza commettere violenze, si allontanarono nuovamente dalla finestra. La madre del Malvezzi afferma di aver riconosciuto in uno degli invasori il Gazzaniga e disse pure che il medesimo era armato di una rivoltella. Agenti della locale Questura, avvisati telefonicamente, si recarono in luogo. La locale Questura provvide alla denuncia del Gazzaniga. Non è stato possibile però fin qui identificare i suoi compagni”. Nel testo del tenente colonnello Annoni è evidente il tentativo di minimizzare la responsabilità dei fascisti coinvolti nell’assalto a casa Malvezzi, a partire dal fatto che, riferendosi alla conclusione dell’episodio, Annoni non scrive mai la parola fascisti a proposito di coloro che sono entrati in casa forzando la finestra, definendoli invece ‘invasori’ e, in particolare, quando riferisce che questi sono usciti dalla finestra, ritiene di aggiungere la frase ‘senza commettere violenze’, come se l’essere entrati in casa forzando la finestra si possa considerare un fatto neutro ed uscire dalla stessa finestra senza violenza sia a loro discarico. Altrettanto significativo è la dichiarazione di non aver potuto identificare i complici dell’unico effettivamente riconosciuto dai famigliari di Malvezzi, il fascista Gazzaniga, dato che nell’ambiente fascista di Bergamo il fascista Annoni conosceva perfettamente persone e situazioni. La Questura di Bergamo, nel frattempo, il 22.5.1925 aveva chiesto informazioni sul caso Malvezzi alla Questura di Como, che il 6.6.1925 risponde: “Il noto Ferruccio Alfredo Malvezzi venne a Como nel 1923, nella qualità di Segretario Generale dei Sindacati fascisti, ripartendone verso la metà dell’anno scorso. Per i sistemi prettamente ‘rossi’ adottati da lui nell’esplicazione del mandato affidatogli e per l’eccessiva vivacità del proprio temperamento, si rese bentosto inviso sia ai fascisti locali che agli industriali, tanto che la sua opera di organizzatore fu molto discussa in questa Provincia. Durante la sua permanenza qui sorsero vivaci contrasti fra lui ed i dirigenti locali del partito fascista che culminarono con il suo esonero dalla carica predetta. Dopo il suo allontanamento da Como sarebbe stato, a quanto dicesi, espulso dai fasci. Egli, quantunque apprezzato pel suo sveglio ingegno, lasciò qui non buona fama di sé. Difatti la notizia del suo allontanamento da Como venne accolta con generale soddisfazione”. La situazione rimane molto tesa e la minaccia fascista continua incessante. Ne è chiara dimostrazione la lettera che Malvezzi indirizza al prefetto di Bergamo l’8.6.1925: “Bergamo 8 Giugno 1925 – Onorevole Sig. Prefetto della Provincia – Bergamo. Sono venuto oggi nel pomeriggio, appena arrivato da Milano, a chiedere un colloquio con la S.V. per comunicarle quanto il Comm. Arnaldo Mussolini ha preso impegno di fare verso i responsabili politici di Bergamo delle violenze compiute contro di me e la mia famiglia. Non avendola trovata ho parlato col Sig. Questore e gli ho pure comunicato che appena arrivato venni consigliato di partire subito da Bergamo continuando la caccia dei fascisti, i quali ieri notte circondarono la casa del mio amico Pozzi sullo stradale di Longuelo, dove ritenevano che, per le mie abitudini di recarmi colà, avrebbero potuto scovarmi. Io non voglio essere un temerario ma non sono neppure un codardo che scappa, ma questi fatti denuncio alla S.V. perché non deve essere lecito che la vita di un cittadino e la tranquillità di una famiglia siano abbandonati alla mercé di criminali, rei identificati, rimasti ancora indisturbati, i quali da cinque giorni possono terrorizzare dei privati cittadini del Regno. Per la sola minaccia di rompere dei vetri ad un oste di Como che non voleva chiudere l’esercizio, due nostri gregari fascisti di Como vennero arrestati dopo quattro giorni, durante i quali erano stati nascosti, e vennero condannati a tre anni di carcere. A Bergamo un crimine più grave non ha avuto finora la esemplare repressione. E mentre dalle Autorità fasciste mi viene chiesto di salvare generosamente certi esponenti compromessi nella questione, assicurandomi l’intervento personale di Mussolini, che invierà qui subito un commissario per riparare al male fattomi, si persiste dai fascisti nella impresa criminale. Beratto è uno dei maggiori responsabili della questione, come responsabile è il fascio che ordinò la spedizione contro la mia casa dietro richiesta del Gazzaniga. Quei signori devono assumere le loro responsabilità e la S.V. deve farglielo noto. Io avverto dei nuovi fatti il Presidente ed a Lui mando la copia della presente. Ossequi. F. Malvezzi”. Tre giorni dopo, l’11.6.1925, il capo della polizia Crispo Moncada spedisce un telegramma al prefetto di Bergamo in cui viene trascritto il telegramma inviato a Roma al Ministero dell’Interno da Malvezzi, che scrive: “Da nove giorni oggetto caccia fascisti Bergamo per uccidermi invasero casa ritentano ogni notte in forza tentando sopraffare carabinieri servizio denuncie inefficaci nessun arresto cnsura giornali dovuto oggi rifugiarmi casa Olivetti urgono provvedimenti energici” e, si seguito, il capo della polizia chiede informazioni al prefetto e lo invita a prendere i provvedimenti che questi ritiene necessari. In un appunto manoscritto di un funzionario della Prefettura, è scritto che le disposizioni del prefetto sono quelle di sorvegliare casa Malvezzi non solo di notte. Lo stesso 11.6.1925 Malvezzi si rivolge direttamente al prefetto di Bergamo per ottenere protezione di fronte alle continue e crescenti minacce fasciste. Scrive: “Illustrissimo Sig. Prefetto Bergamo. L’altra notte una settantina di fascisti distribuiti parte al ponte vicino alla mia abitazione e altri al ponte di S. Caterina ci tennero ancora in allarme fino a tarda ora. Ieri sera tre fascisti, approfittando del fatto che un coinquilino lasciò aperta la porta della casa, salirono fino al secondo piano ed uno di essi fu affrontato da mio fratello che diede, a richiesta, un nome non vero e si sentì dire che cercavano una persona. Chiamammo i carabinieri di servizio i quali già sorvegliavano i tre sospetti individui. Stamane la fidanzata del Gazzaniga con altre due sorelle chiedeva a persona della casa di sapere se io mi trovavo a casa, avendo avuto assicurazione dai fascisti, che il Coll. Annoni mi aveva costretto ad abbandonare Bergamo. Devo osservare che è notorio che il Coll. Annoni è fascista, che fu pure padrino della vertenza cavalleresca che provocò il conte Suardo con me, che l’altra sera si trovava al caffè Savoia con i fascisti da me denunciati. Dai carabinieri mi venne ancora comunicato che ritengono inutile fermare i fascisti perché il Coll. Annoni li farebbe mettere in libertà. Questi fatti denuncio alla S.V. Ill.ma e contemporaneamente alle Autorità di Roma. In attesa dei provvedimenti annunciatimi da Roma, prego la S.V. Ill.ma di fare intensificare la sorveglianza, almeno per tranquillizzare un po’ i miei vecchi genitori. Con osservanza F. Malvezzi”. In effetti, con il consenso del Ministero dell’Interno e su disposizione del prefetto, la Questura di Bergamo il 20.6.1925 incarica i Cc di Bergamo di “voler disporre che la pattuglia per la vigilanza dell’abitazione del Malvezzi presti servizio dalle 20 di sera alle 8 del mattino seguente”. Data la situazione, nel corso delle settimane successive si trasferisce a Milano in via Stradivari 8 e lavora come direttore del Patronato Nazionale della Confederazione dei Sindacati Fascisti con sede in vi S. Barnaba 38. Nel frattempo viene faticosamente a conclusione la vertenza con la federazione fascista di Como, in virtù della quale a Malvezzi e a Pozzi vengono riconosciuti i compensi a cui avevano diritto per contratto in seguito al loro licenziamento a Como, come emerge con chiarezza dal «Bollettino del lavoro e della previdenza sociale» del marzo 1926, pp. 93-96, che riporta il verbale della causa che vede opposti Malvezzi, Pozzi e Lupi alla Confederazione delle Corporazioni Sindacali fasciste, discussa tra il 12 novembre 1925 e il 4 gennaio 1926. Nel marzo 1929 Malvezzi lascia il capoluogo lombardo e si trasferisce in Sicilia come ispettore viaggiante della Cassa Nazionale Malattie Addetti al Commercio. Il 13.6.1930 la Qquestura di Milano invia una nota informativa alle Questure di Catania, Roma e Bergamo con questa raccomandazione: “per disposizione del Superiore Mistero, nei riguardi del soprascritto, qualora egli non dia luogo a rilievi, la vigilanza dovrà essere generica ed esercitata con le maggiori cautele, in modo da non essere notata dall’interessato”. Nel luglio 1930 si trasferisce da Catania a Siracusa, dove ritorna nell’ottobre successivo, poi di nuovo a Catania. Nel febbraio 1931 da Catania torna a Milano, dove lavora come segretario presso la Cassa Nazionale Malattie Addetti al Commercio di Corso Italia 1 e risiede in via Giovio 28. Nel corso del 1932 risulta risiedere a Milano in corso Italia 1, mentre nel settembre 1932 risiede in corso 28 ottobre 7. Fino al febbraio 1934 risiede a Milano, presso l’Albergo Popolare di via Marco d’Oggiono. Una nota della Questura di Milano del 30.2.1934 dice: “Terminato il periodo di confino fece ritorno a Milano da dove si è allontanato per ignota destinazione”, ma poi viene rintracciato, ancora a Milano, in via Archinto 4 nell’ottobre 1934. Nelle carte del fascicolo, tuttavia, non c’è alcuna traccia della sua condanna al confino, che non viene citata in nessun altro documento. Nel 1935 risulta trasferito a Brescia in via Solferino 38 dove gestisce un magazzino e negozio di frutta esotica, anche se risulta essere impiegato come ispettore della cassa nazionale malattie, poi vive in via Tosio 19. Nel gennaio 1937 risiede a Brescia in via Trieste 37 dove gestisce un negozio di banane. Nell’aprile 1942 è sempre a Brescia, in contrada del Carmine 42 presso Ferro. La Prefettura di Brescia lo segnala così al Cpc e alla Prefettura di Bergamo: “Benché non dia luogo a speciali rilievi con la sua condotta in genere, è ritenuto un individuo sempre fedele ai suoi principi politici e come tale è sottoposto a continua vigilanza”. Cpc, b. 2964, 1912-1942, scheda biografica. (G. Mangini)
Familiari
Malvezzi Giovanni (padre)
Nato nel 1847, scrivano.
Rizzi Annetta (madre)
Nata nel 1867, casalinga.
Malvezzi Guido Pietro Francesco (fratello)
Nato a Romano di Lombardia il 28.3.1888 e il 5.5.1916 si sposa con Giovanna Peluchetti a Romano di Lombardia.
Luoghi di residenza
Orta Novarese Piemonte Italia ( - 1906) Bergamo Lombardia Italia (1906 - 1912) Reggio Emilia Emilia Italia (1912 - 1912) Savona Liguria Italia (1912 - 1913) Genova Liguria Italia (1913 - 1914) Bergamo Lombardia Italia via Baioni 13 (1914 - 1921) Milano Lombardia Italia (1921 - 1923/07/24) Como Lombardia Italia (1923 - 1925) Bergamo Lombardia Italia (1925 - 1925) Milano Lombardia Italia (1925 - 1934) Brescia Lombardia Italia (1935 - )
Fatti notevoli
1910
Nel corso del 1910 accompagna l’anarco-sindacalista Maria Rygier in un giro di conferenze antimilitariste per la provincia di Bergamo.
Nel biennio 1910-1911 è uno dei più attivi esponenti del ‘Fascio Operaio di Bergamo e Provincia’ e della ‘Sezione Trafilatori ed Affini del Sindacato Metallurgico’, poi disciolti, e collabora alla redazione della rivista quindicinale «Azione Proletaria», organo del ‘Fascio Operaio’ di Bergamo e provincia.
1912
Nel corso del 1912 è attivo a Reggio Emilia per organizzare sindacalmente il personale delle ferrovie secondarie e delle officine della zona.
Nel biennio 1913-1914 è attivo tra Savona e Genova per l'organizzazione sindacale.
Nel giugno 1914 a Bergamo è tra i fondatori del Gruppo Libertario Bergamasco e della rivista «Libertà», di ui escono solo 2 numeri nel corso dell'anno.
1915
Nel maggio 1915 prende parte attiva alle manifestazioni per l’intervento dell’Italia in guerra, poi si arruola volontario nel corpo degli alpini.
1919
Nel biennio 1919/20 partecipa all'occupazione degli stabilimenti Dalmine da parte delle maestranze.
1921
Nel 1921 si candida alle elezioni nella lista dei combattenti ma non viene eletto.
Nel 1923 viene assunto come segretario generale dei sindacati fascisti di Como.
Sanzioni subite
carcere (1918/02/05 - )
Il 5.2.1918 il Tribunale Militare di Bologna lo condanna a 4 mesi di carcere militare per calunnia e insubordinazione.
Relaz. con altri soggetti
Rygier Maria (anarchica)
ACS, Cpc, b. 4505
Pagliuca Nicola (anarco-sindacalista)
ACS, Cpc, b. 3657
Lesignoli Paride (anarco-sindacalista)
Mussolini Benito
Salterini Egidio
Dvorak Emilio
Pozzi Giovanni Battista
ASBg, Sovversivi
Vavassori Antonio
Borleri Andrea
Bonazzola Pasquale
Nosengo Secondo
ASBg, Sovversivi
Suardo Giacomo (fascista)
Lanfranconi Ferdinando
Pezzolet Cesare
Annoni Paolo (fascista)
In rubrica di frontiera
no
In bollettino ricerche
no
Esclusione dallo schedario
no
Altre fonti archivistiche
(ACS-CPC) Archivio centrale dello Stato (Roma), Casellario Politico Centrale
Busta 2964, Fascicolo
Riferimenti bibliografici
Pozzi 1921
Corsini, Zane 2014
Pignotti 2001
Bollettino 1926
De Felice 1995
Malvezzi 1924