Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Romano di Lombardia (Bg) il 19.6.1882, dove resiede in via Masneri 12, socialista, prima barbiere e parrucchiere come il padre e poi produttore e commerciante di profumi. Il 17.11.1907 sposa Ida Giovanna Cacciola, nata a Romano di Lombardia il 14.7.1885. Ha quattro fratelli: Giovanni Battista, Defendente Alessandro, Riccardo, Alfredo Alessandro, e quattro sorelle, Maria Anna Elisabetta, Alessandra Palmira, Maria Dorotea e Maria Francesca Dorotea. Il 7.11.1909 tiene un comizio a Romano di Lombardia per l’Asilo Infantile. Il 9.11.1909 il prefetto di Bergamo, dopo aver letto sui giornali locali la notizia dell’avvenuto comizio e del discorso di Manetta, che è intervenuto a nome del ‘gruppo socialista’ di Romano, chiede informazioni su di lui e sul gruppo socialista al sotto-prefetto di Treviglio. Questi risponde il 5.12.1909, scrivendo che “in Romano non esistono circoli o ritrovi ove si faccia propaganda sovversiva. Il Manetta chiama col nome pomposo di gruppo socialista i 13 o 14 i quali condividono le di lui idee”. Il 5.5.1912 il prefetto di Bergamo informa la Sotto-prefettura di Treviglio che “al comizio, che ebbe qui luogo in occasione del 1° maggio, partecipò con bandiera il Circolo Federico Maironi, di Romano di Lombardia. Il controscritto, poi, prese la parola, inneggiando alla festa proletaria, portando il saluto dei componenti il suddetto Circolo ai Tramvieri, che inauguravano la bandiera della loro Lega, e dichiarandosi contrario alla attuale guerra di Libia”. Alle elezioni politiche del 26.10.1913 si candida per il Psi nel collegio Bergamo-Brescia, senza essere eletto. Nel 1916 viene riformato dall’esercito. Il 17.4.1919 a Martinengo (Bg), davanti a circa 150 persone, tiene un comizio sul tema ‘Organizzazione di classe’. Un comizio analogo viene vietato per il 21.4.1919 a Romano di Lombardia. Nelle elezioni amministrative per il Comune di Romano di Lombardia viene eletto come esponente della minoranza socialista. Fa anche parte del consiglio d’amministrazione della locale Cooperativa socialista. Nel giugno 1924 richiede il passaporto per l’Inghilterra, come già accaduto negli anni precedenti, allo scopo di visitare un fratello che conduce un albergo a Londra e, di passaggio da Parigi, intende ordinare profumi per il suo avviato negozio di Romano di Lombardia, ma il Ministero dell’Interno rifiuta la concessione del passaporto a causa dei rapporti inviati dagli organi locali di pubblica sicurezza, che lo definiscono abile organizzatore e propagandista e perciò compreso nell’elenco delle persone pericolose. Le indicazioni in tal senso delle forze di polizia, però, sono contraddittorie, dato che, per esempio, il sotto-prefetto di Treviglio il 10.3.1923 scrive al prefetto di Bergamo assicurandolo sulla continuità della vigilanza nei confronti di Manetta, che però viene definito “né audace né pericoloso”. Analogo giudizio, inoltre, era stato formulato già nel 1911 dalla stessa Sotto-prefettura di Treviglio. Nel giugno 1924 ottiene la concessione del passaporto per recarsi a Londra in visita al fratello, che nella capitale inglese gestisce un albergo e poi, durante il viaggio di ritorno, passa per Parigi per procurarsi i profumi che, una volta ordinati, gli verranno recapitati per via postale al suo negozio. La Sotto-prefettura di Treviglio ne informa la Prefettura di Bergamo il 30.6.1924, assicurando che Manetta “trovasi in floride condizioni economiche, espatria per ragioni di famiglia e di commercio e non per fini politici”. In una relazione del 25.9.1925 dei Cc di Treviglio alla locale Sotto-prefettura, il giudizio su di lui è ben diverso da quello formulato nel 1923, dato che di Manetta si scrive che “se non fa pubblicamente propaganda di teorie socialiste esplica però la sua attività sovversiva occultamente, con molta capacità ed abilità, fra operai e fra persone che ha occasione di frequentare. In tal modo crea dei proseliti che alla lor volta fanno pure la propaganda che può al momento opportuno dar luogo ad un movimento contrario all’attuale regime”. Il 20.10.1925 il prefetto di Bergamo si rivolge alla Sotto-prefettura di Treviglio per informare che è stata inviata al Ministero dell’Interno la scheda biografica di Manetta, aperta il 16.10.1925, in quanto giudicato pericoloso per l’ordine pubblico a causa delle sue “attitudini alla propaganda”. La scheda biografica si apre con questo giudizio:
“gode di discreta fama; è di carattere subdolo; di educazione buona; di intelligenza pronta; ha frequentato le scuole elementari; attende con impegno ai suoi interessi e trae il suo sostentamento dalla fabbricazione dei cosmetici. Fu l’organizzatore delle masse operaie a Romano di Lombardia delle quali seppe conquistarsi le simpatie; ebbe molto ascendente sugli operai. Fu un attivissimo ed instancabile propagandista ed a fine di propaganda tenne conferenze a Bergamo e in molti paesi della provincia. Prese parte attiva ad ogni manifestazione del partito (..) Dopo l’avvento del partito fascista si mostrò timoroso di eventuali rappresaglie tanto che i suoi stessi seguaci, da lui abbandonati, ne furono sorpresi”.
Viene sospettato di essere corrispondente del giornale socialista «La Giustizia» di Milano. Il 6.11.1925, per effetto dell’attentato a Mussolini, viene arrestato e poi il 9.11.1925 rimesso in libertà, non essendo emerso nulla a suo carico. Alla fine di febbraio 1927 gli viene imposta la carta d’identità obbligatoria, conservata nel fascicolo, come sospetto politico e pericoloso per la sicurezza nazionale. Facendosi assistere dall’avvocato Giorgio Lussana, che ha lo studio a Bergamo in via Sant'Alessandro 10, il 9.3.1927 Manetta scrive al prefetto di Bergamo protestando contro il provvedimento preso a suo carico. Nel testo del ricorso ricostruisce brevemente il proprio profilo:
“Essendo stato iscritto al Partito Socialista, frazione riformista dal 1899 al 1920 ho sempre svolta la mia attività nel campo sindacale e benefico, facendo sorgere nella mia Romano la Casa dei lavoratori e la Colonia Fluviale Igea. Svolgevo la mia attività mantenendomi sempre in buoni rapporti con le Autorità Costituite e mai una condanna o un semplice rimprovero ha potuto turbare quanto con coscienza e fede volevo compiere, godendo sempre degli aiuti e delle amicizie di uomini di alta stima e venerazione non esclusa quella dell’attuale S.E. Conte Avv. Giacomo Suardo al quale pure mi sono rivolto esponendogli il mio caso. Alla fine dell’anno 1920 spontaneamente mi sono ritirato dal partito in cui militavo col proposito fermo di mantenermi estraneo da ogni attività politica ed ho la sicura coscienza di non aver tradito questi mio proponimento e di non aver mai fatto nulla contro la sicurezza nazionale. La S.V.Ill. può sincerarsene interrogando in merito uomini di illibata fede fascista, quali il Cav. Annibale Riva, l’Ing. Carlo Finazzi nonché il Sig. Carlo Bergomi Segretario Politico di Romano. Le ragioni per le quali sono mosso a rivolgermi alla S.V. Ill. col presente ricorso riguardano le mie condizioni fisiche, quelle di famiglia e commerciali nonché l’assoluto bisogno di tranquillità”. Dal 15 al 23.12.1928, dopo aver avuto parere favorevole dal Console generale d’Italia a Londra, il Ministero dell’Interno autorizza Manetta a recarsi a Londra presso il fratello. Alla fine del 1931 viene radiato.
Nel 1942 risiede sempre a Romano di Lombardia in via Monte Grappa 13, nella casa di sua proprietà. Il 27.6.1942, in seguito alla vicenda che vede coinvolto anche suo fratello Defendente, dopo essere stato arrestato a Romano e associato alle carceri giudiziarie di Bergamo, viene interrogato dai Cc di Bergamo Alta a proposito delle persone che frequentano la bottega di suo fratello Defendente e così risponde:
“Da molti anni ho cessato di interessarmi di politica, pur conservando tuttora una simpatia per tutto ciò che ha forma di sindacalismo. Circa quanto mi dite su una presunta associazione di elementi in quel di Romano io ignoro in modo assoluto la sua esistenza. Non sapevo affatto che persone di Romano si trovassero di sovente a conversare nella bottega di mio fratello Defendente. Tempo addietro ho appreso che lo Zampieri pur dimorando a Treviglio si vedeva qualche volta a Romano, ma io non l’ho mai veduto. Di sovente mi trovo col macellaio Nosari, col quale sono amico. Con lui però come con altri non ho mai parlato di questioni politiche, dato come ripeto da molti anni che più non m’interesso d’avvenimenti politici. Circa quanto mi contestate di aver trovato nel mio portafogli una canzonetta a senso umoristico a sfondo sovversivo, l’ho redatto io di mio pugno, ricavando le rime da qualche giornale satiro-umoristico e in un momento di spensieratezza. Nego però di averla mostrata ad alcuno e la portavo meco senza saperlo”.
Quello che segue è il testo della canzonetta trovata nel suo portafogli e che gli è stata sequestrata. Il titolo è ‘Fioretti e Fiorelli’:
Invece che marciare
Coi gagliardetti al vento
Tutti dovreste andare
In rango al reggimento.
Quando più liberi eravamo
E men guerrieri
Almeno in Eritrea restavamo
Con Baratieri
Or che schiavi siamo
Di Mussolini
Tutto l’impero tornar vediam
Agli abissini.
Mentre al fronte gli ‘Eroi’
Medaglie guadagnan e galloni
I gerarchi gridando ‘A noi’
In poltrona guadagnan i milioni.
In Russia
Italiani a cento a cento
In Italia
Operai senza frumento.
Popolo Inglese
5 pasti al giorno
Popolo tedesco
5 ore per pasto
I gregari al gelo
All’inferno
Gerarchi tutti
Al fonte interno.
Mentre voi vi riscaldate
Tedeschi e fannulloni
I bimbi nostri son, guardate
Pieni di geloni.
Il 4.8.1942 si riunisce la Commissione Provinciale per il confino di polizia per esaminare il caso di Manetta. In un primo momento la Commissione intende assegnarlo al confino come “pericoloso per l’ordine nazionale”, tanto che nel fascicolo intestato a suo nome sono conservati i moduli già precompilati della Commissione Provinciale con l’indicazione del provvedimento del confino. Tuttavia, in seguito all’esame della documentazione raccolta dai Cc e dalla Questura di Bergamo per istruire il caso, emerge un orientamento diverso. Lo stesso giorno la Prefettura di Bergamo riferisce infatti al Ministero dell’Interno che, a differenza di quanto comunicato in precedenza, la posizione di Manetta è “meno grave di quanto era apparso nel primo momento. É risultato infatti ch’egli non partecipò mai alle riunioni avvenute nella bottega del fratello, Manetta Defendente, col quale, anzi, non è in buoni rapporti. A suo carico è rimasto un unico addebito, quello cioè di essere stato trovato in possesso d’un foglietto contenente versi satirici contro il fascismo, foglietto che però non è risultato essere stato da lui diffuso. Pertanto la Commissione ha giudicato che anziché l’assegnazione al Confino per cui il Manetta era stato proposto, sia misura più adeguata quella dell’ammonizione”. Il 14.8.1942 il Cpc, tramite telegramma, autorizza l’ammonizione, che avviene l’8.9.1942. L’1.12.1942 viene prosciolto dall’ammonizione in seguito al provvedimento di clemenza concesso da Mussolini in occasione del ventesimo anniversario della marcia su Roma. Il proscioglimento viene effettivamente comunicato a Manetta il 3.12.1942. Durante i 45 giorni del governo Badoglio, sul quotidiano «La Voce di Bergamo» diretta da Gino Battaggion, Manetta pubblica l’articolo I nostri morti. Giacomo Rubini, a. 25, n. 215, martedì 31 agosto 1943, p. 2, dedicato ad un suo vecchio sodale socialista di Romano di Lombardia. Una copia del giornale è conservata nel suo fascicolo. Questo è il testo dell’articolo:
“Di questo nostro carissimo scomparso eravamo coetanei. Egli aveva dovuto recarsi a Milano sedicenne per apprendere il mestiere di meccanico tornitore e per essere col suo lavoro di aiuto alla famiglia. Lavorava 10 ore nell’officina, altre 5-6 ore le lavorava in casa, col suo vecchio genitore onde poterne alleviare i bisogni. Modesto, onesto allo scrupolo, generoso con tutti, per la sua famiglia era un esempio raro di lavoratore attivo, intelligente. Guai se nella vita si dimenticassero questi umili lavoratori. Nell’officina si era guadagnata la stima e l’affetto dei compagni. Subito dopo i moti del ’98, sedato con lo stato d’assedio dal generale Bava Beccaris, ci siamo trovati assieme a Milano. Ridata, dopo questo periodo di agitazioni la libertà e costituitosi il Partito socialista, vi ci siamo entrambi inscritti. La sede nostra era un grande stanzone in via S. Pietro all’Orto. Sede disadorna, pochi mobili, difficilmente si potevano contare un centinaio di convenuti alle riunioni. Vi partecipavano assiduamente i nostri maestri. E quale e quanta intimità tra tutti: Turati, Treves, Lazzari, Della Valle, Walter Mocchi, Morgari, ecco alcuni nomi fra i tanti da cui abbiamo appreso il verbo della nostra fede politica. L’idea della elevazione morale e intellettuale della classe operaia ha ispirato la nostra giovane mente. La conferenza, l’opuscolo, il giornale del partito erano per noi il posto spirituale. Tornato il Rubini nella nativa Romano, subito si diede all’opera di propaganda. Credo che nella provincia di Bergamo, e particolarmente nei paesi della bassa pochi furono coloro che non abbiano stretto cordialmente, fraternamente la mano di Lui. Nei paesi di fontanella e Antegnate era legato, oltre che da vincoli di partito e di amicizia, anche da rapporti commerciali. Ancora agli albori del fascismo in quei paesi si recava sovente, troppo sovente, quasi tutti i giorni. L’avvertimmo del pericolo; ci rispose di sentirsi sereno. La sera dell’8 ottobre 1922 ritornava appunto da Antegnate; al mattino susseguente fu trovato gravemente ferito disteso su di un mucchio di ghiaia. Due giorni dopo decedeva. Aveva 40 anni: era nel fiore della sua esistenza. L’abbiamo accompagnato nel silenzio al camposanto, ed il singhiozzo ci ha strozzato in gola l’estremo saluto. Qualche giorno dopo di nascosto l’abbiamo ricordato portando fiori, rileggendo nella lapide le parole dettate dal comm. don G. Radici: «Lavoratore meccanico intelligente – Amato dagli umili – Assertore convinto della fratellanza umana – Ebbe nel morire la buona parola – Il conforto supremo di Colui – Che gli umili esaltò – Condannando i superbi». Se il povero nostro Giacomo Rubini fosse sopravvissuto e avesse pure lui gioito di questa nuova alba di libertà, lui ci avrebbe ammonito a continuare l’opera interrotta. Non odio compagni, avrebbe consigliato, non vendette, non atti di violenza inconsulti. Ricominciamo la nostra strada, prepariamo per la nuova vita le nuove coscienze. Catechizziamo alla nostra fede i compagni di lavoro, diamo loro quel tanto di educazione del cuore che pure noi abbiamo appreso negli anni della nostra passione, facciamo si che le nuove generazioni, pur deprecando un passato triste di orrori, di violenze e di tirannia, sappiano sopravalutare i sacrifici nostri, dimostrandosi preparati e degni di vivere nella nuova società fondata nella giustizia e nella libertà”.
Dopo l’instaurazione della Rsi, tale articolo diviene motivo di un ulteriore procedimento a suo carico. Infatti, una nota della Questura di Bergamo del 31.10.1943 viene indirizzata al comando della Compagnia dei Cc di Bergamo con il seguente testo: “Per ordine superiore prego procedere colpo sicuro al fermo di Manetta Riccardo fu Battista da Romano Lombardo facendolo tradurre carceri di Bergamo disposizione questo ufficio. Attendo urgente riscontro”.
Per parte sua, facendo riferimento all’articolo di Manetta, il 10.11.1943 il Commissario federale di Bergamo del Partito Fascista Repubblicano, Mario Cionini Visani, indirizzandosi al capo della provincia Emilio Grazioli scrive che “tale articolo contiene insinuazioni ed affermazioni denigratrici per il fascismo”. Arrestato nella sua abitazione il pomeriggio dello stesso 10.11.1943 dal maresciallo a piedi Marcello Ghisoni e dal carabiniere a piedi Alberto Mercori, Manetta viene rinchiuso nella caserma dei Cc di Romano di Lombardia e il giorno dopo trasferito ancora una volta nelle carceri giudiziarie di Bergamo. Il 30.11.1943, tuttavia, il segretario fascista di Romano di Lombardia, Ubaldo Bilioli, insieme all’avvocato romanese Antonio Masneri, si rivolge a Cionini Visani chiedendo il rilascio di Manetta dal carcere con queste parole: “Per la verità ci facciamo dovere di comunicare che Manetta Riccardo, di anni 62, di Romano, pur essendo sempre stato socialista, nel vero senso della parola, si è sempre comportato correttamente, alieno da ogni violenza e assai generoso con il popolo. A dimostrazione del suo animo e della sua generosità, si espongono questi precisi dati di fatto:
1 In data 15/9/1942 egli ha devoluto al Comando G.I.L. di Bergamo L. 20.000 per la Colonia Fluviale “A. Mussolini” di Romano
2 In data 17/11/1942 ha offerto L. 750 all’O.M.N.I.
3 In data 6/7/1943 ha offerto ancora alla detta O.M.N.I. n° 200 barattoli di talo borico e n° 120, con L. 100 in contanti, aveva donato il 3/8/1942 pro assistenza Combattenti.
4 Nel 1943 ha offerto L. 3.000 all’Asilo Infantile
5 Nel 1942 aveva offerto L. 2.000 all’ospedale Civile
6 Il 20/4/1943 ha donato L. 50.000 all’Orfanatrofio femminile Mottini di Romano. In più ha fatto donazione allo stesso Ente “Mottini” della sua villetta e terreno annesso, del valore attuale di L. 100.000 circa, sita nelle vicinanze del fiume Serio, acconsentendo anche che, provvisoriamente ed a titolo gratuito, essa fosse goduta dal corpo di polizia addetto alla vigilanza del ponte sul Serio.
In considerazione quindi di tali precedenti, ma più che tutto per il fatto che il suo arresto può portare più danno che vantaggio alla nostra opera di propaganda e di persuasione della massa operaia che sta, a seguito del nuovo programma, orientandosi verso il Partito Fascista Repubblicano, esprimiamo il parere che l’atto generoso della sua rimessa in libertà, tornerebbe assai utile per la nostra propaganda”.
Dopo aver ricevuto la lettera dai fascisti di Romano di Lombardia, è lo stesso federale Mario Cionini Visani che, pur avendo segnalato il 10.11.1943 l’articolo di Manetta al capo della provincia e chiesto provvedimenti a suo carico, quasi un mese dopo, il 4.12.1943, scrive ancora al capo della provincia, indirizzandogli però una lettera dal tenore molto diverso dalla precedente. Infatti, dopo aver citato un passaggio dell’articolo di Manetta in cui questi aveva scritto “facciamo si che le nuove generazioni, pur deprecando un passato triste di orrori, di violenze e di tirannia, sappiano ecc.” per evidenziarne l’implicito ma chiaro riferimento al fascismo, che costituiva la ragione della sua prima lettera, Cionini Visani aggiunge ben altre considerazioni: “Ora il Fiduciario del fascio di Romano Lombardo, ove il Manetta risiede, mi ha fatto tenere la relazione di cui allego copia. Da essa si rileva che il Manetta, di idee socialiste, ha sempre tenuta una buona condotta morale e politica, che è di animo generoso tanto da aver fatte numerose cospicue elargizioni a favore di istituzioni fasciste ed anche del P.N.F. (Colonia “A. Mussolini”). Per tale motivo il fiduciario di quel Fascio chiede che sia scarcerato anche in considerazione della età (anni 62) e soprattutto perché la sua scarcerazione avrebbe una favorevole ripercussione nell’ambiente. Riterrei pertanto opportuno che il Manetta venisse posto in libertà provvisoria”. Nel fascicolo sono conservate due sue fotografie, una delle quali è incollata sulla sua carta d’identità obbligatoria ricevuta il 28.2.1927, che lo ritraggono con una gran barba ottocentesca. Dopo la liberazione Manetta è il primo sindaco di Romano di Lombardia, dove muore nel 1954. Cpc, b. 2980, 1924-1942, scheda biografica. Un fascicolo a suo nome è in ACS, fondo ‘Polizia Politica’, b. 605, n. 9202. (G. Mangini)