Borelli Luigi


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n. busta
17
n. fascicolo
536
Primo estremo
1930
Secondo estremo
1942
Cognome
Borelli
Nome
Luigi
Presenza scheda biografica
no
Luogo di nascita
Data di nascita
1902/09/14
Livello di istruzione
licenza elementare
Professione
operaio meccanico
Collocazione politica
Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Covo (Bg) il 14.9.1902, operaio meccanico, comunista. Si trasferisce da Covo a Crescenzago (Mi) nel 1925 e lavora a Milano come operaio meccanico nello stabilimento Isotta Fraschini. L’1.10.1927 si sposa a Milano con Adelaide Pizzetti, a sua volta inserita nell’elenco dei sovversivi. Dall’agosto 1929 la Questura di Milano tiene sotto sorveglianza gli incontri che avvengono tra alcuni avventori di due trattorie milanesi, ‘Rosa rossa’ e ‘Leon d’oro’, ritenendoli finalizzati alla ricostituzione del Pci e organizzati da militanti provenienti dall’estero, dotati di mezzi materiali per l’attività propagandistica con la distribuzione di stampe e di somme di denaro per conto del ‘Soccorso rosso’. Tra coloro che sono maggiormente indiziati di far parte dell’iniziativa c’è anche Borelli, che avrebbe ricevuto materiale propagandistico dal manovale Carlo Rainoldi. Così, il 14.12.1929 due agenti di Ps si presentano allo stabilimento dove Borelli lavora per arrestarlo, ma mentre i due lo stanno accompagnando fuori, Borelli si dà precipitosamente alla fuga, riesce a seminare gli inseguitori e a far perdere le proprie tracce. Si tiene nascosto per qualche settimana e prepara il suo espatrio, che avviene nel febbraio 1930: da Colico, in cima al lago di Como, riesce ad entrare in Svizzera, da dove poi raggiunge Parigi. È molto probabile che la fuga di Borelli sia avvenuta in compagnia del fratello Giuseppe, a sua volta comunista e già compreso nell’elenco dei sovversivi. Nel corso del 1930 nasce suo figlio Giacomo, ma nel febbraio dello stesso 1930 Borelli viene denunciato al Tribunale Speciale in seguito al rapporto dell’Ispettore generale di Ps Francesco Nudi (Ovra), con l’accusa di aver contribuito alla ricostituzione della federazione comunista milanese. La Commissione Istruttoria del Tribunale Speciale, esaminati gli atti risultanti dall’inchiesta, nella riunione del 19.4.1930 presieduta dal generale di divisione Achille Muscarà, affiancato dal giudice relatore Giacomo Buccafurri, delibera di rinviare Borelli a giudizio davanti al Tribunale Speciale, per rispondere dei reati di appartenenza al Partito comunista e di propaganda sovversiva (ai sensi del 1° e del 2° capoverso dell’articolo 4 della legge n° 2008 del 25.11.1926). La sua posizione, tuttavia, all’udienza del 12.6.1930 del Tribunale Speciale viene stralciata da quella degli altri 15 imputati perché è latitante. Nell’agosto 1931 in Francia Borelli prende contatti con i dirigenti del Partito comunista, per conto del quale accetta di venire in Italia con documenti di copertura e con materiale propagandistico nascosto nel doppio fondo di una valigia. Il primo viaggio in Italia si svolge tra il settembre e l’ottobre 1931 con destinazione Pisa e Firenze, alloggiando in alberghi sotto il falso nome di Giuseppe Stacchi. Da Firenze, passando per Chiasso, rientra in Francia. Torna in Italia nel dicembre 1931, prima a Firenze con un falso passaporto svizzero intestato ad Antonio Puffi, poi a Bologna con la carta d’identità intestata al nome di Antonio Stacchi, già usato nel primo rientro in Italia. A Bologna rimane per i successivi 4 mesi, fino a quando viene arrestato il 21.3.1932 in una trattoria di via Petroni 38. La ricostruzione delle vicende che hanno portato all’arresto di Borelli e del centro interno del partito comunista è contenuta nel libro di Paolo Spriano, Storia del partito comunista. Gli anni della clandestinità, L’Unità-Einaudi 1969, p. 353: un poliziotto fascista riconosce il militante comunista Luigi Frausin (Muggia, 1898 – Trieste, Risiera di San Sabba, 1944), il quale, pedinato, consente alla polizia fascista la progressiva individuazione dei suoi contatti: oltre a Borelli, vengono arrestati lo studente ascolano Cesare Marcucci (Cpc, b. 3046), l’operaio meccanico romano Gugliemo Germoni, il viaggiatore di commercio comasco Virgilio Mazzoleni, il falegname bolognese Umberto Macchia, Andrea Castagno, Umberto Melani, il muratore lecchese Giovanni Nazzareno Teli, Luigi Orsati. Le notizie sulle vicende giudiziarie di Borelli sono tratte dai verbali del Tribunale Speciale per l’anno 1933 pubblicati dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa nel 1987. Al momento dell’arresto Borelli viene perquisito e trovato in possesso di una carta d’identità intestata ad Angelo Borroni, di un distintivo del Pnf e di una chiave per una borsa. Durante il primo interrogatorio, avvenuto il 23.3.1932 nella Questura bolognese, Borelli dichiara di essere funzionario del Pci, ma aggiunge che non intende rivelare le ragioni della sua missione, i propri contatti e l’indirizzo del suo recapito, che la polizia ritiene trovarsi nei pressi del capoluogo emiliano. Nega di avere ricevuto materiale propagandistico da Carlo Rainoldi nell’agosto 1929 perché in quel periodo non era attivo come militante. Gli viene anche chiesto presso quale dei suoi compagni abbia trovato ospitalità quando, nel dicembre 1929 a Milano, era riuscito a sottrarsi all’arresto, e dove sia sua moglie, se a Covo presso i genitori o a Crescenzago, per essere interrogata da funzionari di Ps. Borelli però non fornisce risposte. L’obiettivo degli inquirenti fascisti è quello di ricostruire tutta la rete dei contatti di Borelli, per questo, stante il suo silenzio, perla polizia fascista diviene importante interrogare sua moglie per sapere da lei, tacendole l’avvenuto arresto del marito, almeno i nomi dei suoi compagni di Milano. Le indagini si allargano così anche agli operai ex-compagni di lavoro di Borelli licenziati dopo il gennaio 1930 e trasferiti altrove. Nell’aprile 1932 i Cc di Romano di Lombardia e la Questura di Bergamo comunicano che la moglie risiede a Crescenzago in via Magistretti 8, dove lavora come domestica presso una famiglia di agricoltori in Cascina Faipò. Tuttavia, la Pizzetti deve essere stata informata per tempo dell’arresto del marito e della volontà della polizia fascista di interrogarla, perché, in una vera e propria corsa contro il tempo, si affretta ad affidare il figlio Giacomo ai suoceri e ad allontanarsi dall’Italia, emigrando in Urss grazie ai contatti del Pci, dove giunge nel giugno 1932, sottraendosi in tal modo all’interrogatorio. Dopo essere stato nuovamente interrogato il 28.5.1932, quando conferma le dichiarazioni fornite nel primo interrogatorio, il 13.7.1932 la Commissione Istruttoria, presieduta dal generale di divisione Achille Muscarà, affiancato come giudice relatore da Giacomo Buccafurri, rinvia Borelli davanti al Tribunale Speciale per rispondere di numerose accuse: associazione sovversiva, propaganda sovversiva, organizzazione e direzione di associazione sovversiva, espatrio clandestino a scopo politico, falsificazione di documenti. Il 22.5.1933 il Tribunale Speciale si riunisce per deliberare sulla vicenda di Borelli sotto la presidenza del generale di divisione Augusto Ciacci con il giudice relatore Giovanni Presti. Per i reati che gli vengono attribuiti, Borelli viene condannato a 5 anni di reclusione e al pagamento delle spese accessorie di 300 lire, alla libertà vigilata e al pagamento delle spese processuali. Tuttavia, in virtù di un’amnistia e di un indulto nel frattempo intercorsi con RD del 5.11.1932, 3 dei 5 anni di pena gli vengono condonati. Borelli deve così scontare 2 anni di carcere: detenuto dal 21.3.1932, trascorre di due anni nel carcere di Civitavecchia, da dove viene liberato il 21.3.1934 e tradotto a Crescenzago, dove giunge il 29.3.1934 e sottoposto al regime di libertà vigilata per un anno. La moglie, nel frattempo, è ricoverata in una clinica per malattie neuropatologiche in Urss. Borelli si attiva per favorire il rientro della donna in Italia e si avvale per questo dell’ex-deputato comunista Anselmo Marabini, rifugiato appunto in Urss, che nel novembre 1934 si rivolge all’Ambasciata italiana a Mosca, chiedendo il rilascio di un passaporto utile a far rientrare in Italia la Pizzetti, appena dimessa dalla clinica. Con il parere favorevole del Cpc al rilascio del passaporto, espresso il 15.3.1935, il rientro avviene l’8.4.1935. Nell’ottobre 1935 Borelli è segnalato come irreperibile, perché nel frattempo si è trasferito clandestinamente in Francia. Stando però alla ricostruzione effettuata da Paolo Spriano nel 5° volume della sua Storia del partito comunista italiano, dedicato a I fronti popolari, Stalin, la guerra, ciò è avvenuto prima, dato che già nel marzo 1935, cioè prima del rientro della moglie in Italia, Borelli risulta candidato a far parte della direzione del Centro estero del Pci a Parigi, mentre nel settembre 1936 partecipa alla sessione del Comitato Centrale del Pci. Borelli in Francia usa lo pseudonimo di ‘Via’. Il 10.12.1937 sua moglie da Milano gli scrive una lettera, che però viene intercettata dalla polizia postale fascista e che ora si trova nel fascicolo personale della Pizzetti conservato al Cpc. Nella lettera, citata in un saggio di Patrizia Gabrielli del 2004, Pizzetti formula un giudizio molto duro della situazione italiana sotto il fascismo: “Che la miseria e la disoccupazione aumenta giorno per giorno in questo paese, in questa Italia, famata e imperiale e stop. Hanno preso l’impero; hanno fatto la raccolta dell’oro, hanno spogliato tutti per questa benedetta patria e non si vede nessun benessere nella Nazione anzi si può dire che si fa fame e si soffre tanto perché non possiamo dire la nostra ragione. 15 anni di fascismo e un anno di impero e si mangia il pane nero”. Tra febbraio e marzo 1938 viene arrestato un gruppo di operai della Breda, della Marelli e di altre fabbriche, che facevano riferimento a Luigi Elli, capo reparto Breda, il quale era stato in Francia a prendere contatto con dirigenti del Pci, in particolare con Borelli. Questi partecipa ai lavori del Comitato Centrale del Pci dal 12 al 16.3.1938. Per breve tempo risiede a Nizza in boulevard Carnot 188 sotto il falso nome di Oreste Innocenti, poi rientra a Parigi. Spriano informa anche che, a conclusione dell’inchiesta svolta da Giuseppe Berti all’interno dell’organizzazione comunista per scoprire le lacune e i difetti inerenti le modalità di relazione con l’Italia, viene decisa l’espulsione di Borelli dal partito. Il 14.6.1939 il Tribunale Speciale spicca nei suoi confronti il mandato di cattura n° 123 come imputato di delitti contro la Stato. In BR e RF nel 1939. Nel febbraio 1940 risulta a Montpellier, come risulta dal suo indirizzo scritto su di una sua lettera indirizzata alla moglie e intercettata dalla polizia fascista. Ancora ricercato nel dicembre 1942. La vicenda giudiziaria di Borelli si chiude solo il 27.1.1961 con un’ordinanza del Tribunale Militare Territoriale di Roma, che concede il beneficio dell’amnistia emanata con RDL n. 719 il 17.11.1945 e che dichiara, contemporaneamente, estinto il diritto dell’Erario di recuperare le spese di giustizia. Nel fascicolo è conservata una sua fotografia in triplice posa del 1932. Cpc, b. 751, 1930-1941. (G. Mangini, R. Vittori)
Familiari
Borelli Eugenio (padre)
Forlani Giacoma (madre)
Borelli Giuseppe (fratello)
Pizzetti Adelaide (moglie)
Nata a Covo il 6.8.1906, si sposa a Milano l'1.10.1927, morta a Milano il 25.12.1985.
Borelli Giacomo (figlio)
Nato nel 1930.
Luoghi di residenza
Covo Lombardia Italia (1902 - 1925) Crescenzago Lombardia Italia (1925 - 1930) Parigi Francia (1930 - 1931) Bologna Emilia Italia (1931 - 1932) Civitavecchia Lazio 1932 penitenziario (1934 - ) Crescenzago Lombardia Italia vua Magistretti 8 (1934 - 1935) Parigi Francia (1935 - )
Fatti notevoli
1929/12/14 - 1929/12/14
Due agenti di Ps si presentano nella fabbrica dove lavora Borelli per arrestarlo, ma lui riesce a fuggire e nel febbraio successivo si trasferisce in Francia.
1931 - 1932
Nel corso del 1931 rientra clandestinamente in Italia per contribuire alla riorganizzazione del Partito comunista, fino al suo arresto nel 1932.
1932 - 1934
Trascorre due anni di prigione a Civitavecchia.
1935
Emigra clandestinamente in Francia.
1936
Nella seconda metà degli anni Trenta a Parigi viene espulso dal Partito comunista.
Sanzioni subite
carcere (1932 - 1934)
Condannato a 5 anni di reclusione dal Tribunale Speciale, ottiene un condono di tre anni per amnistia e sconta i residui due anni a Civitavecchia.
Relaz. con altri soggetti
Rainoldi Carlo (comunista)
ACS, Cpc, b. 4209
Frausin Luigi (comunista)
ACS, Cpc, b. 2175
Germoni Guglielmo (comunista)
ACS, Cpc, b. 2345
Marcucci Cesare (comunista)
ACS, Cpc, b. 3046
Mazzoleni Virgilio (comunista)
ACS, Cpc, b. 3184
Macchia Umberto (comunista)
ACS, Cpc, b. 2898
Castagno Andrea (comunista)
Melani Umberto (comunista)
Teli Giovanni Nazzareno (comunista)
ACS, Cpc, b. 5061
Orsati Luigi (comunista)
In rubrica di frontiera
Informazioni
1939
In bollettino ricerche
Informazioni
1939
Esclusione dallo schedario
no
Documentazione allegata
fotografia in triplce posa scattata dagli organi di polizia
Altre fonti archivistiche
(ACS-CPC) Archivio centrale dello Stato (Roma), Casellario Politico Centrale
Busta 751, Fascicolo
Riferimenti bibliografici
Spriano 1969
riferimento p. 353
Spriano 1970
riferimento p. 16
Tribunale Speciale 1987
riferimento pp. 49-57
Dal Pont, Leonetti, Maiello, Zocchi 1961, 2a ed. 1976
riferimento p. 245
Gabrielli 2004
riferimento p. 98
Antifascisti Cpc 1998, vol. 4
riferimento p. 123