Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Kringa, italianizzato in Codorico (Istria) il 10.9.1890, sacerdote. Frequenta il regio-imperial liceo croato di Pisino, viene ordinato sacerdote nel seminario di Gorizia e nel 1939-1940 è coadiutore della parrocchia di Sant' Antonio Taumaturgo a Trieste. Antifascista, ‘slavofilo’, cioè “noto per i suoi accesi sentimenti irredentisti sloveni” (in realtà croati), viene arrestato il 6.4.1941 a Trieste perché “agente accertato di spionaggio” e destinato come internato politico alla Casa del Clero di Bergamo di via S. Antonino 3. Il trasferimento da Trieste a Bergamo viene deciso l’1.5.1941, avviene il 3.5.1941 e il giorno dopo, 4.5.1941, don Milanovich si presenta in Questura. A Bergamo arriva insieme ad un altro sacerdote, un caro amico dello scrittore Boris Pahor, don Andrea (Andrej) Gabrovšek (1891-1955), coadiutore parrocchiale, membro dell’Azione Cattolica di Trieste, arrestato con lui il 6.4.1941 perché difende l’identità linguistica e culturale delle minoranza slovena, così come Milanovich di quella croata, e raggiunge un altro sacerdote slavo già presente in città dal 27.9.1940, don Giovanni Bidovec. Il 20.9.1941 il maresciallo di Ps Tito Calanca, componente della squadra politica in servizio presso la Questura di Bergamo, informa il questore che don Milanovich non percepisce alcun assegno giornaliero da parte della Casa del Clero di Bergamo, che invece gli riconosce 10 lire ogni volta che celebra la messa, oltre a qualche contributo per le funzioni religiose funebri, pertanto esprime parere favorevole alla concessione a don Milanovich del sussidio riconosciuto agli internati politici. Il 3.10.1941 il maresciallo di Ps Tito Calanca redige il seguente rapporto al questore di Bergamo:
“Bergamo, 3 ottobre 1941 - XIX
Oggetto:
Bidovec don Giovanni di Giovanni, nato a Trieste il 12/121906
Milanovic don Natale di Giacomo, nato a Corridico (Pola) il 10/9/1890
Gabrovšek don Andrea fu Andrea, nato a Rovte il 24/10/1891 jugoslavo – Internati politici.
Si comunica che i sopra citati sacerdoti slavi escono dalla Casa del Clero al mattino dopo la levata del sole per recarsi a celebrare la messa nella Chiesa di S. Marco, sita in Piazza del Littorio.
Dal 5 settembre scorso, i predetti sacerdoti consumano i pasti giornalieri in via Paleocapa n. 12, presso l’abitazione della famiglia Gandolfi, presa in affitto dal sacerdote Milanovic il quale ha provveduto per la servitù facendo venire la nipote Milanovic Teofila di Felice, nata a Corridico, frazione del comune di Antignana (Pola) il 20/10/1919, ivi domiciliata e la sua vecchia domestica Belavic Bellani Anna di Michele, nata a Barbana d’Istria (Pola) il 23/1/1916, domiciliata a Trieste via Raffineria n. 2, le quali provvedono per preparare da mangiare agli stessi sacerdoti.
Le due signorine risiedono e dormono in casa Gandolfi, mentre i sacerdoti la sera ritornano alla Casa del Clero prima delle ore 21, ora in cui si chiude la Casa del Clero.
Promotore per allontanarsi dal vitto della Casa del Clero è stato il sacerdote Milanovic.
Il comportamento di detti sacerdoti, in pubblico, è alquanto in contrasto con la veste che portano, in confronto ai sacerdoti del luogo, mentre il Bidovec don Giovanni ha un comportamento piuttosto spavaldo, sia in pubblico che in presenza alle autorità. Egli fuma sulla pubblica via dando così all’occhio del pubblico non essendo il predetto Bidovec abituato ad un comportamento più serio; volentieri si ferma ad osservare le donne piuttosto eleganti e formose, ciò che in pubblico viene molto criticato.
Si crede opportuno diffidare detto sacerdoti ad un migliore, riservato comportamento specie a non farsi vedere insieme sulla pubblica via, o, quantomeno, separare il Bidovec dagli altri confratelli destinandolo in altra località”.
Nel fascicolo è conservato l’autografo di lettera dei sacerdoti del 14.10.1941 indirizzata alla questura di Bergamo in cui chiedono il permesso di cambiare il luogo dove consumano i pasti:
“‘Alla R. Questura di Bergamo - I sottofirmati sacerdoti, internati risp. Confinati a Bergamo, alloggiando nella Casa del Clero in via S. Antonino 3, finora prendevano cibo alla mensa della detta pensione, pagando L. 18 giornaliere ciascuno per vitto ed alloggio. Però il vitto era e quantitativamente e qualitativamente tale, che i sottoscritti andarono di giorno in giorno fisicamente deperendo. Fecero ripetuti reclami tanto presso il direttore della Casa quanto presso il vescovo di Bergamo, senza sortire alcun miglioramento del vitto. La mattina p.e. servivasi il caffè con latte inacquato in vecchie chicchere piene di ammaccature. Le posate erano di infima qualità e mal pulite. I piatti spesso attorniati di ammaccature. La minestra condita con scorze di formaggio, cui erano attaccate qualche volta ancora le carte da involto. Con tutto ciò il direttore si espresse che la retta giornaliera sarebbe aumentata a 21 sino 23 lire (il che farebbe più di 600 mensili).
I sottoscritti per procurarsi miglior vitto, trattarono in una locanda vicina, con stanza separata, per andarvi a prender i loro pasti. La Curia, debitamente informata, negò il suo consenso “per ragioni particolari”. Allora si pensò di sistemarsi in maniera do conservare il decoro sacerdotale e nello stesso tempo servirsi per vitto di una cucina di nostro gusto ed abitudine, come pure per ragioni economiche.
Si trovò un quartiere in subaffitto presso la signora Gandolfi in via Paleocapa 12/II dove prenderà alloggio la domestica di don Milanovic, sorella di suo cognato, Anna Bellani, ovvero la di lui nipote Teofila Milanovic. Ella penserà alla cucina ed i tre sottoscritti verranno a prendervi i loro pasti, alloggiando pur sempre nella Casa del Clero. A questa soluzione del problema del vitto, il vescovo di Trieste diede il suo consenso, e dietro sua istanza pure il vescovo locale. I sottoscritti in base all’esposto pregano codesta inclita Questura di voler benignamente dare il proprio beneplacito.
Bergamo, 14 ottobre 1941
Sac. Natale Milanovic Andrea Gabrovich don Giovanni Bidovec”.
Sul primo foglio il questore scrive di suo pugno, in lapis rosso e a caratteri cubitali ‘NO’. Il mancato consenso induce i sacerdoti a rivolgersi al vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi perché questi solleciti la Questura a concedere quanto da loro stessi richiesto nell’ottobre precedente. Bernareggi scrive al questore il 2.7.1942 pregandolo di prendere la domanda “in benigna considerazione, attestando che sono seri i motivi cui la domanda si appoggia”.
Nel fascicolo è conservato anche l’originale di una lettera dattiloscritta da Bergamo il 29.11.1941, siglata in calce con la scritta anonima ‘Alcuni cittadini e fascisti del Rione centrale’ e indirizzata al questore:
“Bergamo 29 Novembre 1941-XIX.Signor Questore -
Permettete alcune osservazioni. Non Vi pare che da qualche tempo in qua la presenza di quei tre sacerdoti triestini confinati, che ormai han l’aria di infischiarsene di tutto e di tutti, non sia una cosa da lasciarsi inosservata?
Si son fatti tale un circolo di signorine e di signori loro ammiratori che dà troppo all’occhio, e costoro oltre che a condividerne le idee, ne han grande compassione e sono pronti a fornirli di ciò che lo stato di guerra limita o proibisce a tutti i cittadini. Ora ci sembra si sieno anche svincolati dalla Casa del clero ove li sapevamo pressoché relegati e che si sieno trovato un covo appartato e misterioso dove poter fare ogni loro comodo.
E come mostrano di saper parlar bene la lingua slava, aborrendo di contaminarsi con quella italiana! nessuno così ne rileva una sillaba.
E certe visitine che ricevono da vicino e da lontano con una certa frequenza, e l’incontrarli da qualche tempo in qua a tarda ora di sera in vari punti della città, e quell’aria di mistero che lor sempre si legge in volto, son cose da non osservarsi da Voi e dai vostri Agenti?
In breve Vi diciamo: quei tre messeri si son fatti ormai troppo padroni dell’ambiente di Bergamo e lo sguinzagliarli divisi in altre arie non sarebbe provvedimento mal preso. A Voi il gesto accomodatore. Alcuni cittadini e fascisti del Rione centrale”.
Il 20.12.1941 il Cpc informa la Prefettura di Bergamo che ai tre sacerdoti è stato concesso il sussidio giornaliero stabilito per gli internati. Il 29.1.1944 il maresciallo Calanca riferisce al questore che don Milanovich, in seguito alle vicende seguite all’8.9.1943, tra la fine di novembre e gli inizi di dicembre si allontana senza permesso da Bergamo e torna a Trieste coperto dalla complicità del direttore della Casa del Clero di Bergamo il quale, pur avendo l’obbligo di informare la Questura sui movimenti del sacerdote, non ha detto niente. L’11.4.1944 don Milanovich viene fermato e, avendo la Questura di Bergamo denunciato il suo allontanamento, da Trieste stanno per rimandarlo a Bergamo, ma il sacerdote esibisce un documento rilasciato dal comando tedesco con il quale lo si autorizza a rimanere nella città giuliana. Il 22.4.1944 dalla Questura di Bergamo vengono richieste notizie su don Milanovich e il 4.5.1944 da Trieste il questore Roberti risponde che “con riferimento alla lettera Nr. 01407 del 22 aprile u.s. si comunica che il soprascritto sacerdote, qui fermato l’11 scorso mese per essere costà tradotto, ha esibito una dichiarazione del Comando germanico con la quale viene autorizzato a risiedere in questa città. Egli sarà pertanto rimesso in libertà anche in ossequio alla recente grazia del Duce, concessa in occasione della Pasqua, in favore dei sacerdoti arrestati per motivi politici”. A seguito del ritorno a Trieste, viene radiato nel 1944 dall’elenco dei sovversivi della provincia di Bergamo. Muore a Pisino (Croazia) il 28.12.1980. Cpc, b. 3285, 1929-1944, scheda biografica. (G. Mangini)