Profilo sintetico riassuntivo
Nato ad Albano Sant' Alessandro (Bg) il 3.3.1875, analfabeta, manovale, sospetto antifascista. La sera del 9.8.1937 Biava si trova ubriaco ad Albano Sant’Alessandro nell’osteria gestita da Cesare Lorenzi, chiede altro vino che però gli viene rifiutato. Tra le persone presenti c’è anche il segretario politico fascista del paese, Giacomo Zanga, che invita Biava a rincasare. Questi però si rifiuta e anzi rimprovera Zanga di non averlo aiutato attraverso l’ECA – Ente Comunale di Assistenza nel periodo antecedente al 1936, quando era rimasto disoccupato e suo figlio Luigi aveva dovuto partire per il servizio militare in Africa Orientale, lasciandolo in difficoltà. Da questo momento in poi, però, le versioni sui fatti accaduti divergono. La versione ufficiale, basata sulle testimonianze dell’oste e di Zanga, è che quest’ultimo, inizialmente all’esterno del locale, abbia invitato Biava ubriaco a rincasare, ma questi, reagendo, gli avrebbe rivolto frasi offensive entrando di nuovo nell’osteria per bere ancora, trovandosi di fronte al rifiuto dell’oste. Zanga allora lo avrebbe accompagnato fuori ma Biava, incespicando in una sedia, cade a terra. Preso dall’ira, nel rialzarsi Biava dice allo Zanga “Non sono Maccarana” e canta ‘Bandiera rossa’. Al sopraggiungere della figlia Caterina, Biava rientra a casa insieme a lei senza altri incidenti. Dopo la denuncia, Biava viene convocato in Questura e interrogato sulla vicenda, ma la sua ricostruzione dei fatti è molto diversa da quella di Zanga sopra citata. Biava afferma infatti che dopo essersi lagnato con Zanga per il suo mancato aiuto tramite l’ECA, quest’ultimo gli avrebbe dato uno spintone facendolo cadere per terra e Biava, irritato, avrebbe detto “bella fatica farmi andare per terra”. Nella sua testimonianza Biava non esclude, proprio perché ubriaco, di avere detto altre frasi, ma ricorda di aver detto “Viene giù Cristo di un cane, canteremo ancora Bandiera rossa” e “Io non sono Maccarana”, alludendo alle bastonate che alcuni fascisti, tra i quali lo stesso Zanga, avevano dato in precedenza ad un operaio meccanico antifascista, Alessandro Maccarani (nato nel 1894 a Telgate, residente ad Albano Sant’ Alessandro, elettricista, confinato, Cpc, b. 2895, 1937-1942). La Commissione Provinciale per il confino di polizia di Bergamo, riunitasi il 10.9.1937 e inizialmente propensa ad inviare Biava al confino sulla base del primo rapporto dei Cc, di fronte alla discordanza delle due versioni decide di procedere ad un supplemento di inchiesta. A questo scopo viene convocato in Questura il fascista Zanga perché, quale principale accusatore di Biava, possa fornire più precise notizie. Tuttavia, come scrive il 16.9.1937 lo stesso questore Belisario Monarca al prefetto e al segretario federale del Pnf di Bergamo, “avuta la presenza dello Zanga, ho dovuto, però, sospendere lo interrogatorio, per il contegno altezzoso e sprezzante da lui tenuto. Ne informo l’E.V. per opportuna conoscenza”. La ricostruzione ufficiale del caso è effettuata proprio dal questore Monarca, che il 29.9.1937 invia il suo rapporto al prefetto di Bergamo in vista della definitiva decisione sul caso da parte della Commissione Provinciale. Il Questore nel suo rapporto accoglie di fatto la versione del segretario fascista Zanga, secondo cui la caduta di Biava è dovuta ad un inciampo, tuttavia non tralascia di menzionare anche la tesi di Biava, che afferma di essere stato spinto per terra da Zanga. Questa citazione, soprattutto dopo la mancata testimonianza di Zanga per il suo atteggiamento sprezzante verso il questore, fa sorgere legittimamente il dubbio che il questore, in cuor suo, credesse alla versione di Biava e non a quella di Zanga, ma che non potesse, per opportunità politica, smentire quest’ultimo. Tale dubbio può essere confermato anche dal fatto che la Commissione Provinciale (di cui il questore è componente) il 30.10.1937 sanziona Biava solo con la diffida, cioè con la meno dura tra le sanzioni possibili e non con il confino inizialmente richiesto. Nel 1940 convive con i due figli. Il 3.11.1940 i Cc di Bergamo informano la Questura che Biava ha dato prove di ‘ravvedimento’ e pertanto propongono la sua radiazione, che avviene il 6.11.1940. Nel fascicolo è conservata una sua fotografia. Cpc, b. 633, 1937-1940. (R. Vittori)