Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Crenna di Gallarate (Va) il 6.5.1918. Il luogo di nascita è del tutto occasionale, perché la famiglia risiede a Bergamo in via Torni 12, dove rientra pochi giorni dopo la nascita di Dino. Il padre è laureato in Scienze naturali e in Medicina, insegnante e medico, è stato iscritto al Partito socialista fino al 1921-22, uscendone prima della marcia su Roma, in seguito prende la tessera fascista, mentre la madre è molto legata al mondo cattolico. Il giovane Dino in città frequenta il liceo classico ‘Sarpi’, così come faranno anche le due sorelle più giovani, Ircea, detta Cocca, e Giuseppina, detta Pina. Concluso il liceo al termine dell’anno scolastico 1935/36, Moretti si iscrive alla Scuola Normale Superiore di Pisa per l’anno accademico 1936/37. L’1.10.1936 l’ufficio di Gabinetto della Prefettura di Bergamo scrive alla Questura di Bergamo a proposito del fatto che Moretti ha presentato domanda per un posto gratuito nel collegio per studenti universitari a Pavia: “Prego la S.V. perché, in via del tutto riservata, mi accerti, con cortese sollecitudine, che nulla osta, nei riguardi della condotta morale e politica del concorrente e dei suoi famigliari, all’accoglimento di tale domanda. Il Prefetto Giuseppe Toffano”.
In realtà, la domanda per ottenere un posto gratuito nel collegio universitario non riguarda l’Università di Pavia, bensì il Collegio ‘Mussolini’ annesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Due giorni dopo, il 3.10.1936, giunge puntuale la risposta del questore, secondo cui Moretti “risulta di regolare condotta morale e politica ed in questi atti non figurano precedenti né pendenze penali, così dicasi dei suoi famigliari. Non risulta iscritto presso le organizzazioni Fasciste di questa città”.
Iscrittosi al Guf di Bergamo dal 17.11.1936, Moretti ottiene il posto richiesto. Frequenta i corsi universitari dell’anno accademico 1936/37 per conseguire la laurea in Giurisprudenza usufruendo del posto di convittore presso l’annesso collegio ‘Mussolini’, con relativa iscrizione al Gruppo Universitario Fascista della Scuola Normale, che avviene il 10.12.1936. Nello stesso mese di dicembre 1936 si arruola volontario nel secondo corso allievi ufficiali di complemento presso l'Università di Pisa. Circa un anno dopo, il 30.12.1937, da Milano l’Ispettore Generale Ps invia al questore di Bergamo una lettera riservata: “Ill.mo Sig. Questore di Bergamo. Prego V.S. Ill. comunicarmi le complete generalità e riservatissime informazioni, specie in linea politica, su certo Moretti Ermenegildo, detto Dino, nativo di Bergamo e che sarebbe studente presso il Collegio Mussolini di Forlì”.
Ancora una volta c’è l’erronea indicazione della sede universitaria di Moretti, indicata a Forlì anziché a Pisa. La risposta è della settimana successiva. L’8.1.1938, infatti, il questore di Bergamo informa che Moretti “risulta di buona condotta morale e politica e non ha precedenti né pendenze penali. Il di lui genitore è professore in scienze commerciali ed è insegnante presso queste scuole normali. Il Moretti Ermenegildo è iscritto al Gruppo Universitario Fascista di Bergamo dal 17 novembre 1936 proveniente da GUF di Pisa”.
Al di là dell’erronea indicazione della sede universitaria, va invece considerato che, questa volta, ad attivarsi è l’Ispettore Generale di Ps, che richiede ‘riservatissime’ informazioni, ‘specie in linea politica’. La ragione di ciò sta nel fatto che Moretti nell’estate del 1937 si era recato a Parigi per visitare l’Esposizione Universale (25 maggio – 25 novembre 1937). Nella capitale francese viene a contatto con l’antifascismo dell’emigrazione italiana, in particolare con il gruppo raccolto intorno al giornale «La voce degli italiani», uscito appunto nel 1937 e diretto da Giuseppe Di Vittorio, reduce dal fronte spagnolo, dov’era stato dal novembre 1936 all’aprile 1937come commissario politico dell’XI Brigata Internazionale. Al rientro in Italia dalla Francia, Moretti ha con sé giornali e opuscoli antifascisti che poi, all’inizio dell'anno accademico 1937-1938, porta all'Università e al collegio di Pisa cercando di costituire una cellula antifascista, di orientamento comunista ma indipendente dal Pci. Il gruppo viene però infiltrato: dalla delazione deriva la denuncia da parte del Guf, determinando nel febbraio 1938 la fine del tentativo. Nell’immediato, tuttavia, non vengono presi provvedimenti di polizia, probabilmente nell’intento di evitare risonanza pubblica ad un episodio di antifascismo verificatosi all’interno della più prestigiosa istituzione universitaria italiana e, per di più, nel collegio intitolato al nome del duce. Nella stessa giornata del 24.2.1938 la madre di Moretti spedisce al figlio due telegrammi, uno al mattino - “Riporta opuscoli giornali trovati estate scorsa - Mamma”, e uno alla sera - “Vieni ugualmente comunque desiderando vederti altrimenti dovrei venire io – Mamma”. La sorveglianza su Moretti è attiva e la sua situazione si fa difficile, stretto com’è tra lo studio in un ambiente complesso che ha addosso gli occhi della polizia fascista, la delusione per la fine del suo tentativo antifascista all’interno dell’istituzione universitaria e il contesto internazionale in drammatico divenire, che vede il rafforzamento del fascismo in Europa ma anche la presenza al governo del Fronte Popolare in Francia; soprattutto, è in pieno svolgimento la guerra civile in Spagna, determinata dal golpe militare del generale Franco del luglio 1936, che nell’antifascismo italiano e internazionale suscita timori e insieme speranze per i suoi possibili esiti. Così, il 2.4.1938 Moretti lascia Pisa, rientra a casa per le vacanze pasquali e si prepara all’espatrio. Negli anni precedenti si recava in Germania durante le vacanze estive per perfezionarsi nella lingua tedesca, il suo ultimo soggiorno era stato nell’ottobre 1937. Così, con il pretesto della consueta motivazione dello studio linguistico, essendo ancora minorenne chiede ai genitori il permesso di recarsi a Monaco di Baviera presso la Deutsche Academy. Ottenuta l’autorizzazione all’espatrio, prima dalla famiglia e poi dal Distretto Militare, ottiene anche il necessario rinnovo della validità del passaporto per il periodo dal 9 al 28.4.1938. Già il 9.4.1938 parte diretto al Brennero, avendo con sé un biglietto di andata e ritorno. Il biglietto di ritorno, però, non verrà utilizzato. Dal Brennero Moretti manda una cartolina alla famiglia. Prima di giungere a Monaco di Baviera passa qualche giorno in Austria, a Semmering, nei pressi di Vienna, dove gli viene scattata una fotografia che invia alla famiglia, poi raggiunge Monaco, dove pure viene scattata una fotografia, l’ultima prima di intraprendere il viaggio verso Parigi, dove giunge alla fine di aprile 1938. Il 29.4.1938 dalla capitale francese scrive una cartolina alla famiglia. A Parigi riattiva i suoi contatti con gli antifascisti già conosciuti nel precedente soggiorno estivo del 1937, adoperandosi per l’arruolamento nelle Brigate Internazionali. Ad una prima visita medica viene scartato, ma grazie all’intervento di Giuseppe Di Vittorio, presente alla visita, ottiene di poter andare in Spagna.
Alla vigilia della partenza, il 4.5.1938 da Parigi scrive una lettera alla famiglia, pubblicata per la prima volta da Giuseppe Brighenti e Luigi Cordioli in appendice al loro saggio Volontariato garibaldino bergamasco in Spagna, comparso nel novembre 1976 sulla rivista «Studi e ricerche di storia contemporanea», e poi ripubblicata da Matteo Cefis alla p. 121 del suo libro del 2013 sui volontari antifascisti bergamaschi in Spagna. Nella lettera Moretti può finalmente svelare il vero significato del suo viaggio all’estero: “Questo è il mio grande momento; è la mia grande esperienza, quella a cui la mia vita e la tragedia della mia esistenza mi avevano votato. Per ora non torno più in Italia: resto per dare la mia vita alla causa santa del proletariato mondiale, alla causa di tutti i poveri e di tutti gli oppressi, alla causa di tutti coloro che lottano, che soffrono e che sperano (..) Quando vi ho chiesto di lasciarmi andare in Germania avevo già la precisa intenzione di fare ciò che ho fatto. Ve l’ho chiesto anzi appunto per poter fare ciò che ho fatto”. Nella stessa lettera Moretti annuncia ai famigliari che sta per inviare loro, in un pacco separato, alcuni suoi documenti personali, ma non sarà lui a spedirli, dato che è in procinto di partire, bensì lo sconosciuto giovane A. Contini, residente ad Argenteuil. Il giorno dopo, cioè il 5.5.1938, Moretti giunge in treno nella Francia del sud, ad Alès (o Alais, secondo l’antica denominazione, nel dipartimento del Gard, regione dell’Occitania), da dove scrive, oltre che alla famiglia, anche ad alcuni dei suoi compagni di studio a Pisa, comunicando loro la sua scelta. I destinatari delle lettere sono Oberdan Fraddosio (Bari, 25.10.1917, studente il Legge); Marco Aurelio Giardina (Roma, 8.3.1917, studente in Legge); Ernesto Bassanelli (Casola Valsenio, provincia di Ravenna, 7.9.1909, già laureato e assistente presso il Collegio Mussolini). Tra i nominativi dei compagni d’Università citati nelle sue lettere, compare anche il nome di Francesco Mafera (Treviso, 3.10.1917), che in quel momento si trova proprio in Spagna, a Salamanca, ma per motivi di studio. Il giorno dopo ancora, il 6.5.1938, Moretti scrive un biglietto postale al comando della Coorte Universitaria della Mvsn di Pisa, presentando le proprie dimissioni dal corso per Allievi Ufficiali al quale era iscritto e comunicando anche la decisione di non voler proseguire gli studi. Al loro arrivo a Pisa, le lettere di Moretti vengono intercettate dalla polizia fascista e il 9.5.1938 la Prefettura di Pisa, oltre che ai prefetti di Bergamo e Varese, ne informa il Ministero dell’Interno, più precisamente la Polizia Politica e la Divisione Affari Generali e Riservati da cui dipende il Cpc. Nella sua informativa il prefetto di Pisa rileva che “il Moretti, che rende palesi i suoi sentimenti bolscevici, comunica all’assistente e a due suoi compagni del Collegio Mussolini di trovarsi in Francia e che sta per attraversare la frontiera franco-spagnola per raggiungere la Spagna repubblicana (..) Il predetto non aveva qui dato luogo apparentemente a rilievi, ma da riservatissime informazioni ora assunte risulta che egli ha più volte tentato di ottenere qualche incarico presso questo G.U.F. e che la sua richiesta non è stata accolta perché ritenuto di non provata fede fascista”. Attraversata insieme ad altri la frontiera franco-spagnola, la prima destinazione di Moretti è la Catalogna, presso il centro di reclutamento e istruzione di Girona: ha appena compiuto 20 anni, è il più giovane volontario antifascista lombardo nella guerra civile spagnola.
Nel frattempo, l’informativa spedita dalla Prefettura di Pisa produce subito effetti. Il 12.5.1938 l’ispettore generale di Ps, dr. Giuseppe D’Andrea, già insospettito dalla scoperta nel 1937 della cellula antifascista presso il collegio ‘Mussolini’, così scrive al questore di Bergamo: “Con riferimento alla nota n. 06795 del 9 corrente della R. Prefettura di Pisa, diretta al Ministero e anche a codesto Ufficio, pregoVi significarmi se eventualmente il Moretti abbia avuto, in codesta città, per ragioni di studio, rapporti con la nota Prof.ssa Rossi Ada, moglie del condannato politico Rossi Ernesto ovvero con alunni della predetta insegnante”. Come si può notare, D’Andrea non è tanto interessato al giovane studente bergamasco in sé, quanto ai suoi possibili rapporti con la moglie di Ernesto Rossi, Ada, che non compare a caso nella storia di Moretti. Le vicende legate ai coniugi Rossi, infatti, sono una vera e propria ossessione inquisitoriale per l’Ovra: che Moretti sia di Bergamo e che si sia rivelato antifascista, agli occhi della polizia fascista alimenta sospetti su possibili, ulteriori legami antifascisti dei coniugi Rossi rispetto a quelli fin lì già scoperti. Alla domanda di D’Andrea, tuttavia, il questore di Bergamo risponde il 16.5.1938: “escludesi che il Moretti abbia per ragioni di studio contatti con la nota professoressa Rossi Ada”. Per parte sua, comunque, il 12.5.1938 anche lo stesso questore di Bergamo reagisce all’informativa del 9 maggio proveniente dalla Prefettura di Pisa, alla quale scrive mettendo la sua risposta in copia anche agli altri destinatari dell’iniziale informativa pisana, cioè la Polizia Politica e la Direzione Generale degli Affari Generali e Riservati del Ministero dell’Interno, oltre che al prefetto di Varese. Nella sua risposta il questore di Bergamo ricostruisce il profilo della famiglia, definita “di ottima condotta sotto ogni riguardo, che risiede da parecchi anni in questa città e vi gode buonissima estimazione”, dato che “il di lui padre prof. dott. Giulio è insegnante presso istituti cittadini di educazione ed esercita liberamente la professione sanitaria. Anche la madre sig.ra Poloni Armida è di fervidissimi sentimenti nazionali e fascisti, iscritta regolarmente da tempo al Partito”. Passa poi a ricostruire le citate vicende relative al viaggio in Germania e in Francia del giovane Moretti, la cui decisione di recarsi in Spagna viene spiegata rilevando che “con ogni probabilità avrà avuto occasione di incontrare qualche esaltato od imbevuto di teorie bolsceviche che ebbe ad esercitare sul giovane la perniciosa influenza che lo decise ‘al gran passo’, come egli stesso ebbe a scrivere agli ex compagni del Collegio Mussolini di Pisa”. Nello stesso 12.5.1938 il questore dispone inoltre che tutta la corrispondenza diretta all’indirizzo della famiglia Moretti in via Martiri Fascisti 4 (ora via Partigiani) venga prima sottoposta al controllo d’ufficio. Inoltre, sempre nello stesso giorno, il nominativo di Moretti viene iscritto nel BR e in RF, così come alle questure di Cuneo, Imperia, Torino, Novara, Como, Varese, Bolzano viene chiesto, qualora il giovane si presentasse nelle rispettive giurisdizioni, di arrestarlo in quanto “espatriato Francia scopo arruolarsi Milizie rosse spagnole”. Pochi giorni dopo, il 17.5.1938, il professor Arturo Galli, seniore comandante dell’Ufficio Allievi Ufficiali della Coorte Universitaria della Mvsn di Pisa, con il n° di protocollo 252/4/CP scrive a proposito di Moretti al questore di Bergamo. Dopo averlo informato di aver ricevuto dal giovane bergamasco il citato biglietto postale del 6 maggio, con la comunicazione delle dimissioni dal corso di allievo ufficiale e della rinuncia agli studi, chiede a sua volta informazioni: “La decisione dell’interessato, certo di notevole importanza, non viene motivata da ragione alcuna e poiché la richiesta stessa perviene da Alès (Francia) in una forma poco soddisfacente, si rivolge preghiera a codesta R. Questura di voler cortesemente favorire a questa Coorte tutte quelle informazioni utili a poter chiarire la nuova situazione, soprattutto dal punto di vista politico e morale”.
La madre di Moretti, avuta notizia della decisione del figlio di lasciare Parigi per la Spagna, parte da Bergamo per la Francia alla sua ricerca, appoggiandosi a questo scopo sulle strutture diplomatiche e sulla rete delle organizzazioni cattoliche italiane, che in Francia vedono presenti numerosi prelati di origine bergamasca. A metà del maggio 1938 la signora Moretti è a Perpignano, nei Pirenei Orientali dove, avendo saputo che il pacco con i documenti del figlio ricevuti a Bergamo è stato spedito dal già citato A. Contini, decide di denunciare quest’ultimo e i suoi eventuali complici, inviando copia della querela al Procuratore della Repubblica della Senna e al Ministro della Giustizia francese. Queste notizie sono fornite il 21.5.1938 dall’agente consolare italiano Bianchi di Port-Vendres (nei pressi del confine franco-spagnolo), in un telespresso indirizzato al Consolato Generale d’Italia di Tolosa, che a sua volta lo invia per conoscenza al Cpc e da questo alla Prefettura di Bergamo: “La Prefettura dei Pirenei Orientali interessata da questo Ufficio al caso del minorenne Moretti Ermenegildo ha assicurato di aver impartito ordini a tutti i servizi del confine Franco Spagnuolo per impedire al detto minorenne il passaggio in Ispagna. Persone amiche della famiglia Moretti hanno potuto accertare che al N. 56 di rue Pasteur ad Argenteuil ha risieduto fino al 15 marzo c. a. un certo A. Contini sovversivo militante. (...) La Signora Moretti Armida, nello sporgere querela contro il Contini ed i suoi complici, ha inteso avanti tutto fornire all’Autorità un mezzo per mettere le mani sulla numerosa banda di trafficanti di carne umana che opera sul territorio della repubblica francese ai danni degli ingenui e dei deboli di mente”.
Non sono però solo le organizzazioni dello Stato fascista ad attivarsi per avere informazioni sulla vicenda di Moretti, anche le organizzazioni fasciste si mettono in movimento. Nella seconda metà del maggio 1938, infatti, la federazione di Bergamo del Pnf si rivolge in tal senso al segretario del Guf di Pisa ‘Curtatone e Montanara’. Questi risponde a stretto giro di posta con la seguente nota informativa:
“Ecco le informazioni richieste su Moretti Ermenegildo. Il nome di questo universitario, mi venne fatto a proposito di idee poco ortodosse, da lui espresse nell’ambito del Collegio ‘Mussolini’. Naturalmente lo tenni in osservazione, in una con qualche suo compagno, che mi sembrava di sentimenti fascisti alquanto deboli. Ciò accadeva all’inizio di questo anno. Purtroppo nulla di positivo, di concreto potei produrre per intervenire direttamente ed energicamente: seppi così di qualche riunione più o meno nascosta, ma mi venne anche affermato trattarsi di discussioni mantenute sul puro piano speculativo, filosofico. Verso febbraio il Moretti [si incaricò] di distribuire personalmente ai poveri i buoni della Società S. Vincenzo. Feci fermare la sua attività in questo settore, come pure poco dopo misi sull’avviso il F.(ascista) U.(niversitario) Ruggero Zangrandi che, da Roma, si interessava per formare dei centri di propaganda per stranieri ed a cui il Moretti ed alcuni del suo cerchio avevano immediatamente dato la loro adesione. La cosa finì nel nulla; intanto il Moretti rimaneva sempre più isolato, man mano che gli occhi si aprivano a coloro che avevano ritenute ben più innocenti le discussioni a cui il Moretti prendeva parte. (Questo mi è stato riferito dopo). In questo tempo io non avevo avuto ancora occasione di parlare al Moretti, ed attendevo a farlo per ovvie ragioni. Intanto rimase libero il posto di V.(ice) Addetto agli studenti stranieri del nostro GUF. Il Moretti riuscì a convincere l’Addetto, che ignorava ogni precedente, ad assumerlo a questo posto. Io, naturalmente, bocciai la proposta e chiamai il Moretti per spiegargli chiaramente i motivi che mi avevano spinto alla negativa, non senza diffidarlo per il futuro da ogni attività. Egli mi giurò di avere sentimenti fascisti, si mostrò indignato di ciò che mi era stato riferito a suo carico, ecc. Non ho avuto poi più modo di vederlo. So che il suo rendimento allo studio non era brillante, e che ultimamente era rimasto isolato nell’ambito del Collegio. Nulla saprei dire circa la sua famiglia, che tu conosci meglio di me”.
Appena ricevuto tale documento la federazione fascista di Bergamo, a firma del segretario federale Morello Morelli, il 31.5.1938 ne trasmette copia riservata al questore di Bergamo, Giuseppe Pumo. Il testo del federale Morelli, dopo aver presentato Moretti come un giovane “disonoratosi, com’è noto, recentemente coll’avvenuto suo arruolamento per la Spagna marxista”, prende spunto da quel passo dell’informativa del Guf di Pisa nel quale si fa riferimento all’attività assistenziale svolta da Moretti presso la Società S. Vincenzo per esortare la Questura di Bergamo a controllare la Società stessa, dato che l’attività svolta da Moretti in quel contesto “starebbe a dimostrare come in questa associazione agiscano elementi politicamente dubbi o comunque facili, come il Moretti, a pericolosi traviamenti spirituali. Si reputa quindi opportuna, necessaria anzi, un’attenta vigilanza sulle persone e sulle attività di questo ente, dove non sarebbe male altresì effettuare saltuariamente visite improvvise”.
Tuttavia, in calce allo stesso testo proveniente da Pisa e allegato all’informativa ‘riservata’ del 31.5.1938 della federazione fascista di Bergamo, in data 10.6.1938 il Commissario di Ps della Questura di Bergamo (quasi certamente Francesco Giongo) aggiunge a penna il proprio commento alla richiesta del federale, con due significative precisazioni che, di fatto, negano quanto affermato dal federale Morelli. Il commissario di Ps annota infatti che “l’attività caritatevole del Moretti in seno alla Conferenza di San Vincenzo, egli ebbe a svolgerla a Pisa, non a Bergamo, ove non frequentava né era inscritto alla Conferenza; di tale attività e della soddisfazione che sentiva aiutando i poveri egli ne scriveva alla madre. La detta Conferenza esplica soltanto attività benefica ed in questa di Bergamo vi sono elementi di regolare condotta sotto ogni riguardo, nessuno politicamente dubbio, ma soltanto di sentimenti religiosi e che vorrebbero ubbidire il più possibile al comandamento: ‘ama il prossimo tuo come te stesso’ con portare ai bisognosi assistenza morale e materiale”. Il 9.6.1938 il Consolato Generale italiano di Parigi informa il Cpc, che il 26.6.1938 ne trasmette notizia al prefetto di Bergamo, che non ci sono notizie sul giovane A. Contini già citato. Per parte sua Giovanni Gallo, Console comandante dell’UPI - Ufficio Politico Investigativo della 14a legione ‘La Garibaldina’ della Mvsn di Bergamo, il 28.7.1938 comunica al questore di Bergamo l’esito delle proprie indagini su Moretti, in particolare trascrive il breve testo dei due telegrammi citati in precedenza, inviati da Bergamo a Pisa il 24.2.1938 dalla madre di Moretti al figlio. A proposito dei telegrammi, Gallo commenta che “Il testo dei due dispacci fa arguire che tra il Moretti e la Mamma vi fu uno scambio di corrispondenza che al fine delle indagini ha un certo valore poiché il tono rigido delle frasi fa concepire sospetti che attraverso detta corrispondenza la mamma abbia avuto motivo di preoccuparsi della sorte del proprio figliuolo. Quest’U.P.I. non è tutt’ora in grado di precisare se gli opuscoli in questione furono riportati a casa o lasciati a Bergamo”. Inoltre, nella sua relazione Gallo aggiunge la notizia che Moretti è molto legato ad un altro studente di Legge a Pisa, “un certo Dolmetta non meglio identificato”, suggerendo con ciò una possibile direzione per ulteriori indagini, nell’ipotesi che Dolmetta “sia a conoscenza di molti particolari atti a lumeggiare la eventuale attività del suo amico ed i contatti da questi tenuti con elementi del regno o all’estero”. Lo studente in questione è Adolfo Dolmetta, iscritto nel 1934 a Giurisprudenza alla Scuola Normale Superiore di Pisa, allievo del filosofo del diritto Widar Cesarini Sforza, a sua volta discepolo di Giovanni Gentile, del quale cura insieme a Nicola Pinto una dispensa universitaria dell’anno accademico 1935/36 del corso di Filosofia del Diritto. Nella primavera del 1938, in qualità di borsista e nel contesto delle iniziative promosse dal Guf italiano in Ungheria e dell’istituto Italiano di Cultura di Budapest, tiene una conferenza nella capitale ungherese sul tema dello Stato corporativo, mentre sul n° 8 del 15.2.1939 della rivista «Critica Fascista» pubblica l’articolo ‘La donna nello Stato fascista’. Sviluppa temi analoghi anche sulla «Rassegna sociale dell’Africa italiana» (1939, n. 6) con l’articolo Meticciato psicologico e coscienza di razza, e sulla «Rassegna sociale dell’Africa Italiana» (n. 1, gennaio 1940), dove pubblica l’articolo Il meticciato: attentato alla integrità fisica e spirituale della razza. Nel 1940 collabora al periodico «Assicurazioni. Rivista di Diritto, Economia e Finanza delle Assicurazioni private» e nel dopoguerra alla «Rivista del Diritto Commerciale e del diritto generale delle Obbligazioni» (1946) e «Banca, borsa e titoli di credito. Rivista di dottrina e giurisprudenza» (1950). Oltre a varie pubblicazioni di ambito giuridico, negli anni Ottanta è dirigente a Roma presso la Direzione Generale del Banco di S. Spirito e nel 1984 compare tra gli esperti convocati dal Tribunale di Milano per il caso Sindona.
Moretti è consapevole che la sua partenza per la Spagna ha messo a rumore il mondo universitario pisano e, soprattutto, ha determinato il controllo poliziesco sulla sua famiglia. Per questo, pur essendo in Spagna, cerca di depistare l’attenzione della polizia fascista su dove si trovi effettivamente scrivendo una lettera indirizzata a Pisa al compagno di studi Marco Aurelio Giardina. La lettera, infatti, all’apparenza sembra inviata il 5.7.1938 da Parigi, in realtà è scritta dalla Spagna e certamente affidata a un volontario antifranchista rientrato in Francia per farla spedire dalla capitale. Moretti sa bene che la corrispondenza in arrivo dall’estero, sia quella indirizzata all’Università di Pisa che quella diretta alla sua famiglia, è sotto controllo. Con questa lettera conta appunto di far credere alle autorità fasciste di aver rinunciato ad andare in Spagna e di essere rimasto a Parigi: “Mi trovo a Parigi, dove sono impiegato in un Bureau di Trasporti. Nei momenti liberi studio un po’ (..) Non sono poi più partito, ed io ho fatto male a mandarti delle notizie di cui non ero ancora sicuro io stesso. Immagino che siano state diffuse... anche troppo! Mi affido al tuo buon senso nel raccomandarti di smentire queste notizie false”. La lettera viene subito intercettata dalla Prefettura di Pisa, che già il 9.7.1939 la trasmette in copia alla Prefettura di Bergamo con il seguente commento: “Come rilevasi da detta lettera il Moretti avrebbe abbandonato il proposito di arruolarsi nelle milizie rosse spagnole e troverebbesi attualmente a Parigi ove sarebbe occupato presso la famiglia Martinelli, 4 rue Chasseau - Argenteuil. Alla lettera in parola, salvo contrario avviso di codesto On. Ministero, non si ritiene di dar corso”. Con la stessa modalità, una lettera molto simile ma a scopo di rassicurazione, viene indirizzata da Moretti a Bergamo alla madre. Se ne trova conferma in una lettera successiva, anche questa scritta alla madre dalla Spagna, in cui viene appunto richiamata quella precedente e anche quella indirizzata all’amico Giardina, per smentirne il contenuto e rassicurare la madre: “Ormai sai dove mi trovo, e quindi è inutile che ti dica altro. Alla mia seconda lettera che ti deve essere pervenuta da Parigi non badare. Ormai saprai che ne ho spedita una dello stesso tono anche a un mio amico a Pisa. Ma questo credo che non abbia importanza: anzi credo che sia meglio così. Certo è meglio che certe notizie non si diffondano: mi rincresce di non poter parlare molto chiaramente per lettera; ma tu capirai, spero”. Questa lettera sfugge al controllo postale fascista e perviene alla famiglia Moretti grazie alla complicità di amici francesi, che si prestano a fare da tramite con il giovane Moretti e fa parte, insieme a numerose altre, del ricco Fondo Moretti conservato presso l’Isrec di Bergamo. In Spagna, nel frattempo, dopo essere stato incorporato nel 2° Battaglione Garibaldi della Compagnia mitraglieri della XII Brigata Internazionale, a partire dall’estate 1938 Moretti combatte nel contesto della battaglia dell'Ebro. Il suo reparto è dislocato al di qua del fiume, di fronte alla cittadina di Mora de Ebro, con il compito di mantenere le linee in attesa di un ordine per l’attraversamento del fiume che, in realtà, non giungerà mai. La sconfitta nella battaglia dell’Ebro, che si conclude nel novembre successivo e che prelude allo scioglimento delle Brigate Internazionali, è decisiva per le sorti della guerra di Spagna perché determina la definitiva sconfitta delle forze repubblicane. Prima dello scioglimento effettivo delle Brigate Internazionali e dell’uscita definitiva dalla Spagna, Moretti partecipa alla difesa di Barcellona nelle fila della XV Brigata per proteggere l’esodo dei volontari antifranchisti verso la Francia, ai quali si unisce nel febbraio 1939. Sua madre, visto l’insuccesso dei suoi tentativi di rintracciarlo per le vie diplomatiche ufficiali, si rivolge allora a quelle della Chiesa cattolica. Ottenuto il rinnovo del passaporto, nel novembre 1938 la signora Moretti torna in Francia e, su indicazione di esponenti del clero di Bergamo, si reca a Parigi in rue de Montreuil 46 presso il bergamasco don Fortunato Benzoni (Clusone, 17.2.1895 – Bergamo, 19.1.1968), figura di riferimento della Missione Cattolica Italiana nella capitale francese, per chiedere il suo aiuto nel rintracciare il figlio. A questo scopo il sacerdote chiede a sua volta aiuto alla Nunziatura Apostolica di Parigi, ma i tentativi effettuati per avere notizie del giovane Moretti sono vani. E’ lo stesso don Benzoni, nel dicembre 1938, a ricostruire le circostanze e soprattutto gli effetti del suo incontro con la signora Moretti in un ‘Pro Memoria’ da lui redatto in terza persona e consegnato al Consolato Generale Italiano di Parigi, dal quale viene trasmesso in copia al Ministero dell’Interno a Roma. Il Ministero, a sua volta, il 19.12.1938 trasmette il memoriale di don Benzoni al prefetto di Bergamo, rilevando che il sacerdote è “favorevolmente noto a quel R. Consolato Generale” e che, “non avendo avuto le ricerche fatte, anche con l’appoggio della Nunziatura Apostolica a Parigi, alcun risultato, il Rev. Don Benzoni ha pregato Suor Carmen Vigolo – Madre Superiora della Missione Cattolica Italiana a Parigi, dovendo recarsi a Bergamo, di comunicare alla madre del Moretti – che si sarebbe a lei presentata, l’esito negativo delle ricerche svolte”. Nel ‘Pro Memoria’ di don Benzoni emerge lo sfortunato ruolo svolto da suor Vigolo, nativa di Castelgomberto (Vi), della quale soprattutto si preoccupa don Benzoni. La religiosa, infatti, doveva recarsi da Parigi all’orfanotrofio di Lione e qui, aiutata da una consorella, avrebbe dovuto prelevare e accompagnare d’urgenza a Bergamo un’altra suora, malata e bisognosa delle cure del caso presso le suore dell’Istituto Palazzolo: si tratta di madre Pasqua Locatelli, appartenente all’Ordine delle Poverelle di Bergamo e superiora dell’Asilo Italiano di Villeurbanne, presso Lione. Don Benzoni approfitta della circostanza del viaggio di suor Vigolo e le affida l’incarico, una volta giunta a Bergamo, di comunicare a voce alla signora Moretti l’esito negativo delle ricerche effettuate per il rintraccio del figlio. In questo contesto va collocato anche un altro soggetto, don Alfonso Masiello. Infatti, in vista del viaggio dalla Francia all’Italia delle tre religiose, è appunto don Masiello, economo presso la Missione Cattolica Italiana di Parigi, l’incaricato di provvedervi materialmente. Il sacerdote consegna a suor Vigolo l’equivalente economico necessario per il viaggio delle tre suore coinvolte, 1.000 lire, ma approfitta della circostanza per far giungere in Italia i contrassegni necessari a ritirare in posta quattro vaglia per altre 1.050 lire. Questo denaro, in origine, proviene dagli emigrati italiani, che consegnano le rispettive somme in franchi francesi a don Masiello, il quale cambia i franchi in lire italiane che, tramite le suore, vengono trasmesse nel modo indicato alle famiglie d’origine degli emigrati, in questo caso residenti in provincia di Bergamo, Brescia, Parma e Vicenza. Suor Vigolo parte da Parigi il 21.11.1938, ma al suo arrivo a Lione scopre che la consorella ammalata è intrasportabile. Dopo aver fatto ricoverare la consorella in una clinica di Lione, si reca da sola a Bergamo presso le suore poverelle dell’Istituto Palazzolo di via S. Bernardino per riferire l’accaduto e chiedere alle Superiori il da farsi, portando con sé l’intera somma ricevuta da don Masiello. Alla dogana il denaro che suor Vigolo ha con sé, eccedente le sue necessità di viaggio e perciò superiore alle quote valutarie consentite, viene scoperto dai doganieri italiani che, insospettiti, segnalano il fatto alla Questura di Bergamo, dove la suora viene indirizzata e dove il 25.11.1938 viene interrogata per due ore dal Commissario di Ps Luigi Prato. Il primo sospetto della Questura di Bergamo riguarda un possibile traffico di valuta, come dimostra un appunto manoscritto del 29.11.1938 di un funzionario della Questura: “Non sembra che il fatto dell’invio nel Regno di valuta italiana dalla Francia da parte di don Masiello sia isolato, dovendo esso corrispondere ad un sistema organizzato. Egli ritira dagli emigrati italiani valuta francese e la cambia in Francia con valuta italiana, che poi a mezzo delle religiose trasmette alle famiglie residenti in Italia degli emigrati stessi”. A questo sospetto, però, se ne aggiunge un altro, che riguarda direttamente la vicenda di Moretti. Come scrive il questore nel suo rapporto al Cpc, redatto lo stesso 25.11.1938 al termine dell’interrogatorio di suor Vigolo, “a causa della reticenza dimostrata e delle notizie ritenute inesatte, fornite dalla suddetta suora, si è proceduto al ritiro del suo passaporto”. Quest’ultimo riferimento alla reticenza della suora dipende dal fatto che durante l’interrogatorio la suora non poteva sapere che, nel frattempo, tenendo sotto controllo la posta in arrivo all’indirizzo della famiglia Moretti, la polizia postale aveva intercettato una breve lettera del 23.11.1938 spedita da Parigi da don Benzoni alla madre di Moretti, nella quale quest’ultima viene invitata a presentarsi a suor Vigolo, a nome dello stesso sacerdote, per averne comunicazioni. La lettera di don Benzoni si conclude con “coraggio e saluti di cuore”. Come risulta dal verbale firmato dalla stessa suor Vigolo, alla domanda sul perché, dopo aver disposto il ricovero della consorella malata all’ospedale di Lione, fosse comunque venuta a Bergamo, la suora risponde che “mi recai a Bergamo, presso le suore poverelle Palazzolo, via S. Bernardino, per dare notizia a voce di quanto sopra. Prima di partire da Parigi, padre Benzoni Fortunato, Missionario presso la Missione Cattolica Italiana di cui sopra, mi incaricò, se a Bergamo veniva una signora a domandare notizie del figliolo, di dirle che non aveva potuto sapere niente. Non so altro”.
A proposito di quanto accaduto a suor Vigolo, così commenta don Benzoni nel suo ‘Pro Memoria’: “Da tanti anni - a contatto con migliaia e migliaia di connazionali, purtroppo spesso divisi e prevenuti antifascisti, a contatto con tutti i giovani sulla via di perdere il senso di italianità, don Benzoni cerca con ogni sacrificio di guadagnarli per restituirli alla Madre Patria. Le suore – fra le quali Madre Carmen è una eroina – si sacrificano a Lione, a Parigi, a Vernon nel Belgio per la stessa opera santa. È troppo doloroso ed umiliante vedersi sospettati per un semplice indizio insignificante, sapere che una povera suora interrogata si vede ritirato il passaporto perché reputata mentitrice. Don Benzoni non può permettere che si proietti una nube sui suoi sentimenti di Patria. Per questo si rivolge con fiducia alle Autorità”. Il Consolato Generale italiano di Parigi il 4.1.1939 scrive in favore di suor Vigolo al Ministero dell’Interno e questo ne trasmette l’informativa al prefetto di Bergamo. Il 15.1.1939 il Ministero dell’Interno dispone che la Questura di Bergamo restituisca il passaporto a suor Vigolo. Per parte sua la madre di Moretti, dopo il suo ultimo viaggio in Francia del novembre 1938 e il successivo rientro a Bergamo, chiede il rinnovo del passaporto per tornare in Francia e proseguire le sue ricerche del figlio, ma la Direzione Generale di Ps del Ministero dell’Interno, in un’informativa alla Prefettura di Bergamo del 3.1.1939, a proposito della signora Moretti scrive che “poiché il noto Moretti Ermenegildo si trova attualmente arruolato nelle milizie rosse spagnole, questo Ministero dispone che alla nominata in oggetto sia rifiutata la rinnovazione del passaporto per la Francia, dove detta donna intendeva recarsi per continuare le ricerche del figlio”. La corrispondenza diretta alla famiglia Moretti viene costantemente tenuta sotto controllo, come nel caso del 9.1.1939, quando viene intercettato un biglietto diretto alla signora Moretti con gli auguri per il nuovo anno da parte di conoscenti, ma il fatto che provenga dalla Francia, dalla località di Bourgoin-Jallieu suscita subito il sospetto poliziesco, anche se il testo non contiene elementi che possano far sorgere dubbi in tal senso: “M.me et M.r René Guichard, Industriel, Conseilleur du Commerce Exterieur, avec leurs plus Vifs remerciements et leurs meilleurs souhaits pour 1939”. Intanto, attraversato il confine tra Spagna e Francia nel febbraio 1939, Moretti viene internato ad Argélès-sur-Mer (dipartimento dei Pirenei Orientali, regione dell’Occitania). Il 25.2.1939 la Prefettura di Bergamo trasmette al Cpc copia di 2 lettere di Moretti alla madre, con il timbro postale di Perpignano, scritte il 21 e 22.2.1939 da Argélès plage (Argélès-sur-mer), dove si trova internato col gruppo degli internazionalisti italiani e “invoca l’aiuto della madre, perché deluso e stanco, e la prega di recarsi subito in Francia e di procurare 2000 franchi per farlo liberare dalle insopportabili sofferenze del campo di concentramento”. Un altro reduce dalla Spagna, che dal settembre 1937 si era arruolato nello stesso 2° Battaglione della XIIa Brigata Garibaldi dove si sarebbe arruolato l’estate dopo anche Moretti, e cioè il manovale comunista pisano Vittorio Marchi (Pisa, 1901 – Cascina, 1974), nel febbraio 1939 riesce a raggiungere il confine franco-italiano ma viene fermato alla frontiera e tradotto a Pisa, dove viene interrogato. Così, l’1.3.1939 la Prefettura di Pisa informa quella di Bergamo sulle dichiarazioni di Marchi: “In relazione a precorsa corrispondenza, pregiomi comunicare che, secondo quanto ha qui dichiarato l’antifascista Marchi Vittorio inteso Oscar fu Antonio, recentemente arrestato all’atto del suo rimpatrio dalla Spagna rossa, il soprascritto (Moretti Ermenegildo) si troverebbe attualmente in Francia, nel campo di concentramento di Saint Clement, anch’esso reduce dalla Spagna rossa”. L’indicazione della località di Saint-Clément (dipartimento del Gard, regione dell’Occitania), a nord-ovest di Montpellier è assai improbabile, dato che non compare in nessun’altra fonte e che si trova molto più all’interno rispetto agli altri campi di internamento francesi per i volontari antifascisti usciti dalla Spagna, come appunto quello di Argélès-sur-Mer, dal quale Moretti scrive alla madre ancora l’8.3.1939. Il 14.6.1939 Moretti viene denunciato al Tribunale Militare di Bologna come renitente alla leva. L’1.7.1939 il prefetto di Bergamo si rivolge al Ministero dell’Interno chiedendo come comportarsi verso la richiesta della madre di Moretti di ottenere il rinnovo del passaporto “per la Francia allo scopo di andare a trovare il figlio, Moretti Ermenegildo, persuasa com’è che la propria presenza indurrebbe al ritorno in patria il giovane traviato. Rimango in attesa di conoscere le superiori determinazioni, informando che la Poloni è di buona condotta politica e che è da escludersi che la stessa intenda recarsi in Francia per scopi diversi da quelli addotti a sostegno della propria richiesta”, ma il 15.7.1939 la Direzione Generale di Ps rifiuta il rinnovo del passaporto per la signora Moretti. Intanto, il Tribunale Militare di Bologna il 27.7.1939 emette un mandato di cattura per diserzione nei confronti di Moretti e, con sentenza del 30.10.1939, lo condanna in contumacia ad un anno di reclusione militare. Nel frattempo, però, il giovane bergamasco è stato liberato dall’internamento nel sud della Francia e il 10.9.1939 l’ambasciata italiana a Parigi indica il recapito di Moretti ad Argenteuil, “ma ignorasi dove si trovi”.
Da una sua lettera del 22.9.1939 alla madre, intercettata, emerge che Moretti risiede a Bourgoin-Jallieu (dipartimento dell’Isére, regione Alvernia-Rodano-Alpi) Place Champ de Mars 2. Questa momentanea residenza rende legittimo ritenere che la famiglia Moretti si sia avvalsa dell’aiuto degli amici francesi, i coniugi Guichard, i quali appunto da Bourgoin-Jallieu avevano mandato ai Moretti gli auguri per il nuovo anno all’inizio del 1939, suscitando il sospetto, non infondato, della polizia fascista. Questa residenza però è solo una tappa, dato che già il 4.10.1939 gli organi di polizia accertano che Moretti risiede a Grenoble, presso la Pension Lakanal - 26, Chemin des Bergeres. Il 19.10.1939 il Consolato Generale italiano di Parigi richiama il caso di Moretti all’attenzione della Direzione Generale della Ps – Divisione Affari Generali e Riservati, la quale il 10.11.1939, pur avendo a disposizione tutta la documentazione fin qui richiamata, si rivolge ai prefetti di Bergamo, Pisa e Milano “per la identificazione del predetto Moretti”. Il 16.11.1939 la Prefettura di Pisa risponde fornendo di nuovo i dati biografici essenziali di Moretti e citando la corrispondenza già intercorsa in proposito, non senza aggiungere, in conclusione di nota, che “non è vero che il Moretti fosse fiduciario di questo G.U.F.: egli frequentava il 2° anno in questo Collegio Mussolini”. Il prefetto di Bergamo, per parte sua, il 17.11.1939 informa ancora una volta il Ministero dell’Interno e i prefetti di Milano e Pisa che in quel momento Moretti risiede a Grenoble, ma nella stessa informativa genera ulteriore confusione, citando le località di Perpignano, Argélès-sur-Mer e Bourgoin come campi per ex-miliziani antifranchisti dove Moretti è stato tenuto come internato, mentre, come detto, Bourgoin è la sua residenza una volta liberato e prima di trasferirsi a Grenoble. Il 20.12.1939 il Cpc informa il prefetto di Bergamo che Moretti si è presentato al Consolato italiano di Grenoble “manifestando il desiderio di potere tornare in Patria e chiedendo insistentemente di poter conoscere quale sarebbe la sua situazione, in caso di rimpatrio, ed in modo particolare se pendono provvedimenti penali a suo carico”. In realtà il soggiorno di Moretti a Grenoble si protrae nel tempo, mentre sua madre chiede continuamente il rilascio del passaporto per la Francia, a febbraio, a marzo e ad aprile 1940, ma ogni volta la Direzione Generale di Ps, d’intesa con il prefetto di Bergamo, esprime parere negativo. Intanto, Moretti mantiene con i suoi genitori una fitta corrispondenza tra il 1940 e il 1941. Notizie interessanti emergono dall’intercettazione di una sua cartolina postale alla madre, scritta da Grenoble l’8.9.1940:
“Sto bene. Comincerò in ottobre i miei studi di medicina a Montpellier. Per scrivermi potete spedire le lettere per me a Perpignano. Ho scritto parecchie lettere che sono restate senza risposta. Questo silenzio mi preoccupa. Trovo strano che le comunicazioni postali tra la Francia e l’Italia non siano ancora ristabilite normalmente. E voi come state? E gli esami della Cocca? Baci a tutti Jacques”.
La situazione di Moretti assume nuovi aspetti nel corso del 1941. Infatti il 31.7.1941 il Ministero dell’Interno scrive alla Prefettura di Bergamo:
“Oggetto: Moretti Ermenegildo di Giulio, comunista
Il connazionale in oggetto indicato ha chiesto di ottenere l’esame della sua situazione e l’accoglimento di una domanda di volontario. Il Moretti, giunto a Parigi nel maggio 1938, si era arruolato con le truppe internazionali per la Spagna. Nel febbraio 1939 dopo la sconfitta dei rossi veniva inviato nel campo di concentramento di Argélès sur mer e quindi, dopo vari trasferimenti, veniva liberato. Attualmente il Moretti frequenta la facoltà di Medicina di Montpellier. Interrogato lungamente nel R. Consolato a Montpellier ha dichiarato di non essere stato consigliato da nessuno e di aver preso solo, durante un suo viaggio in Germania, la decisione di arruolarsi nella brigata internazionale. Si è dichiarato pentito del suo gesto e desidererebbe riabilitarsi qualora possa ciò essergli concesso. Il Moretti è sembrato sincero nella dichiarazione di cui sopra. Si prega di esprimere il proprio parere in proposito. D’ordine del Ministro”.
In conseguenza di ciò, il Prefetto di Bergamo, “nell’intento di assecondare il proposito di riabilitazione dimostrato dal sovversivo in oggetto, esprime parere favorevole all’accoglimento delle sue richieste”. Il 18.10.1941 viene revocato il controllo della posta della famiglia Moretti a causa dell’assenza prolungata di missive dirette da Moretti ai famigliari.
Le vicende successive della vita di Moretti, in particolare quelle relative all’intensissimo periodo che va dalla fine della guerra di Spagna alla fine della seconda guerra mondiale, sono documentabili grazie ad altre fonti archivistiche, prima fra tutte quella già citata del ‘Fondo Moretti’ conservato presso l’Isrec di Bergamo, e agli studi disponibili, in particolare la tesi di laurea di Matteo Cefis. Qui va ricordato che Moretti in Francia frequenta la facoltà di medicina (prima a Grenoble, poi a Montpellier). Nel 1943, mentre sta per sostenere un esame, una soffiata lo avverte dell'imminente arresto da parte dell’occupante nazista, si unisce al Maquis francese e in montagna organizza un servizio di informazione. In seguito al 25.7.1943 rientra in Italia a fine luglio, ma dopo l’attraversamento della frontiera viene catturato e incarcerato a Torino Liberato in seguito all’interessamento della famiglia, dopo qualche settimana raggiunge Bergamo, dove entra in contatto con il geometra (ma chiamato da tutti 'architetto') e azionista Arturo Turani (Bergamo, 1888-1944), l’organizzatore di uno dei primi nuclei partigiani del bergamasco, appunto la Banda Turani, della quale diventa commissario politico. In seguito alla delazione di un componente della banda, nella notte tra il 19 e il 20.11.1943 viene catturato dalla gendarmeria tedesca e dai fascisti repubblichini. Insieme ad oltre venti componenti della banda, tra i quali lo stesso Turani, viene condotto nel convitto Paleocapa, più noto come collegio Baroni, trasformato in carcere dalla Gestapo, da dove però riesce a evadere la notte del 2.12.1943 insieme a Gabriele Castellini. I due saltano da una finestra del secondo piano: Castellini si rompe una gamba ma Moretti, incolume, riesce a portarlo in salvo. Dopo essere passato dai genitori, prende il treno e si rifugia da uno zio sul lago di Garda. I genitori riescono ad organizzare per lui un incontro a Milano con il generale Luigi Masini (1889-1959), un parente socialista, tramite il quale entra in contatto con il gruppo milanese di GL, con Ferruccio Parri e il medico bergamasco Bruno Quarti (1918-1975), legato ad Ada ed Ernesto Rossi, a sua volta ex-allievo del liceo Sarpi. Moretti a Milano alloggia presso la signora Comencini, madre di un amico antifascista. Entrato nell'organizzazione azionista, collabora con uomini (tra gli altri, Vittorio Guzzoni, Bepi Signorelli, Gigi Bertett) del servizio informazioni, intendenza e ufficio falsi di Parri, il quale gli assegna l'incarico di ufficiale di collegamento fra il comando centrale e l’area emiliana. Il suo compito consiste nel ricevere somme di denaro raccolte in quella zona per portarle a Milano e comunicare le coordinate per i lanci di armi e rifornimenti a un incaricato, un impiegato della Banca Commerciale di Milano; inoltre, è alle dipendenze dell'avvocato bolognese Mario Jacchia (1895-1944), poi catturato e giustiziato dai nazisti. Nel ‘Fondo Anpi’ conservato presso l’Isrec di Bergamo è conservata una ‘Scheda personale’ compilata dallo stesso Moretti il 22.8.1945, dalla quale sono tratte le notizie della sua attività nella Resistenza. Dal 23.8.1944 all’8.3.1945 è inquadrato nella divisione autonoma Val Chisone. Nell'agosto 1944, dopo la Liberazione della Francia, riprende l'attività oltreconfine creando una rete di comunicazione con gli alleati oltre le linee tedesche. Si reca a Grenoble, sede del comando francese, a Lione, sede del comando inglese, e a Nizza, dove incontra il capitano Johns, responsabile del servizio informazioni americano nelle Alpi meridionali. Dopo giorni di inattività a Nizza, protesta con il comando americano, tanto che gli viene affidato un incarico di spionaggio in Val di Susa e a Grenoble viene addestrato in tal senso. Dopo alcune settimane, per incarico dei servizi di informazione francesi, probabilmente sotto il comando del Deuxième Bureau (poi Bureau Central de Renseignements et d'Action - BCRA), con 7 compagni arriva dopo 24 ore di marcia a San Colombano Belmonte (TO), poi si stabilisce nei pressi di Meana di Susa (To) sotto la falsa identità di Domenico Rossi, trasportatore di legname. Il suo compito è quello di spiare gli spostamenti delle truppe tedesche e comunicarli al comando francese, grazie a un operatore radio in montagna e ad una staffetta che attraversa la frontiera ogni 15 giorni. Entra in contatto con i partigiani piemontesi - probabilmente quelli della Colonna Franco Dusi della IV Divisione GL, chiede e ottiene l'autorizzazione del CLN del Piemonte per operare nella IV Zona. Come documenta il libro di Giulio Bolaffi, Partigiani in Val di Susa. I nove diari di Aldo Laghi, edito nel 2014, sembra che in questa fase, tra il gennaio e il febbraio 1945, nel Comando della IV Zona sia sorto un "caso Moretti", cioè il dubbio che il ‘radiotelegrafista’ italiano potesse essere una spia fascista e per questo sottoposto a controllo nel corso delle operazioni. Moretti riesce comunque ad allestire un'ampia organizzazione di informatori. Durante un rastrellamento nazista, l’8.3.1945 viene ferito al polmone destro e catturato ma, curato e interrogato, viene rilasciato senza che i tedeschi scoprano la sua vera identità. Nel marzo 1945 è inviato a Como per seguire la ritirata dei tedeschi verso il Tirolo, ma per la capitolazione nazista non compie più la missione. Il 24.4.1945 Moretti si sposa a Torino con la francese Andrée Ange. In conseguenza della Liberazione torna a Grenoble, restituisce consegne e cassa e rientra a Bergamo.
Nel dopoguerra si iscrive al Pci ed è attivo nella federazione di Bergamo del partito. Il 20.7.1945 esce il primo numero del periodico «Una parola ai giovani». Organo del Fronte della Gioventù di Bergamo. Tra gli altri collaborano Bruno Malinverni e G. Restivo. Il giornale si pone come un possibile sviluppo, in ambito giovanile, dell'esperienza unitaria del CLN, con un intento essenzialmente educativo e culturale per la formazione delle nuove generazioni post-fasciste. Sulla prima pagina del primo numero compare, accanto al programma, un articolo di Moretti, "La gioventù in Francia", in cui propone, sulla base della sua esperienza francese, un tentativo di sintesi tra gli aspetti migliori dell'atteggiamento francese e di quello italiano di fronte alle difficoltà delle rispettive patrie. Questa prima esperienza giornalistica, tuttavia, dura poco e Moretti tenta altre strade. Sempre a Bergamo, nel 1946 è tra i fondatori, insieme ad altri suoi ex compagni di scuola del liceo ‘Sarpi’, nonché, come lui, ex partigiani, della rivista «La Cittadella» (1946-1948), della quale cura la parte politica con Salvo Parigi (Bergamo, 13.5.1924 - 5.5.2017). I suoi articoli sulla rivista lo pongono in contrasto con la direzione del Pci, in particolare con Giancarlo Pajetta. Si laurea in legge a Pavia e si impiega presso la Banca Commerciale di Bergamo. Alla fine di agosto 1947, deluso dalla situazione italiana e in particolare dalla linea politica del Pci, ritorna a vivere in Francia, dove è comunque vicino al Pcf, ma in seguito abbandona definitivamente l’attività politica. Nel frattempo, il questore di Bergamo, Guido Masiero, il 5.3.1949 scrive al Tribunale Militare di Bologna: “Pregasi far conoscere se il mandato di cattura emesso il 27.7.1938 da codesto Tribunale Militare a carico del Moretti in oggetto per diserzione di leva sia tuttora eseguibile”. A stretto giro di posta, l’11.3.1949 il Procuratore Militare della Repubblica, Maggiore Generale Raffaele Del Rio, risponde che “l’ordine di cattura emesso a carico del nominato in oggetto è tuttora eseguibile, ove l’imputato non comprovi di avere successivamente regolarizzato la sua posizione militare. In caso di arresto l’imputato va tradotto alle carceri militari più vicine informando telegraficamente questo Ufficio”. Il 30.8.1949, a firma del questore Guido Masiero viene segnalata la revoca dell’iscrizione di Moretti nel BR, risalente al 1938 con il n. 0940, “per cessati motivi”, tuttavia “Resta in vigore soltanto schedina n° 423 anno 1940”. In una nota dattiloscritta interna alla Questura di Bergamo, scritta da una guardia di Ps e sottoposta all’attenzione del questore, a proposito di Moretti viene scritto che “il nominato in oggetto emigrò a Mutiers Les Bains (Francia) il 28.8.1947, unitamente alla moglie senza più fare ritorno a Bergamo”. In calce a tale appunto il questore, a mano, appone il seguente commento: “si potrebbe archiviare definitivamente”. Ha tre figlie, lavora a Parigi per la Banca Commerciale, in seguito avvia un proprio studio insieme alla figlia Emma. Morto a Saint Denis (Francia) il 9.9.1984. Nel fascicolo è conservata una sua fotografia. Due suoi ritratti fotografici giovanili, tratti dai documenti ufficiali universitari, sono conservati presso l’Istituto Parri dell’Emilia Romagna di Bologna – Fondi Fotografici – AICVAS. Cpc, b. 3406, 1938-1943. (G. Mangini, R. Vittori)