Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Nembro (Bg) il 31.10.1912, residente a Brembilla (Bg) in contrada Mulino, ha 3 fratelli: Maria Rosalia, Francesco Luigi, Maria. Entra nel Seminario Francescano ma poi ne esce. Insegnante, è aiuto corrispondente de «L’Eco di Bergamo», iscritto alla G.I.L. e all’Azione Cattolica. Il 24.5.1937 si iscrive al Pnf di Sedrina. La sera del 15.3.1938 Carrara si intrattiene a Sedrina con alcuni giovani del paese in attesa di iniziare le prove di una recita teatrale presso l’asilo locale, alla presenza del giovane coadiutore parrocchiale, don Battista Pagnoncelli (1913-2009), ordinato il 22.5.1937 e appena giunto a Sedrina. Dopo aver sentito il commento del giovane fascista Lodovico Zanetti che, leggendo il giornale commenta: “Oggi, Mussolini, Hitler e Zanetti entrano a Vienna”, richiesto di un parere sulla situazione determinata dall’annessione nazista dell’Austria, Carrara risponde esprimendosi in dialetto bergamasco e dicendo che le cose “vanno così così. Adesso hanno occupato l’Austria, poi verranno a Trieste: la verità è che Hitler è un porco ed il Duce è pure un porco”. Due dei presenti, e cioè il citato Lodovico Zanetti e Battista Marchesi, informano del fatto i Cc di Zogno, mentre gli altri cercano di difendere Carrara (che la sera del 18.3.1938 viene arrestato e rinchiuso nelle carceri locali da Giovanni Zurru, brigadiere a piedi dei Cc di Zogno), come rileva il 21.3.1938 il Questore di Bergamo scrivendo al segretario federale dei fasci Giovanili di Combattimento di Bergamo: “L’Arma dei CC.RR. di Zogno, informata del fatto, procedette al fermo del Carrara che però respinse l’accusa, mentre due dei giovani presenti lo accusavano apertamente. Successivamente interrogato dallo scrivente, il Carrara ammise di aver pronunziato la frase ingiuriosa addebitatagli. Egli sarà proposto per l’assegnazione al confino di polizia. Ritengo opportuno segnalarvi il contegno reticente dei seguenti giovani inscritti alle Organizzazioni Giovanili del Partito e anche all’Azione Cattolica: Pesenti Giuseppe, Rota Andrea, Mazzoleni Giacomo, Carminati Giuseppe e Gimondi Martino, tutti residenti a Sedrina. Costoro cercarono di salvare il Carrara, dichiarando di non aver udito le parole incriminate, mentre si trovavano in circolo intorno a lui quando ebbe a pronunciarle”. La denuncia a carico di Carrara genera un’immediata reazione nell’ambiente giovanile fascista di Sedrina e Ubiale Clanezzo, tanto che il 23.3.1938 vengono mandate in Questura a Bergamo 4 distinte dichiarazioni, tutte su carta intestata del Pnf, una da parte del segretario del fascio di Sedrina, Giovanni Gervasoni, che dichiara l’ottima condotta morale e politica sempre tenuta da Carrara, e due dal segretario del fascio di Ubiale Clanezzo, Savaldi, che dichiara che il padre di Carrara, Giuseppe, è iscritto al locale fascio dal 31.7.1933, che è provvisto di divisa fascista e che ha sempre tenuto ottima condotta, mentre il figlio Giovanni Battista nel giugno 1937 ha tenuto la commemorazione “della triplice M.O. Antonio Locatelli nel primo annuale della sua eroica morte ai fascisti adunati nella sede del Fascio suscitando vivo interesse e approvazione per le sue espressioni di esaltazione del purissimo eroe Bergamasco”. Infine, il comandante del fascio giovanile di Ubiale Clanezzo certifica che Carrara “ha fatto tre discorsi patriottici ai fascisti di Ubiale, in occasione del 4 Novembre 1935 e il 18 dicembre per la giornata delle fede, quando il sottoscritto era segretario di questo Fascio, ha pure tenuto la commemorazione celebrativa del 24 Maggio 1936”. Il 25.3.1938 il padre di Carrara, Giuseppe, scrive una lettera di scuse al questore, nella quale cerca di attenuare il più possibile l’accaduto ricorrendo ad una motivazione linguistica e ad una medico-psicologica, osservando che la deprecata frase del figlio “non ha però nell’espressione dialettale quel valore oltraggioso che ha effettivamente in italiano e che essa è stata diretta in un primo momento nei confronti di un compagno di discussione, alla quale un senso di esagerata passione patriottica, prima dell’alto discorso chiarificatore del Duce, aveva dato a mio figlio un senso di esaltazione”. Il 7.4.1938, dopo aver visitato Carrara il dr. Gualteroni, medico delle carceri giudiziarie di Bergamo, lo dichiara “idoneo a sostenere il regime del confino”. L’11.4.1938, giorno fissato per la sua udienza presso la Commissione Provinciale per il confino di polizia, dalla carceri giudiziarie Carrara scrive di suo pugno un’ampia e interessante lettera di auto-difesa, conservata nel fascicolo, nella quale cerca di neutralizzare la rilevanza politica e penale di quanto gli viene imputato, da un lato professando la sua totale ed entusiastica adesione al fascismo e dall’altro osservando che il titolo di ‘porco’ da lui attribuito in dialetto a Mussolini e Hitler, in bergamasco non equivale tanto a ‘maiale’ ma è da intendere come sinonimo del ‘balòs’, cioè scaltro furbacchione, quindi privo di valenze offensive. Nonostante ciò, la Commissione lo condanna a 4 anni di confino e il Ministero dell’Interno indica la località di Nereto (Te) come destinazione. Contro il verdetto viene presentato immediato ricorso alla Commissione Centrale presso il Ministero dell’Interno, ,che il 17.5.1938 si rivolge al prefetto di Bergamo per avere le informazioni sul caso. Il 6.4.1938, prima di partire, viene fotografato dagli organi di polizia e la fotografia, di fronte e di profilo, è conservata nel fascicolo. Partito sotto scorta dei Cc da Bergamo il 17.5.1938, giunge al confino il 23.5.1938, da dove nel mese di giugno chiede ed ottiene di poter corrispondere con il padre e con lo zio Alessandro Carrara, residente a Nembro. La madre di Carrara ottiene agli inizi di agosto di potersi recare a Nereto in visita al figlio. Il 26.9.1938, nel periodico rapporto sui nomi dei sovversivi compresi nello schedario di polizia, i Cc di Zogno così scrivono a proposito di Carrara: “Era iscritto al PNF, verso il quale però teneva contegno indifferente, poiché maggior parte della sua attività era svolta nel campo dell’azione cattolica. Il provvedimento adottato nei suoi confronti è stato ben commentato dalla popolazione”. La madre di Carrara nel novembre 1938 si rivolge direttamente al Ministero dell’Interno presentando un’istanza di clemenza nei confronti del figlio, che viene prosciolto dal confino nel dicembre 1938, con atto di clemenza di Mussolini in occasione delle festività natalizie. Nella circostanza, informandone il podestà e i Cc di Zogno, il questore chiede che nei confronti di Carrara venga esercitata vigilanza, ma esorta le autorità locali a provvedere che Carrara “non venga molestato sotto alcun motivo per il precedente che determinò a suo carico il provvedimento di polizia”. Rientrato a casa, Carrara riceve dalla Questura di Teramo, che glielo spedisce il 16.1.1939, un assegno di 161 lire, cioè l’importo del sussidio giornaliero e dell’indennità d’alloggio quale confinato, che copre il periodo che va dal 1° al 21 dicembre 1938. Con questo denaro Carrara può estinguere il debito di 153,35 lire da lui contratto a Nereto con Silvio De Gregoriis per il vitto. Alcuni giorni dopo, cioè il 22.1.1939, quando Carrara è a casa ormai da un mese, la Commissione d’Appello alla quale era stato inoltrato il ricorso subito dopo la sentenza di condanna ai suoi danni, comunica al prefetto di Bergamo che il ricorso viene accolto e che la condanna al confino viene ridotta da 4 a 1 anno. Sul testo dell’informativa proveniente da Roma, di suo pugno il prefetto annota lapidariamente con lapis rosso: “Il Carrara non è più al confino perché prosciolto”. Nel marzo del 1940 è ancora disoccupato e convive con i genitori. Nel settembre 1940 si arruola volontario, incorporato al 92° Fanteria di stanza a Torino e chiede di essere riammesso al Pnf. I Cc di Zogno nel novembre 1940 si dichiarano favorevoli alla riammissione di Carrara nel partito fascista a Sedrina, che però giunge solo nel luglio 1941 con anzianità retroattiva al 24.5.1935. Radiato il 9.8.1941. Nel dopoguerra chiede all’A.P.P.I.A. – Associazione Perseguitati Politici Italiani Antifascisti di essere riconosciuto come antifascista, come risulta dalla lettera 7.12.1946 della Direzione Provinciale di Bergamo dell’APPIA al Dr. Rainero dell’Ufficio Politico della Questura di Bergamo, conservata nel fascicolo, nella quale viene appunto chiesto se dagli archivi della Questura risulti che Carrara sia stato schedato politico come antifascista e inviato al confino (la risposta è del 12.12.1946). Nel fascicolo sono conservate quattro copie di una sua fotografia in doppia posa, scattata dagli organi di polizia il 6.4.1938. Cpc, b. 1112, 1938-1941. (L. Citerio, G. Mangini, R. Vittori)