Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Seriate (Bg) il 7.5.1883, facchino presso la società elettrica ‘Orobia Bergamasca’ di via Nullo a Bergamo alle dipendenze di Begnis, corriere per San Martino de’ Calvi (Bg), sospetto politico. Il 29.10.1908 si sposa a Seriate con Angela Romilda Doneda ed è padre di Pierina, Camilla, Zaverina e Ferdinando, tuti iscritti alle organizzazioni giovanili fasciste. Dal 1922 al 1926 è stato iscritto al Pnf, dal quale viene radiato per ‘cattiva condotta’. Nel 1928 emigra in Francia, rientrando nel 1932 quasi del tutto privo di mezzi di sussistenza. Il 24.7.1940, mentre è sul posto di lavoro, equivocando sul cognome di un impiegato del magazzino dove lavora, Giovanni Duci, che viene chiamato ad alta voce da altri, Carminati pronuncia una frase ingiuriosa all’indirizzo del duce: “diga ch’el mel ciuce” e, mentre si allontana in fretta dopo essere stato subito richiesto di giustificazioni proprio dal citato Giovanni Duci, Carminati “alzando la voce e le braccia verso l’alto, andandosene esclama «Se ne dicono tante che ci può stare anche questa»”. Lo stesso 24.7.1940 Giovanni Duci redige un rapporto sull’accaduto indirizzandolo al fiduciario del Gruppo Rionale Fascista ‘G. Boffelli’ di Bergamo, riferendo le frasi pronunciate da Carminati e, in conclusione del suo rapporto, scrive: “Il sottoscritto, pur trovandosi in servizio, avrebbe voluto infliggere al nominato Carminati una dura e meritata lezione, ma l’indicato quando ha capito che la cosa poteva prendere una piega del genere, se ne è andato in tutta fretta, non lasciando allo scrivente il tempo di abbandonare il lavoro per intervenire in stile energico”. Interrogato poi in Questura, come riferisce il 22.8.1940 il questore Giuseppe Pumo al prefetto, “egli ammise senz’altro di aver pronunziata la frase incriminata, aggiungendo di averla detta per fare dello spirito, ma non in sfregio al Duce (..) la meschina giustificazione del prevenuto non diminuisce la gravità della volgare offesa e per tanto lo si denunzia per l’assegnazione al confino”. In effetti, la Commissione Provinciale il 9.9.1940 lo condanna a un anno di confino di polizia, ma giunge a Pisticci, passando per la stazione ferroviaria di Bernalda (Mt) dove viene prelevato dagli agenti della colonia penale di Pisticci, solo il 18.11.1940. Durante il periodo del confino tiene corrispondenza con la moglie Romilda e il figlio Ferdinando, residenti a Seriate in via Stazione 16. Accogliendo la domanda di clemenza avanzata nel dicembre 1940, viene prosciolto dal confino l’11.5.1941. Rientra a Bergamo il 16.5.1941 con foglio di via obbligatorio dal confino di Pisticci (Mt) per fine periodo e trova lavoro come facchino al mercato di frutta e verdura di Bergamo. Il 12.8.1947 viene incluso, con la qualifica di apolitico, nella categoria dei confinati politici durante il regime fascista. (L. Citerio, G. Mangini, R. Vittori)