Carenini Bernardo, detto Renato o René

n. busta
25
n. fascicolo
765
Primo estremo
1932
Secondo estremo
1945
Cognome
Carenini
Nome
Bernardo
Altri nomi
detto Renato detto René
Presenza scheda biografica
no
Luogo di nascita
Data di nascita
1906/12/31
Luogo di morte
Trecate (No)
Data di morte
1991/05/12
Livello di istruzione
licenza elementare
Professione
Carbonaio manovale operaio
Collocazione politica
Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Colle di Sogno, frazione di Carenno (Bg, ora Lc) il 31.12.1906, manovale, capomastro, operaio, comunista. Nel fondo di Prefettura dell’Archivio di Stato di Bergamo relativo ai ‘sovversivi’ bergamaschi si trovano due distinti fascicoli dedicati a Carenini: il primo raccoglie documenti che riguardano il biennio 1932-1933, il secondo il periodo 1939-1945. La lacuna cronologica nella documentazione della polizia fascista, che va dal 1933, quando Carenini viene radiato, al 1939, quando viene di nuovo posto sotto sorveglianza, si può in parte colmare grazie ad altre fonti, come il materiale documentario conservato dall’Aicvas e, soprattutto, le ricerche di Gabriele Fontana, che nel 2010 ha pubblicato il libro "La banda Carlo Pisacane", che contiene numerose notizie su Carenini tratte da fonti diverse, in particolare dall’Archivio Federale svizzero di Berna. Carenini si reca giovanissimo a lavorare a Milano, prima come venditore di legna e carbonella, poi operaio alla Siemens, dove molto probabilmente si forma la sua coscienza politica. In un documento da lui compilato a Milano il 3.1.1946 per la federazione milanese del Pci, una scheda prestampata e intitolata ‘Biografia di militante’, è lui stesso a dichiarare di essersi iscritto al partito già nel 1925. Nel verbale in lingua francese dell’interrogatorio a cui è stato sottoposto quando dalla Francia è entrato in Svizzera, tenutosi il 3.9.1940 a Friburgo (il documento originale è conservato presso l’Archivio Federale di Berna), Carenini ricostruisce in sintesi il suo profilo biografico. Nel 1926 viene chiamato alle armi ed effettua l’addestramento in Istria, a Fiume (o Pisino?). Carenini afferma di aver ottenuto una licenza dopo circa 3 mesi, al termine della quale avrebbe deciso di non rientrare al corpo d’appartenenza, divenendo con ciò un disertore. Questa dichiarazione, però, è falsa, perché le cose non sono andate così e Carenini non ha affatto disertato, come vedremo. Va detto che la sua auto-presentazione, che in alcuni punti è menzognera e in altri omissiva, mira ad un obiettivo ben preciso. La sua è una strategia argomentativa specificamente rivolta alle autorità svizzere per evitare di essere consegnato al potere fascista in Italia. Così, prosegue la sua dichiarazione, per evitare le conseguenze penali della sua (falsa) diserzione, dichiara di aver assunto un falso nome, quello di una persona francese di sua conoscenza residente a Parigi ma nata a Rodez il 12.12.1906, René Valery, figlio di Leonine. Riesce infatti a ottenere l’estratto di nascita scrivendo a Rodez e fingendosi il vero Valery. Con tale documento si presenta al Consolato francese di Milano, dal quale ottiene un certificato, una sorta di ‘immatricolazione’ come cittadino francese residente in Italia. Dichiara ancora di aver usato il falso nome in Italia fino al 1932: “E’ così che ho soggiornato dal 1926 al 1932, quando un mio parente mi ha denunciato alla polizia”, anche se, in realtà, dal 1926 al 1927 ha completato il servizio militare. Aggiunge poi di essere stato condannato in contumacia a 20 anni di carcere per la sua diserzione dall’esercito. Tuttavia, i documenti conservati nell’Archivio di Stato di Bergamo nei due fascicoli del fondo di Prefettura a lui intestati, insieme ad un altro documento citato più avanti, consentono appunto di ritenere costruita ad hoc la sua ricostruzione, nella quale si intrecciano falsità e frammenti di verità. Carenini ‘naviga a vista’, modificando la ricostruzione dei suoi comportamenti in funzione del suo interlocutore, in questo caso il rappresentante dell’autorità giudiziaria svizzera, allo scopo, come detto, di evitare di essere estradato in Italia. E’ per questo che omette di citare alcuni fatti che lo riguardano, accaduti appunto in quello stesso periodo 1926-1932 di cui sta parlando. Infatti, oltre all’aver completato il servizio militare nell’ottobre 1927, tali fatti lo vedono coinvolto con il suo proprio nome, non certo con quello falso di René Valery. Nel 1930 si trova in Piemonte, da dove cerca di lasciare clandestinamente l’Italia per entrare in Francia, ma il tentativo non riesce. Fermato e processato, viene condannato al pagamento di una multa. Nell’autunno 1930 è a Milano, dove lavora come carbonaio e alloggia presso suo fratello in via Vigentina 21. Anche a Milano subisce alcune condanne, sia pecuniarie che detentive. Considerando le sue vicende giudiziarie insieme alle imputazioni che gli vengono rivolte tra il 1930 e il 1931, emerge che Carenini agli inizi degli anni Trenta si trova in una condizione economico-sociale molto difficile. Come già accennato, il 22.8.1930 viene condannato dal pretore di Susa (To) al pagamento di un’ammenda di 1666 lire per tentato espatrio clandestino, pena sospesa per un anno e senza iscrizione nel casellario giudiziario. Poche settimane dopo, il 27.11.1930, il pretore di Milano lo condanna a 15 giorni di reclusione per furto, anche stavolta senza iscrizione della condanna nel casellario giudiziario. Il 14.1.1931 il Tribunale di Milano lo condanna a 2 mesi di reclusione per furto (con pena sospesa per 5 anni e non iscrizione nel casellario), ma nella sentenza d’appello del 17.4.1931 il Tribunale di Milano lo condanna a un mese di reclusione (e non iscrizione nel casellario). Lo stesso Tribunale il 17.8.1931 lo condanna a 3 mesi di reclusione, sempre per furto. In tutte queste condanne non c’è il minimo cenno all’uso, da parte sua, di un nome falso e, soprattutto, non compare mai la menzione della sua condanna per diserzione: se questa fosse effettivamente avvenuta, Carenini sarebbe stato inevitabilmente consegnato alla magistratura militare, ma di questo non c’è alcuna traccia nei suoi documenti giudiziari e, soprattutto, non risulta dal suo foglio matricolare militare, conservato anch’esso presso l’Archivio di Stato di Bergamo (anno 1906, foglio n. 5493). Dal foglio matricolare emerge invece che Carenini, in virtù dell’articolo 2 del Regio Decreto n. 1806 del 15.10.1925, viene ammesso alla ferma abbreviata “quale fratello di militare della cl. 1904 che ha prestato servizio con ferma ordinaria di leva in data 17.4.1926”. Al momento della chiamata, il 12.4.1926, il suo indirizzo è presso il fratello in via Vigentina 21 a Milano, e lo stesso anche nel 1930. Il 14.4.1926 viene incorporato nel 25° Reggimento Fanteria ‘Brigata Bergamo’, per passare il 15.10.1926 al 26° Reggimento Fanteria per lo scioglimento del suo precedente Reggimento. Inquadrato nel Distretto Militare di Bergamo, viene mandato in congedo illimitato il 17.9.1927 e pochi giorni dopo, il 3.10.1927, gli viene concessa la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore. Nel prosieguo della sua audizione del 1940 a Friburgo, Carenini afferma che nell’estate 1932 ha lasciato l’Italia per la Svizzera in sella ad una bicicletta, abbandonata vicino alla frontiera. Poche settimane dopo, ad un richiamo di controllo alle armi del 30.10.1932, indetto con la circolare 504 pubblicata sul «Giornale Militare», Carenini non si presenta perché appunto non è in Italia. Questo episodio avrebbe forse potuto essere l’occasione di una condanna per diserzione, ma è ancora il suo foglio matricolare ad informarci che non è così, perché in esso è riportato che Carenini risulta “Non denunciato al Trib. Mil. di Bologna a mente della Circ. Min. N. 600 in data 9.9.1933 – XI il 25.10.1933” e che, anziché la denuncia, viene “elevato verbale di contravvenzione il 28.6.1933”. Seguendo ancora il suo racconto, viene arrestato dai doganieri svizzeri e portato prima in gendarmeria e poi in carcere a Lugano, dove viene ricoverato in infermeria per 2 o 3 settimane, al termine delle quali è accompagnato alla stazione e messo su un treno per Basilea. Qui un doganiere svizzero gli indica la direzione per l’ingresso clandestino in Francia, dove entra il 23.7.1932: “Allora sono passato da Mulhouse, Colmar, e mi sono diretto verso Belfort. Qui ho contattato un mio zio che abitava a Meuilly, vicino a Digione, il quale mi ha inviato 500 franchi francesi. Mi sono affezionato a questo zio e sono rimasto con lui due mesi. Ho fatto le domande per ottenere la carta d’identità, ma mi era stata rifiutata perché non avevo il passaporto. I miei sforzi sono stati vani, così sono andato a Marsiglia e ho preso il traghetto per Algeri dove sono rimasto fino al 1936, al momento della guerra di Spagna. Ho lavorato come muratore e capomastro”. Questa parte del racconto di Carenini trova riscontro anche in documenti diplomatici ufficiali, che confermano il percorso Mulhouse – Colmar – Belfort da lui seguìto, perché in questo caso non c’è la contingenza di dover adattare la sequenza degli avvenimenti alla necessità del momento. Nelle carte della polizia fascista, però, la data dell’ingresso di Carenini in Francia emerge solo alcuni mesi dopo, dato che tale informazione giunge a conoscenza della Prefettura di Bergamo non prima di aver attraversato tutta la trafila burocratica e gerarchica delle strutture diplomatiche e poliziesche: tra la fine di luglio e gli inizi di agosto 1932 l’agente consolare italiano di Belfort segnala al Ministero degli Esteri il passaggio di Carenini in quella città; il Ministero degli Esteri, a sua volta, il 20.8.1932 ne informa il Ministero degli Interni indirizzando al Cpc, che alcuni giorni dopo, il 28.8.1932, trasmette in copia l’informazione alla Prefettura di Bergamo: “Il Carenini sarebbe espatriato clandestinamente riuscendo ad eludere la vigilanza della polizia, mentre insieme ad altri suoi compagni veniva condotto al confine. Da Belfort egli si sarebbe recato a Meuilley (Côte-d’Or) presso Nuits, in casa del proprio zio, Carenini Giuseppe”. La Prefettura di Bergamo incarica poi la Questura locale di svolgere indagini su Carenini e a questo scopo la Questura si rivolge ai Cc, la risposta dei quali giunge con una nota del 21.9.1932 firmata da Eusilde Merello, tenente dei Cc di Bergamo. Dopo aver elencato le vicende giudiziarie sopra citate, il tenente Merello scrive che Carenini “dal lato politico non ha precedenti a suo carico, non avendo mai dimostrato avversione al Regime”, inoltre non risulta una richiesta di passaporto a suo nome e pertanto, “se egli trovasi all’estero è da ritenere che sia espatriato clandestinamente”. In effetti, l’espatrio clandestino è confermato da un’informativa del 22.11.1932 spedita dal Consolato italiano di Digione al Cpc e da questo comunicata il 5.12.1932 al prefetto di Bergamo, nella quale si informa che Carenini è stato rintracciato presso lo zio Giuseppe a Meuilley, piccolo villaggio rurale a pochi chilometri a sud-ovest di Digione, dove però non può lavorare essendo sprovvisto dei documenti necessari. Per questo Carenini si presenta alla sede diplomatica più vicina, il Consolato italiano di Digione, per richiedere il passaporto, con il quale potrebbe ottenere la carta d’identità francese di ‘non travailleur’. É appunto in tale occasione che lui stesso ammette di essere entrato clandestinamente in Francia il 23.7.1932. Carenini dichiara anche di essere domiciliato a Milano, per questo il Consolato si rivolge alla Prefettura del capoluogo lombardo, trasmettendo una sua fotografia per ottenere conferma della sua identità e delle sue dichiarazioni. La Prefettura milanese risponde confermando quanto asserito da Carenini e autenticando la fotografia. Il 22.11.1932 il Consolato di Digione si rivolge infine al Ministero degli Esteri per sapere se il passaporto richiesto da Carenini debba o meno essere concesso. Il Ministero il 5.12.1932 trasmette copia di quanto chiede il Consolato alla Prefettura di Bergamo per averne indicazioni. Anche in questo caso c’è una ben precisa sequenza di passaggi informativi per giungere ad una decisione: la Prefettura chiede indicazioni alla Questura, questa incarica i Cc di Bergamo di esprimere il proprio parere e il 19.12.1932 i Cc rispondono alla Questura dichiarandosi favorevoli al rilascio del passaporto. Di conseguenza due giorni dopo, il 21.12.1932, il prefetto di Bergamo scrive al Ministero dell’Interno, cioè al Cpc, per esprimere parere favorevole alla concessione del passaporto e formulare a propria volta una richiesta: “tenuto conto delle notizie fornite dal R° Console di Digione, prego compiacersi far conoscere se il Carenini debba esser mantenuto nello schedario dei sovversivi”. La radiazione dall’elenco dei sovversivi e la concessione del passaporto vengono accordate dal Ministero dell’Interno - Direzione Generale Pubblica Sicurezza - Polizia di Frontiera, ma solo il 4.5.1933, quando Carenini, vista la lungaggine burocratica, ha già lasciato la Francia per l’Algeria. Alla luce della ricostruzione qui sopra delineata, emerge con chiarezza che l’apparato poliziesco e diplomatico fascista si caratterizza per una rigida dipendenza della periferia rispetto al centro e della base rispetto al vertice: i terminali locali (Prefettura, Questura, Carabinieri) dell’apparato statale (Ministeri) agiscono sul territorio come cinghie di trasmissione di una decisionalità che è determinata dalle istanze centrali, anche se può succedere che queste, a volte, accolgano alcune decisioni marginali delle sedi periferiche, che tuttavia vengono accolte perché non sono in contrasto con i criteri superiormente stabiliti, non certo perché il ‘centro’ riconosca una qualche autonomia alla ‘periferia’. Nel caso seguito fin qui, i Cc si esprimono per la concessione del passaporto a Carenini, ma è il Ministero che acconsente ad essa, mentre per la sua radiazione dallo schedario dei sovversivi decide univocamente il Ministero. Dopo la radiazione del 1933, Carenini ritorna sotto l’attenzione della polizia fascista a partire dal 1939, il che determina l’apertura di un secondo fascicolo su di lui. A questo punto va osservato che fino al 1933 l’apparato poliziesco fascista lo considera un ‘sovversivo’ perché è espatriato clandestinamente e, come tale, sospetto, perché si sottrae al controllo da parte dell’apparato. Non ci sono quindi ragioni ‘politiche’ per la sua inclusione nell’elenco dei sovversivi, come del resto aveva rilevato il tenente Merello dei Cc di Bergamo nella sua nota del 21.9.1932 alla Questura. Per questo la sua radiazione non aveva trovato ostacoli, se non quelli della lentezza dell’apparato burocratico nel formalizzarla: che Carenini fosse comunista, fino a quel momento, era un fatto del tutto sconosciuto all’apparato poliziesco. Del soggiorno di Carenini in Algeria dalla fine del 1932 all’estate del 1936 si sa pochissimo. L’unica traccia in proposito, autografa, è contenuta nella sua ‘Biografia di militante’, che abbiamo già citato, una scheda prestampata che nell’immediato dopoguerra il singolo militante del partito doveva compilare per la federazione milanese del Pci. Carenini compila tale scheda scrivendo a mano risposte brevi e minimali e firmandola il 3.1.1946. Il documento è stato riprodotto da Gabriele Fontana alla p. 66 del suo libro, già citato, sulla banda Pisacane. Alla voce ‘Professione’, Carenini scrive: “sono sempre stato occupato presso la ditta Rossi a Philippeville (Algeria)”. La città algerina di Philippeville, fondata dai francesi, si trova sulla costa algerina verso la Tunisia e oggi si chiama Skikda. Dall’Algeria Carenini via mare si porta in Spagna per unirsi alle forze antifranchiste già alla fine del luglio 1936. Inizialmente fa parte della XIVa Brigata per poi passare alla Brigata Garibaldi presso la quale rimane fino alla fine del conflitto, dopo avere combattuto anche in Aragona e sull’Ebro. Il suo pseudonimo è quello di René o Renato. Racconta lui stesso nella già citata deposizione a Friburgo nel 1940: “Sono poi entrato nelle fila dell’esercito repubblicano spagnolo e l’8 agosto 1936 ero a Madrid. Ho fatto tutta la guerra di Spagna nell’esercito repubblicano fino al febbraio 1939. Nel febbraio 1939 alla sconfitta del governo di Barcellona, sono entrato in Francia con la Brigata Internazionale e sono stato internato nel campo di concentramento di St. Cyprien vicino a Perpignan dove sono rimasto due mesi”. Dopo i due mesi passati a St. Cyprien viene trasferito a Gurs, dove rimane fino al giugno 1940. In Italia, intanto, nel marzo 1939 viene richiamato alle armi, come si legge nel suo foglio matricolare: “Non ha risposto al richiamo alle armi per istruzione indetto con circ. 8500 in data 21.3.1939 del C.C.S.M. perché non è stato possibile fargli recapitare tempestivamente la cartolina precetto circ. 582/51 in data 21.9.1939 a causa della sua irreperibilità dovuta ad incertezze di indirizzo il 30.9.1939”. É proprio a partire dall’internamento a Gurs (dipartimento Pirenei Atlantici, regione Nuova Aquitania), che Carenini rientra nell’attenzione della rete informativa fascista, ma in questo caso vi rientra non più, come la prima volta nel 1932, da generico ‘sovversivo’ espatriato illegalmente, ma da politico, dato che viene indicato quale comunista. Il Cpc, infatti, il 7.9.1939 trasmette alla Prefettura di Milano (e questa a quella di Bergamo), un rapporto inviato il 10.8.1939 dal Consolato italiano di Bordeaux, che a sua volta l’ha ricevuto dall’agente consolare di Pau (dipartimento Pirenei Atlantici, regione Nuova Aquitania): “fra i connazionali internati nel campo di Gurs trovasi certo Carenini, già esercitante il mestiere di carbonaio a Milano. Attualmente il Carenini si fa chiamare René, o con altro nome francese, è attivo comunista e trovasi al campo E. Egli avrebbe avuto due fratelli processati a Milano, e da quanto riferitomi, uno ucciso. É comunque tipo molto pericoloso e che è d’intesa con le autorità francesi per sorvegliare i connazionali sospetti di pentimento e desiderosi di tornare in Patria”. Nonostante l’interessamento della Croce Rossa Internazionale, che sembrava aver ottenuto per gli internati di Gurs la possibilità di trasferirsi in Messico imbarcandosi da Agde (dipartimento Hérault, regione Occitania), il gruppo viene invece trasferito in un altro campo di internamento, forse Argélès-sur Mer (dipartimento Pirenei Orientali, regione Occitania) ma più probabilmente Le Vernet d’Ariège (dipartimento Ariège, regione Occitania). La durezza delle condizioni di questo nuovo internamento induce Carenini ad evadere. L’intento, a suo dire, è quello di raggiungere la Jugoslavia passando per la Svizzera e l’Austria. Di fatto, il 17.7.1940 entra in Svizzera, dove viene arrestato nella cittadina di Morat (in tedesco Murten) e poi rinchiuso nella prigione centrale di Friburgo, capitale dell’omonimo cantone. É appunto a Friburgo, come già sappiamo, che il 3.9.1940 viene chiamato a testimoniare per chiarire la sua posizione. Che Carenini considerasse il rientro in Italia un grave rischio, si coglie bene nella parte finale della citata testimonianza: “per la mia diserzione dall’esercito italiano io sono stato condannato a 20 anni di prigione; inoltre dato che sono antifascista e che ho preso parte alla guerra di Spagna nelle fila dell’esercito repubblicano, ove per il mio comportamento e per le ferite subite sono arrivato al grado di Capitano, sono condannato a morte nel mio paese. Io non voglio più ritornare in Italia perché per me sarebbe finita”. Le autorità svizzere, nonostante la dichiarazione di Carenini, in un primo momento sono propense a consegnarlo a quelle italiane e, a tale scopo, tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre 1940 il Dipartimento Federale di Giustizia e Polizia si rivolge alla Legazione d’Italia di Berna per ottenere il foglio di via necessario al suo rimpatrio, previsto attraverso il valico di Iselle-Domodossola con destinazione la Questura di Bergamo. Intanto, Carenini viene trasferito al campo di lavoro di Witzwil (cantone di Berna). Già il 29.10.1940 la Legazione d’Italia risponde alla sollecitazione svizzera scrivendo che Carenini è un “pericoloso pregiudicato per delitti contro il patrimonio”. Riguardo al rilascio di un foglio di via, evidentemente la legazione italiana di Berna deve prima ottenerne l’assenso da Roma, dal Ministero degli Esteri e da quello degli Interni. Alla fine, il documento viene rilasciato dalla Legazione italiana il 10.1.1941. Il 3.3.1941 il Cpc scrive alla Legazione italiana di Berna (e per conoscenza al Ministero degli Esteri e alle Prefetture di Bergamo e Milano) che “il nominato in oggetto non risulta ancora rientrato nel Regno”. In effetti, l’estradizione non viene effettuata perché, come scrive un funzionario federale svizzero citato nel libro di Fontana, da un lato Carenini minaccia di dar luogo ad un grande scandalo e dall’altro le condanne da lui subite in precedenza in Italia non appaiono chiare ai funzionari bernesi. Pertanto, per chiarire questo aspetto, viene attivato l’Ufficio Centrale Svizzero di Polizia, il quale scrive in Italia per avere informazioni precise e dettagliate sulle condanne pregresse di Carenini, al quale nel frattempo viene concessa la possibilità di rimanere e lavorare a Witzwil alla condizione di un comportamento ineccepibile. Il rapporto dettagliato sulle condanne subite da Carenini richiesto all’Italia, giunge in Svizzera solo agli inizi del luglio 1941, mentre nel frattempo, grazie al suo comportamento e alle sue eccellenti doti di muratore, il 17.6.1941 Carenini viene trasferito da Witzwil al campo di Thalheim (cantone di Argovia). Di fatto, la questione dell’estradizione in Italia viene affrontata dalle autorità svizzere solo dopo l’estate 1941, al termine delle vacanze dei funzionari coinvolti nel processo decisionale. Considerando nel loro insieme le dinamiche diplomatiche relative all’estradizione, si impongono alcune considerazioni. Abbiamo già detto delle dichiarazioni di Carenini che mostrano la sua chiara volontà di non essere estradato in Italia; simmetricamente, la volontà fascista è quella di riportarlo in patria per condannarlo in quanto comunista e combattente in Spagna nelle Brigate Internazionali, fatto di cui il Ministero dell’Interno italiano era a conoscenza dal 1939. Tuttavia, da parte italiana la motivazione formale per l’estradizione di Carenini dalla Svizzera riguarda solo il suo essere un pregiudicato per furto, ma non viene citata né la (inesistente) condanna a 20 anni per diserzione, né la sua partecipazione alla guerra di Spagna. Per quest’ultima questione, la ragione del ‘silenzio’ italiano è chiara: un esplicito riferimento alla motivazione politica della richiesta avrebbe legittimato da parte della Svizzera, paese neutrale, il rifiuto alla concessione dell’estradizione. Circa questo aspetto ‘politico’, la posizione delle autorità fasciste italiane dipende solo da decisioni prese a livello centrale, mentre al livello delle Prefetture locali si può cogliere una certa confusione, dato che il 20.3.1941 la Prefettura di Milano, - dimenticando completamente il documento già in suo possesso, cioè la comunicazione trasmessa il 7.9.1939 dal Ministero dell’Interno sulla posizione comunista di Carenini - scrive a quella di Bergamo che non risulta nulla in linea politica su di lui, che “ebbe precaria dimora presso il fratello Primo, carbonaio allora abitante in via Vigentina n. 21. Egli manca da questa città dal 1932 epoca in cui, proposto per l’ammonizione, espatriò clandestinamente per la Francia. Da questi atti risulta vizioso vagabondo dedito ai reati contro la proprietà, per cui durante la sua breve permanenza qui subì diverse condanne per furto; dacchéŽ risiede all’estero non ha avuto mai corrispondenza epistolare col fratello Primo”. Riguardo poi alla condanna, asserita e sottolineata da Carenini, a 20 anni di carcere per diserzione, che certamente avrebbe dato maggior forza alla richiesta italiana di estradizione, non può essere citata dalle autorità italiane perché inesistente. Così, si verifica la singolare situazione per la quale Carenini, per difendersi, utilizza due argomenti, la condanna per diserzione e la partecipazione alla guerra di Spagna come antifascista, che invece non sono presi in considerazione dal potere fascista, perché il primo non esiste e il secondo non è utilizzabile. Questa situazione spiega le perplessità suscitate nel magistrato svizzero Hess nella sua relazione sul caso Carenini, redatta per le autorità federali il 19.9.1941 e riportata per intero nel libro di G. Fontana alle pp. 56-57, nella quale emerge il forte sospetto che Carenini abbia costruito ad hoc la sua testimonianza, per sminuire agli occhi delle autorità svizzere le sue condanne precedenti ed evitare l’estradizione. Scrive infatti il magistrato svizzero, che mostra di avere capito tutto (p. 57): “Può darsi che il Carenini sia andato in Spagna, proprio perché viste le sue condizioni precedenti, in Italia, la terra sotto i piedi, gli fosse diventata troppo bollente. E’ anche probabile che ora tema di essere punito per questo motivo in Italia, e che affermi, probabilmente per evitare l’estradizione in Italia, che nel 1926 fosse stato condannato a 20 anni di prigione per diserzione. Questa condanna, in tutti i casi, non compare sul verbale e ciò rafforza la mia ipotesi che a Carenini fosse stato suggerito di farsi passare come disertore, in Svizzera”. Di fronte alla difficoltà di provare la militanza di Carenini nelle truppe anti-franchiste e alla totale mancanza di documenti a conferma della condanna per diserzione in Italia, la conclusione a cui giunge il magistrato svizzero è che Carenini, come indicato nei documenti italiani, sia solo un pregiudicato che cerca di salvarsi dal carcere e che perciò meriti di essere estradato. Evidentemente tali considerazioni non sono state accolte in sede centrale perché Carenini rimane ancora in Svizzera. Secondo la ricostruzione dello studioso svizzero Andrea Tognina, pubblicata nel libro di G. Fontana, Carenini dopo Talheim passa al campo di Murimoos (nei pressi di Zurigo) e, infine, il 20.3.1942 viene trasferito in quello di Gordola, nel distretto di Locarno (Canton Ticino), un campo di lavoro per socialisti e comunisti tedeschi e austriaci ma anche italiani, attivo dal 1941 al 1944. Nel periodo della detenzione a Witzwil, il 6.4.1941 Carenini scrive una lettera, pubblicata da G. Fontana alle pp. 67-68 del suo libro, indirizzata a Mosca al Comitato centrale di assistenza ai rifugiati della Spagna repubblicana. In essa chiede aiuto a causa delle condizioni ‘deplorevoli’ della detenzione, dopo 20 mesi di campo di concentramento in Francia e 7 in Svizzera. L’aspetto più interessante della breve lettera, però, come sottolinea Fontana nel suo lavoro, non sta solo nel fatto che Carenini esprime il desiderio di raggiungere l’Unione Sovietica, ma soprattutto nelle parole che usa, in particolare il verbo ‘ritornare’: “Vorrei venire in U.R.S.S. Come altri miei compagni anch’io là sarei libero, quindi fate per me tutto quello che potete ed io sarò molto felice di ritornare in Russia. Saluto i compagni della Brigata Garibaldi della Spagna repubblicana”. É possibile che egli sia già stato in Urss, in cui vorrebbe ‘ritornare’? Stando alla ricostruzione delineata fino a questo punto, sembrerebbe di poterlo escludere, a meno che il periodo da lui indicato come trascorso in Algeria, per le scarsissime notizie che se ne hanno, in realtà nasconda proprio un soggiorno in Urss. Va detto però che si tratta di un’ipotesi molto improbabile: Carenini, che non conosce il russo, in due anni e mezzo avrebbe dovuto compiere la non facile impresa di mettersi in contatto con la rete comunista di contatti con l’Urss, lasciare l’Algeria, raggiungere l’Urss e tornare di nuovo in Algeria per poi entrare in Spagna via mare nell’estate 1936. Impresa non impossibile ma molto improbabile. Va aggiunto che la lettera di Carenini è scritta in lingua russa e con una grafia che non è la sua e, soprattutto, caratterizzata da una struttura sintattica e una proprietà terminologica assai appropriata, che Carenini non avrebbe mai potuto acquisire in così poco tempo, nemmeno se avesse già soggiornato in Unione Sovietica. La lettera dev’essere quindi stata scritta per Carenini da qualcuno presente insieme a lui in Svizzera, qualcuno che conosceva adeguatamente la lingua russa. Nella lettera c’è un altro passaggio interessante, e cioè i saluti che Carenini invia ai ‘compagni della Brigata Garibaldi della Spagna repubblicana’. Questo passaggio si collega ad un ultimo aspetto problematico della sua figura, che riguarda il suo rapporto con l’apparato comunista internazionale. Esiste infatti un altro documento, redatto a Mosca il 25.2.1940 da Pietro Pavanin, militante comunista ferito in combattimento in Spagna, relativo appunto a Carenini. Reso inabile al combattimento dalla ferita, Pavanin viene incaricato dal Pci di predisporre un vero e proprio sistema di schedature sul comportamento politico dei volontari italiani in Spagna, aggiornato anche per il periodo trascorso nei campi di internamento francesi dopo la fine del conflitto. Lo schedario oggi è conservato a Mosca presso lo RGASPI, l’archivio di Stato russo di storia politico-sociale. Così scrive Pavanin: “Carenini Bernardo. Soldato. Non conosciamo il suo comportamento in Ispagna come volontario delle Brigate Internazionali, perciò la nostra commissione non gli ha dato la tessera del P.C.S. del 1938 e considera questo compagno in istanza di aderire al Partito. Si potrà decidere sul suo caso una volta che si avrà chiarito il comportamento da lui tenuto in Ispagna” (RGASPI, Mosca, Fondo 545, Interbrigate dell’Esercito Repubblicano di Spagna, Op. 6, D. 491, n. 428). Se, come sembra ragionevole ritenere, la sigla PCS significa Partito Comunista Spagnolo, Carenini ne avrebbe chiesto la tessera nel 1938, con la guerra civile in pieno svolgimento, ma non l’avrebbe ottenuta perché sconosciuto alla Commissione addetta, il che suona assai strano, trattandosi di un volontario che ha fatto la guerra di Spagna fino alla fine nella Brigata Garibaldi. Insieme ad un altro comunista italiano, Mario Sangiorgio (Cpc, b. 4570, fattorino nativo di Sesto San Giovanni (Mi) nel 1897, anche lui in Spagna come ufficiale della Brigata Dombrowski, internato a St. Cyprien, Gurs, Argélès-sur Mer, evaso nel 1940, riparato in Svizzera, poi gappista a Milano), Carenini evade da Gordola nella notte del 27.8.1943 e dopo oltre dieci anni si appresta a rientrare in Italia, ma prima, però, si rivolge al Consolato Generale italiano di Lugano per cautelarsi. Lo conferma la nota del 2.9.1943 mandata dal Cpc alle Prefetture di Milano e di Bergamo, che informa appunto del fatto che Carenini si è presentato al Consolato di Lugano, dove ha raccontato la storia delle sue vicende, ancora una volta con la necessità di presentare gli eventi che lo riguardano in funzione del diverso interlocutore. Questa volta nasconde l’esperienza spagnola dicendo di aver vissuto in varie località della Francia dal 1932 al 1940, di essere stato fermato e internato dalle autorità svizzere e di trovarsi in quel momento a Gordola. La richiesta di Carenini, la cui fotografia viene allegata alla nota in questione, è quella “di poter fare ritorno nel Regno e di poter essere allo scopo munito di passaporto. Egli desidera sapere se, dato il suo espatrio clandestino, possa ritornare in Italia senza incorrere in inconvenienti di carattere giudiziario. Si prega di voler far conoscere i risultati degli accertamenti eseguiti nonché cortesi elementi per l’ulteriore svolgimento della pratica”. In questa nota del Cpc stupisce il fatto che il Ministero, scrivendo a Milano e a Bergamo, chieda che gli vengano fornite informazioni che ha già a disposizione nei propri fascicoli. Visto l’avvio, da parte del Consolato, della pratica burocratica innescata dalla sua domanda e considerata la lunghezza dei tempi per una concessione non scontata del passaporto, alla fine di agosto 1943 Carenini rientra clandestinamente a Carenno, da dove dopo l’armistizio dell’8.9.1943 si allontana ‘per ignota destinazione’. Si trasferisce prima a Canzo (Co), dove si ritrovano molti ex-ufficiali ed ex-militari insieme a figure centrali dell’antifascismo lombardo come Poldo Gasparotto, poi sale ai Piani d’Erna e al Pian dei Resinelli, nell’area del Resegone, dove insieme al militante comunista Gaetano Invernizzi nei giorni successivi costituisce un embrione di formazione partigiana autonoma, che in un primo tempo doveva chiamarsi ‘Comando Erna’ e che poi assume il nome di ‘Carlo Pisacane’: il comandante è Carenini e il commissario politico è Invernizzi. La partecipazione alla Resistenza di Carenini, che mantiene il nome di battaglia scelto in Spagna, ‘Renato’, si svolge nell’area a cavallo tra il triangolo lariano, la zona sopra Lecco intorno al Resegone e l’Alta Val Brembana, nella Bergamasca, a stretto contatto con gli uomini raccolti intorno al bergamasco Ettore Tulli. Il momento cruciale di questa stagione, tanto intensa quanto breve, racchiusa com’è tra il settembre e il dicembre 1943, è il massiccio rastrellamento nazista iniziato il 16.10.1943 con l’occupazione della Valsassina e, dal 18.10.1943, con la salita dei nazisti in assetto di guerra da tutti e quattro i versanti del Pizzo d’Erna. Il rastrellamento dura fino al 20.10.1943, con l’intento di stroncare le azioni e soprattutto l’ulteriore organizzarsi della Resistenza nella zona. Carenini riesce a sfuggire al rastrellamento insieme a molti dei suoi uomini. Nelle settimane successive, comunque, le azioni della formazione non cessano. Nei giorni che vanno da settembre a dicembre 1943 vengono messi a segno numerosi colpi: requisizioni di armi, munizioni, materiali e denaro, attentati contro impianti, uccisioni di nazisti e fascisti. Tra queste azioni è utile ricordarne una. La sera del 12.11.1943 il centurione fascista e cassiere del Banco Ambrosiano di Erba, Ugo Pontiggia, viene ucciso a Erba (Co) insieme al milite fascista Angelo Pozzoli, accorso in suo aiuto. Pozzoli è fratello del colonnello Lorenzo Pozzoli, proveniente dall’esercito e nominato questore di Como per la Rsi. La sera di quello stesso 12.11.1943, presso Erba viene arrestato Giancarlo Puecher. Poi, dopo l’uccisione del federale Aldo Resega, avvenuta a Milano il 18.12.1943, e quella del 20.12.1943 avvenuta ancora a Erba del fascista Germano Frigerio, che si apprestava ad andare ai funerali di Resega, i neofascisti di Como danno luogo ad una reazione feroce, soprattutto per spaventare la popolazione e indurre, con la paura delle conseguenze, a non dare sostegno ai partigiani. Si trattava, da parte fascista, di trovare chiunque fornisse un qualunque pretesto per agire. Il prefetto Francesco Scassellati Sforzolini (in carica a Como dal 17.10.1943 al 10.6.1944), ipotizza di fare come i nazisti, individuando 10 antifascisti per ogni fascista ucciso, ma non essendoci nelle carceri locali un tale numero di detenuti, riduce il numero: due antifascisti per un fascista. È in questo contesto che il 20.12.1943 a Erba si svolge il processo di Puecher, che viene condannato a morte e nella notte del 21.12.1943 fucilato appena fuori la cinta muraria del cimitero di Erba. Nell’immediato dopoguerra Carenini e Invernizzi, rivolgendosi sia al colonnello Umberto Morandi dell’Anpi di Lecco che alla segreteria del Comitato provinciale dell’Anpi di Milano, con una lettera rivendicano il riconoscimento per il loro ruolo nella nascita e nell’azione della banda ‘Pisacane’. In coda alla lettera, che riporta anche i nomi dei testimoni e un primo elenco dei fondatori e dei partecipanti alla fondazione e alle azioni della banda ‘Pisacane’, Carenini e Invernizzi elencano 17 azioni svolte dalla loro formazione. La lettera e l’elenco sono pubblicati nel volume di G. Fontana alla p. 64. Tra le azioni rivendicate c’è anche quella dell’uccisione dei fascisti Pontiggia e Pozzoli, sopra ricordata. Un riscontro ulteriore di ciò viene da parte fascista. E’ proprio il questore Pozzoli, fratello di uno dei due uccisi, a individuare Carenini, come tra poco vedremo, come uno dei partecipanti e quell’uccisione. Prima di tornare a Carenini, tuttavia, va ricordato che il prefetto di Como Scassellati Sforzolini (1901-1967), l’uomo che ha la responsabilità della morte di Puecher, alla fine del regime fascista fugge in Argentina e poi in Venezuela con falsi documenti, rientra in Italia nel 1963, non gli succede nulla e muore nel 1967. Il questore di Como Lorenzo Pozzoli, insieme al commissario Domenico Saletta e ai poliziotti Guido Borghi e Antonio Giussani, responsabili di omicidi e torture, processati con le udienze del 21 e 22.5.1945, vengono condannati a morte e fucilati alla schiena sul lungolago di Como alle 6 di mattina del 23.5.1945. Il presidente del Tribunale militare straordinario della RSI che aveva condannato a morte Puecher, il tenente colonnello Biagio Sallusti, viene fucilato al poligono di Camerlata l’8.2.1946. Probabilmente a causa di una delazione, Carenini viene catturato alla stazione centrale di Milano il 22.12.1943 e imprigionato nel carcere di San Vittore (n° di matricola 1083, cella 122). Mentre è a San Vittore, dove viene anche torturato, il 7.3.1944 la Questura di Como lo segnala a quella di Bergamo come “acceso sovversivo di particolare pericolosità”, “capo ribelle di bande operanti nella zona tra Lecco e Bergamo” e, descrivendolo come “alto, robusto, lineamenti assai marcati, viso truce, mani grosse e volgari, accento francese”, chiede maggiori notizie su di lui. Per poter rispondere a tale richiesta, la Questura di Bergamo cerca a sua volta informazioni rivolgendosi alla Gnr di Calolziocorte. Nella risposta della Gnr di Caloziocorte del 25.3.1944 sono presenti alcuni riscontri alle azioni elencate e rivendicate da Carenini e Invernizzi nella loro lettera all’Anpi di Lecco e Milano: “Carenini Bernardo in oggetto generalizzato è un fuoruscito sovversivo, manca da Carenno da 18 anni. E’ rientrato in detto Comune verso la fine dell’agosto 1943. Dopo l’8 settembre si dileguò, assumendo in seguito il comando di ribelli che si trovavano al Piano dei Resinelli ed alla Capanna Monzese, giurisdizione di Lecco. In quel periodo si faceva chiamare Maggiore è stato protagonista o meglio mandatario dei seguenti fatti: 1°) Alla testa di una quarantina di ribelli armati avrebbe fatto eseguire e forse eseguito l’aggressione contro la milizia contraerea di Valcava dove ha provveduto alla cattura di 5 militi asportando quanto in detto comando vi si trovava. 2°) E’ responsabile, per aver comandato i ribelli, della aggressione dei Carabinieri di Caprino Bergamasco dalla quale aggressione un carabiniere rimase ucciso e l’altro gravemente ferito. 3°) Risulterebbe responsabile della rapina a mano armata commessa in danno del Sanatorio di Vercurago dal quale venne asportato per opera dei ribelli, coperte, medicinali, viveri ed altro per un valore di 700.000 lire circa. 4°) Di molte altre aggressioni e rapine commesse in questa e in altre giurisdizioni. 5°) In occasione di un arresto eseguito dallo scrivente nella persona di Valsecchi Giovanni, il Carenini ha minacciato i componenti di questo distaccamento con la seguente frase: “O entro due giorni rilasciate libero l’arrestato Valsecchi Giovanni o io ordino l’assalto della caserma da parte dei miei ribelli”. Il Valsecchi venne trattenuto in arresto e condotto alle carceri ma il Carenini non ha osato a mettere in atto il suo piano in quanto sapeva che i militari di questa stazione avrebbero senz’altro reagito e resistito a qualunque minaccia. 6°) Si dice che il Carenini abbia combattuto in Spagna con le armate rosse col grado di sergente maggiore. E’ un acceso comunista sanguinario capace di qualsiasi delitto. 7°) Agli atti di questo ufficio non ha precedenti penali ma risulterebbe essere stato condannato moltissime volte per furti e altri reati contro la proprietà. In atto trovasi in stato d’arresto dalla S.S. germanica per rispondere di tutte le sue malefatte. L’Aiutante Capo Comandante del Distaccamento Emilio Bonato”. La Questura di Bergamo il 12.4.1944 trasmette a quella di Como le informazioni avute dalla Gnr di Calolziocorte scrivendo che Carenini “avrebbe assunto il comando di ribelli che si trovavano al Piano dei Resinelli ed alla Capanna Monzese, giurisdizione di Lecco. E fu autore dei seguenti misfatti: aggressione con una quarantina di ribelli armati di un posto di milizia contraerea, catturando cinque militi, ed asportando quanto in detto posto vi si trovava; si rese responsabile della morte di un carabiniere e del ferimento grave di un altro a Caprino Bergamasco; saccheggiò a mano armata il sanatorio di Vercurago, asportando materiali per un valore di circa L. 700.000; commise altre aggressioni e rapine in altre giurisdizioni. Tra l’altro il nominativo in oggetto, pare che abbia combattuto in Spagna con l’Armata Rossa. In atto trovasi in stato di arresto dalla S.S. Germanica per rispondere di tutte le sue malefatte”. Il 27.4.1944 Carenini viene internato a Fossoli insieme ad un folto un gruppo di detenuti politici (tra i quali Poldo Gasparotto, Gianfranco Maris, Enea Fergnani), che non perdono tempo ad organizzarsi in vista di una possibile evasione. Intanto, il 31.5.1944 si verifica una situazione particolare, perché nello stesso giorno le Questure di Bergamo e di Como, nella doppiamente erronea convinzione che Carenini sia detenuto, secondo Como a Bergamo e secondo Bergamo a Como, si chiedono reciprocamente di avere a disposizione Carenini, che in realtà è a Fossoli. Il 27.6.1944 giunge alla Questura di Bergamo un dettagliato ed interessante rapporto del già citato questore di Como, Lorenzo Pozzoli. Nel rapporto vengono infatti fornite informazioni sulle azioni non solo di Carenini, ma anche di altri resistenti attivi nell’area lariana e bergamasca. Tra questi ci sono i nomi di Remo Michele Sordo (nome di battaglia ‘Prora’), e i nomi di quelli che Fontana nel suo libro definisce ‘battitori liberi’ come Eugenio Cucchi e Giuseppe Marinoni, e quelli di Emilio Capecchi, Andrea Paolo Ferrari, Mario Caffulli e Maria Mognoni (o Magnoni). La Mognoni, nata a Fenegrò in provincia di Como il 19.5.1915 ma residente a Milano, è un’infermiera che viene presentata come complice nelle azioni partigiane e come compagna di Carenini. Le notizie fornite in tale rapporto, come dichiara Pozzoli, sono ottenute dalle confessioni di Remo Sordo, arrestato in un albergo a Trento il 26.2.1944 (poi incarcerato e fuggito dal carcere, di nuovo catturato e fucilato a Barzio dai nazi-fascisti l’1.12.1944). In particolare il questore Pozzoli - che oltre ad informare le Questure repubblicane di Milano e Bergamo, si rivolge in primo luogo alla Procura Generale del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato che ha sede a Parma - a proposito di Carenini scrive che “partecipò all’azione di rappresaglia contro i fascisti di Erba la sera del 12 novembre data in cui vennero assassinati i fascisti Pozzoli e Pontiggia; prese parte all’attacco notturno contro l’abitato di Canzo nella notte del 14 dicembre dove furono feriti 4 militi dal fuoco ininterrotto dei ribelli. La mattina dello stesso giorno il Carenini aveva tentato di uccidere il Milite Mazza il quale rimase fortunatamente soltanto ferito”. Infine, Pozzoli scrive che in quel momento Carenini si trova detenuto presso il comando SS di Bergamo, mentre in realtà, come sappiamo, è a Fossoli da due mesi esatti. Il 21.6.1944 la direzione nazista del campo di Fossoli fa prelevare Poldo Gasparotto, che viene caricato su un’auto e poco fuori dal campo ucciso con un’esecuzione sommaria. Pochi giorni dopo a Fossoli il nome di Carenini viene incluso in un gruppo di 71 prigionieri per la fucilazione, decisa per la mattina del 12.7.1944 presso il poligono di tiro di Cibeno, una frazione di Carpi, come ritorsione per l’attentato partigiano del 24 giugno nei pressi di Fossoli, in cui hanno perso la vita alcuni militari tedeschi. Di quei 71, però, ne vengono fucilati 67: uno degli iniziali 71, Teresio Olivelli, riesce a nascondersi in un magazzino, ma viene scoperto il 5 agosto e deportato, trovando la morte il 17.1.1945 nel campo di Hersbruck in Germania; altri due, Eugenio Jemina e Mario Fasoli, fuggono poco prima dell’esecuzione scavalcando il recinto del campo e riuscendo a mettersi in salvo; l’ultimo è proprio Carenini, che si salva dalla fucilazione perché un ufficiale tedesco, avendo bisogno di avere un capomastro per la manutenzione del campo, toglie Carenini dal gruppo dei condannati. Tra i 67 uccisi a Cibeno c’è anche il ventenne lecchese Lino Ciceri, prima attivo in montagna e poi nei Gap a Milano, fratello di Francesca Ciceri, comunista e attiva nella Resistenza e moglie di Gaetano Invernizzi, e figlio di Pietro Ciceri, arrestato nello stesso periodo del figlio e morto a Mauthausen. Quando il campo di Fossoli viene chiuso alla fine di luglio perché ritenuto non più sicuro, Carenini viene trasferito insieme agli altri al campo di Bolzano-Gries e da qui deportato a Mauthausen con il trasporto n° 7, matricola 82313 nell’agosto 1944. Secondo i dati riportati da Dario Venegoni nella sua ricerca sul campo di transito di Bolzano-Gries, Carenini è partito il 5.8.1944. Due mesi dopo, il 10.10.1944, la sezione di Milano del Tribunale Speciale, dopo il rapporto del 27.6.1944 del Questore di Como, emette un ordine di cattura per Carenini, rivolgendosi per questo alla Questura repubblicana di Como. Questa risponde il 15.12.1944 ribadendo ancora una volta l’erronea informazione che Carenini risulta in stato di arresto a Bergamo. Pertanto, il 15.1.1945 il giudice istruttore del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato - sezione di Milano, maggiore Fulvio Carlini, si rivolge alla Questura repubblicana di Bergamo chiedendo informazioni sulla situazione di Carenini. Il 21.1.1945 la Questura di Bergamo risponde di avere già il 31.5.1944 chiesto alla Questura di Como di mettere Carenini a propria disposizione, senza esito, aggiungendo che comunque non è detenuto nelle carceri di Bergamo e che probabilmente è a disposizione della polizia tedesca, alla quale rimanda. Carenini sopravvive alla deportazione. Dopo la liberazione di Mauthausen, avvenuta il 5.5.1945 ad opera dell’esercito statunitense, lascia il campo il 29.6.1945, come certifica un documento rilasciato dalla Croce rossa internazionale di Arolsen (Germania) e come testimonia lo stesso Gianfranco Maris, a sua volta deportato a Mauthausen, che rientra in Italia insieme a Carenini, del quale riferisce che nel dopoguerra ha lavorato come operaio alla Edison di Milano. Abbiamo già citato la lettera di Carenini e Invernizzi indirizzata all’Anpi per avere il riconoscimento del proprio ruolo e di quello della loro formazione partigiana. A questo proposito, è ancora il foglio matricolare di Carenini a fornire ulteriori informazioni, che mostrano l’avvenuto riconoscimento chiesto dai due partigiani della ‘Carlo Pisacane’. Dopo le già citate annotazioni sul suo richiamo alle armi del 1939, seguono infatti altre annotazioni. Nel riquadro ‘Campagne, azioni di merito’ viene riportato che Carenini “Ha partecipato dal settembre 1943 al 25.4.1945 alle operazioni di guerra svoltesi nel territorio metropolitano con la formazione non regolare ‘Div. Carlo Pisacane’ dipendente dalle forze armate Italiane”. Seguono le stampigliature: Campagna di Guerra 1943 - Campagna di Guerra 1944 - Campagna di Guerra 1945. Di seguito le ultime annotazioni: “Ha fatto parte dal 20 settembre 1943 al 25.4.1945 della formazione non regolare ‘Divisione Carlo Pisacane’ in Milano, assumendo incarichi di servizio equiparati, agli effetti economici, al grado militare di soldato. Equiparato a tutti gli effetti (escluso l’adempimento degli obblighi di leva) ai combattenti della lotta di liberazione impiegati in azioni di guerra, per il servizio prestato nella formazione non regolare ‘Div. Carlo Pisacane’ (D.L. 19 marzo 1948, n. 241). 31.12.1951. Collocato in congedo assoluto per proscioglimento dal servizio militare in applicazione della circ. m/le n° 24 in data 5.1.1952. Rilasciato Mod. 027 17.2.1967”. Carenini muore il 12.5.1991 a Trecate (No), dov’è sepolto. Sul certificato di morte compare l’annotazione ‘celibe’, ma sulla scheda da lui compilata il 3.1.1946 per la federazione milanese del Pci, alla voce ‘Stato di famiglia’ scrive ‘coniugato’. Tuttavia, nel suo libro Fontana scrive che nel dopoguerra Carenini ‘convive’: forse con Maria Mognoni (o Magnoni) citata in precedenza)? E la fotografia pubblicata da Fontana a pagina 60 nel suo libro, che ritrae Carenini con un bimbo piccolo tra le braccia, indica forse un suo figlio? Sono molti gli aspetti sconosciuti che ancora rimangono nella biografia di Bernardo Carenini, detto Renato. Cpc, b. 1078, 1939-1943. (G. Mangini)
Familiari
Carenini Giulio (padre)
Freddi Maria (madre)
Carenini Primo Mario (fratello)
Nato a Carenno il 15.8.1900
Carenini Giuseppe (zio paterno)
Luoghi di residenza
Carenno Lombardia Italia frazione Colle di Sogno (1906/12/31 - ) Milano Lombardia Italia via Vigentina 21 ( - 1932) Meuilly Borgogna-Franca Contea Francia (1932 - 1932) Philippeville / Skikda Algeria (1932 - 1936) Spagna (1936 - 1939) Francia (1939 - 1940) Svizzera (1940 - 1943) Carenno Lombardia Italia (1943 - )
Fatti notevoli
1925 - 1925
Entra nel Pci.
1926 - 1927
Compie il servizio militare.
1932 - 1932
Emigra clandestinamente, prima in Svizzera e subito dopo in Francia.
1932
Si trasferisce in Algeria.
1936 - 1939
Si trasferisce in Spagna, dove partecipa alla guerra civile nelle Brigate Internazionali e al termine viene detenuto nei campi di internamento francesi di St. Cyprien, Gurs e Vernet.
1940 - 1943
Si trasferisce in Svizzera, dove viene detenuto in vari campi di internamento.
1943 - 1943
Partecipa alla Resistenza nella formazione 'Carlo Pisacane' nelle montagne sopra Lecco.
1943/12 - 1944/08
Catturato nel dicembre 1943, viene imprigionato prima a Milano e poi a Fossoli.
1944/08 - 1945/05/05
Nel 1944 viene deportato a Mauthausen, da dove viene liberato dall'esercito americano il 5 maggio 1945.
Sanzioni subite
carcere (1930/08/22 - )
Condannato ad un anno di carcere per tentato espatrio clandestino, pena sospesa
carcere (1931 - )
Condanne sospese.
ammonizione (1932 - )
arresto (1943 - 1944)
Nel dicembre 1943 viene arrestato a Milano e incarcerato nel carcere di San Vittore.
deportazione (1944 - 1945)
Deportato a Mauthausen.
Relaz. con altri soggetti
Sangiorgio Mario (prigionia)
ACS, Cpc, b. 4570
Invernizzi Gaetano (Resistenza)
ACS, Cpc, b. 2640
Gasparotto Poldo (Resistenza)
Maris Gianfranco (Resistenza)
Fergnani Enea (Resistenza)
In rubrica di frontiera
In bollettino ricerche
no
Esclusione dallo schedario
no
Altre fonti archivistiche
(INSMLI, AICVAS-pp) Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione (Milano), Fondo AICVAS, Pratiche Personali
Busta 20, Fascicolo 98
(ACS-CPC) Archivio centrale dello Stato (Roma), Casellario Politico Centrale
Busta 1078, Fascicolo
RGASPI Fondo 545, Op. 6
Busta D. 491, Fascicolo N. 428
Riferimenti bibliografici
Venegoni 2004
riferimento p. 114
Fontana 2010
Meles 2011