Rossi Ada


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n. busta
100
n. fascicolo
3031
Primo estremo
1930
Secondo estremo
1943
Cognome
Rossi
Nome
Ada
Presenza scheda biografica
no
Luogo di nascita
Data di nascita
1899/09/10
Luogo di morte
Roma
Data di morte
1993/06/15
Livello di istruzione
laurea Matematica
Professione
insegnante
Collocazione politica
Profilo sintetico riassuntivo
La presente ricostruzione biografica si avvale, oltre che dell’esame del fascicolo raccolto dalla Questura di Bergamo, di altre informazioni provenienti dal fascicolo del Cpc, dal nutrito epistolario tra Ada ed Ernesto Rossi e dalla bibliografia esistente su di lei e sul marito Ernesto Rossi, la cui biografia è strettamente intrecciata con quella di Ada Rossi. Nata a Golese (Pr) nella tenuta di famiglia il 10.9.1899 da Carlo, ufficiale dell’esercito e da Concettina Montanari. Il padre, proveniente da una famiglia di militari di carriera, partecipa alla conquista coloniale della Libia e al ritorno, nel 1912, muore di tifo a Palermo; la madre invece appartiene ad una famiglia della borghesia parmense. Dopo la morte del padre, a 13 anni Ada viene iscritta al Collegio per figlie di ufficiali “Villa della Regina” di Torino, da cui esce a diciotto anni col diploma di maestra. Dopo il matrimonio in seconde nozze della madre con il funzionario della Banca d’Italia, Carlo Morandi, celebrato nel 1918, la famiglia, composta dai quattro figli del primo matrimonio (Ada, Bruna, Anna Maria, Gian Franco) e dalla nuova nata Carla, si trasferisce da Genova a Bergamo, ove Morandi prende servizio come direttore della sede locale della Banca d’Italia. Dopo aver superato l’esame integrativo, si iscrive alla facoltà di Matematica e Fisica dell’Università di Pavia, ove si laurea nell’anno accademico 1924-25, dedicandosi subito all’insegnamento, prima al collegio religioso di Celana (Bg) e poi in una scuola di avviamento professionale. Nel 1928 riceve l’incarico di insegnante di Matematica e Fisica presso l’Istituto Tecnico 'Vittorio Emanuele II' di Bergamo, in cui dalla fine del 1925 insegna il futuro marito Ernesto Rossi. Da diverso tempo Ada, educata dalla madre ai valori di libertà e uguaglianza, ha compiuto una netta scelta in senso antifascista, motivata soprattutto da fattori etici, più che politici, come lei stessa ricorda in una intervista rilasciata nel 1985 ad Adele Cambria per il quotidiano “«l Giorno»: “il mio risentimento contro il fascismo credo nascesse proprio da un impulso contro la violenza”. In particolare, a destare in lei tale ripulsa sono due episodi: il primo, avvenuto nell’Università pavese, è il pestaggio a morte di uno studente da parte dei fascisti e il secondo è costituito dalle continue percosse a cui era sottoposto a Bergamo l’antifascista Enrico Tulli. Nell’ottobre 1928 anche Ada inizia ad insegnare all’Istituto tecnico 'Vittorio Emanuele II”'e conosce l’antifascista democratico, nonché insegnante di diritto ed economia Ernesto Rossi ad un rinfresco offerto dallo stesso Rossi e dai colleghi Felice Pigozzo e De Paolis per festeggiare il loro passaggio da docenti straordinari a ordinari. Le molteplici affinità esistenti tra i due giovani insegnanti suscitano ben presto un’intensa relazione affettiva. Con gli sviluppi della loro relazione, Ernesto vince le iniziali diffidenze e soddisfa la volontà di Ada di partecipare attivamente alla lotta antifascista, coinvolgendola gradualmente nelle azioni cospirative, affidandole inizialmente l’incarico di tenere il collegamento con il sacerdote antifascista bergamasco don Virgilio Teani, già attivo sostenitore delle lotte agrarie e operaie del biennio rosso. A lui consegna stampa antifascista proveniente dalla Francia, da distribuire tra il clero e tra persone fidate. Altro materiale propagandistico viene nascosto da Ada nel caveau della Banca d’Italia, dove lavora suo padre. Nel 1929 Ernesto introduce Ada anche negli ambienti antifascisti milanesi dell’area democratica e socialista, facendole conoscere Riccardo Bauer e poi tutti gli altri componenti del nascente gruppo di 'Giustizia e Libertà'. Nel luglio 1929 vanno insieme a conoscere la famiglia di Ernesto a Firenze, dove giunge la notizia tanto attesa della fuga di Carlo Rosselli da Lipari, alla cui progettazione aveva partecipato anche Ernesto Rossi. Nonostante ciò, per salvaguardarla dai pericoli della repressione giudiziaria e poliziesca, Ernesto cerca in tutti i modi di coinvolgere Ada il meno possibile nelle operazioni clandestine più pericolose, come negli attentati incendiari agli uffici delle Imposte di varie città italiane, tra cui Bergamo, che lui e il gruppo milanese di 'Giustizia e Libertà' stavano preparando tra settembre e ottobre 1930. Il piano è meticolosamente preparato con il chimico Umberto Ceva, che mette a punto le bombe incendiarie al fosforo, con Bauer, nonostante le sue riserve, e con l’appoggio entusiasta di un nuovo militante, l’avvocato Carlo Del Re, legato alla Massoneria, trasferitosi da Udine a Milano alla fine del 1929 e che, fin dall’inizio, da prova di coraggio e di dedizione alla causa antifascista. Ma poco prima del compimento degli attentati, Del Re denuncia all’Ovra tutti i preparativi degli attentati e tutti gli antifascisti coinvolti. Il suo tradimento inizia tra la metà del mese di settembre e l’inizio di ottobre 1930, allorquando, dopo aver compiuto gravi illeciti sul piano professionale e giuridico per riparare alla situazione di pieno dissesto finanziario in cui si trova, concorda con il capo della Polizia Politica, Arturo Bocchini, un tradimento dagli aspetti “diabolici”, che porterà a fine ottobre 1930 all’arresto dell’intero gruppo dirigente giellista italiano, con l’accusa gravissima di essere pericolosi terroristi, ritenuti responsabili anche dell’attentato alla Fiera di Milano del 1928, che aveva causato 16 morti. L’operazione, con la relativa montatura poliziesca, riesce solo parzialmente grazie all’azione di denuncia della repressione del regime promossa all’estero da Salvemini e Carlo Rosselli in occasione del processo ai giellisti e all’estrema resistenza opposta da Umberto Ceva, che la vigilia di Natale 1930 si toglie la vita, perché su di lui si cerca di far ricadere la responsabilità della preparazione dell’ordigno alla Fiera di Milano e, in caso di mancata collaborazione, anche la perfida insinuazione di essere lui il traditore e l’informatore della polizia. Nei mesi precedenti Rossi aveva cercato di non coinvolgere Ada nella preparazione degli attentati agli uffici delle Imposte e grazie a queste precauzioni, Ada (tra gli antifascisti era nota come “Pierina”), non viene coinvolta nella retata dell’Ovra, perché a suo carico non esiste nessun elemento di prova, se non la semplice frequentazione di alcuni antifascisti, nonostante i giudizi non certo lusinghieri formulati su di lei dalla spia Carlo Del Re e dagli agenti dell’Ovra, che arrivano a definirla un “elemento pericolosissimo” e una “nihilista anarchica con tendenze terroristiche”. L’arresto di Ernesto, avvenuto il 30.10.1930, coglie tutti di sorpresa e a Bergamo desta grande scalpore, in particolare nell’ambiente studentesco; Ada viene informata dell’accaduto nel pomeriggio e subito si reca in treno a Milano per informare gli altri componenti del gruppo dell’avvenuto arresto, ma Bauer è già stato a sua volta arrestato, mentre Del Re è ancora libero. Insieme a Del Re si reca da Vincenzo Calace, ma anche lui è già stato prelevato dagli agenti. Ritornati a casa di Del Re, trovano la moglie della spia in compagnia di due signori, che Del Re presenta come suoi amici fidati, che però iniziano subito a fare molte domande ad Ada, la quale pur rimanendo sul vago, si lascia scappare la frase “Per questa gentaglia ci voglion le bombe, altro che foglietti di carta; prendere degli anni di galera per dei foglietti non vale la pena”. Questa frase le costerà il giudizio molto negativo formulato dagli agenti dell’Ovra. A tarda notte Ada riparte in treno per Bergamo. I giorni successivi all’arresto mettono a dura prova anche un temperamento forte e combattivo come il suo, come lei stessa confida nella lettera ad Ernesto del 21.11.1930: dal punto di vista emotivo e sentimentale quelle giornate l’hanno messa così a dura prova che ha creduto di “impazzire”, specialmente dopo la tentata fuga di Ernesto durante il trasferimento in treno da Bergamo a Roma per il processo tra il 3 e il 4.11.1930. Dopo questi momenti di disperazione, che però costituiscono la prova tangibile del fortissimo legame con il suo compagno, provando vergogna per questa dimostrazione di debolezza, ritrova la forza e la volontà di reagire che l’hanno sempre contraddistinta. Subito dopo l’arresto, Ada cerca invano di ottenere un permesso di colloquio con Ernesto nel carcere di Sant’Agata in Città Alta a Bergamo, utilizzando l’amicizia dell'amico don Teani con il cappellano delle carceri. Nell’impossibilità di visitare Ernesto nei primi giorni della detenzione bergamasca e in assenza di qualsiasi notizia, Ada decide di consultare il senatore bergamasco Giacomo Suardo, potente gerarca fascista che ha ricoperto importanti incarichi di regime, tra cui la Presidenza del Senato e la titolarità di vari dicasteri. La conoscenza con Suardo risaliva al tempo in cui da ragazza trascorreva parte dell’estate a Chiuduno, un paese delle colline bergamasche, presso uno zio che era medico condotto del luogo. Dal gerarca fascista Ada apprende che l’istruttoria dei giellisti è in mano all’ispettore di polizia Francesco Nudi, che Ernesto è in buone condizioni ed è detenuto a Roma. Dopo il 25..4.1945 questo intervento di Suardo in favore Ada contribuirà al suo proscioglimento nell’istruttoria aperta a suo carico per i trascorsi fascisti. Forse anche grazie all’interessamento del senatore Suardo, Ada ed Elide, madre di Ernesto, riescono ad ottenere nel dicembre 1930 un colloquio al Ministero degli Interni col commissario Tommaso Petrillo della 1^ zona Ovra. A fronte delle insistenze e delle preoccupazioni delle due donne, il commissario si dimostra comprensivo e le accompagna personalmente al carcere di Regina Coeli e poco dopo riescono ad avere il primo colloquio con Ernesto. Nonostante Ada non venga sottoposta ad indagini ulteriori da parte dell’Ovra, la relazione compromettente con Ernesto Rossi genera lo stesso ripercussioni molto pesanti: non solo la perdita della sua cattedra presso l’Istituto Tecnico, ma anche l’allontanamento da tutti gli istituti scolastici statali. Per mantenersi è costretta a prodigarsi in un superlavoro frenetico, alternando lezioni private di matematica, per una media di circa 40 ore settimanali, con l’insegnamento presso l’istituto religioso femminile “La Sagesse” a Bergamo Alta. Dopo l’arresto di Ernesto, Ada vive momenti di grande apprensione. Nelle prime settimane per la carenza di notizie sul suo compagno e nei mesi successivi per la conclusione del processo, che molti temono possa concludersi anche con l’emissione di pene capitali. Dall’inizio del 1931 fino al 1939, Ada si reca a visitare Ernesto almeno una volta al mese, sottoponendosi a lunghi e costosi viaggi lungo la penisola per poter rivedere il proprio caro solo per pochi minuti e sempre in presenza delle guardie carcerarie. L’altro strumento che, seppur rigidamente limitato dai regolamenti carcerari e dalla censura poliziesca, permette di sviluppare la trama degli affetti e di gettare un ponte tra il mondo esterno e l’isolamento carcerario, è la corrispondenza epistolare. Dalla fine di dicembre 1930 all’estate 1943 Ada scrive al marito ben 977 missive, nelle quali lo informa della sua vita, su ciò che accade nel mondo, gli trasmette lezioni di matematica e le risoluzioni dei relativi problemi, ma soprattutto cerca di sostenerlo moralmente, di trasmettergli tutto l’amore possibile e la condivisione dei suoi ideali e delle sue scelte politiche. Con il suo amore sconfinato, Ada cercherà con tutti i mezzi a sua disposizione, sacrificando così la parte migliore della sua vita, di infondere nel marito “la forza necessaria a resistere” alla segregazione e alla privazione della libertà. «Tu sai che sono una creatura tua, - scrive Ada il 29.11.1930 – sai che non posso amare la vita che con te, e che anche lontana ti sono vicina e che la tua pena si ripercuote in me. […] Non dire più che mi meritavo di incontrare un altro uomo, perché veramente, sempre maggiormente mi accorgo che tu sei superiore mille volte al gregge degli arrivisti e degli egoisti, che tu sei migliore di tutti e che sai con semplicità e fermezza, accettare queste prove, perché sei in pace con te stesso». La passione amorosa in questo caso si trasforma in strumento di lotta politica, in arma di difesa dalle persecuzioni e dalla passività della massa che assiste pavida all’affermazione della dittatura. In questa luce anche la proposta di matrimonio fatta da Ada ad Ernesto nel 1931, assume una valenza che oltrepassa la sfera degli affetti, diventando un esplicito atto di sfida al regime fascista. Un aspetto che non sfugge all’apparato di controllo che vigila su Ada; in un documento stilato il 31.10.1931 dal capitano dei Cc di Bergamo, Francesco Mosca per conto della Questura, viene definita come un elemento pericolosissimo, profonda odiatrice del fascismo, un’anima ribelle, che avrebbe sposato Ernesto per legare definitivamente la propria vita alla causa politica del marito. L’origine di questo giudizio non scaturisce solamente da una scelta politica sovversiva, ma deriva anche dal suo profilo di donna laureata, economicamente indipendente, emancipata, che vive al di fuori delle convenzioni sociali e culturali alle quali le donne del tempo sono sottoposte e che il regime tende a rafforzare. Nonostante le avverse condizioni determinate dalla condanna di Ernesto ad un lungo periodo di detenzione e dalle persecuzioni poliziesche che lei stessa deve subire, il loro legame sentimentale si rafforza ancora di più con la decisione di sposarsi con una semplice cerimonia civile, avvenuta il 24.10.1931 nell’ufficio del direttore del carcere penale di Pallanza sul Lago Maggiore, dove Ernesto Rossi era detenuto in quel periodo. La piena condivisione politica e affettiva manifestata da Ada verso il marito si spinge al punto tale da farle accettare il rischio di finire anch’essa in prigione quando, dopo il trasferimento di Ernesto da Pallanza a Piacenza (24.11.1931), contribuisce attivamente all’ennesimo progetto di evasione architettato dal marito, che purtroppo fallisce causa la scoperta del piano da parte di un detenuto. Fortunatamente la polizia non scopre il ruolo svolto da Ada nel piano di evasione, ma la scelta di condividere pienamente le sorti del marito provoca nuove vessazioni da parte del regime fascista. A partire dal marzo 1932 il Ministro degli Interni richiede alla Prefettura di Bergamo di “esercitare con la massima diligenza una accurata vigilanza sulla Rossi” considerata la sua “estrema pericolosità”; di conseguenza il suo nome viene incluso negli elenchi delle persone da arrestare in determinate circostanze. Inoltre nel giugno dello stesso anno la Questura di Bergamo diffida Ada dal cercare assistenza presso amici per organizzare l’evasione del marito dal carcere e viene caldamente invitata a non trattare argomenti politici nella corrispondenza col marito. Ma tutto ciò è solo l’inizio della messa in atto di rigorose procedure di sorveglianza nei suoi confronti e dalla primavera 1932, Ada diventa oggetto di meticolosi controlli in tutti i suoi spostamenti al di fuori di Bergamo. A tal fine la polizia di Bergamo, attingendo anche alle informazioni intercettate nelle lettere scambiate col marito e a quelle di Ernesto con la madre, prepara un macchinoso sistema di comunicazioni telegrafiche per segnalare alle Questure interessate gli spostamenti di Ada con l’indicazione dell’ora di partenza, dell’ora di arrivo del treno o di qualsiasi altro mezzo di trasporto utilizzato, in modo da inviare alle varie stazioni agenti di polizia in borghese muniti della fotografia di Ada, che la pedinano annotando tutti i luoghi visitati, gli alberghi ove soggiorna e le persone incontrate. Tutte le informazioni sul suo arrivo in ogni stazione o luogo di trasferimento, devono essere comunicate il più velocemente possibile alle Prefetture o alle Questure di partenza, perché nel caso di mancato arrivo, attivino immediatamente le indagini per appurare la causa dell’irreperibilità di Ada. Un esempio tra le decine e decine di fonti informative di questo genere, che si ritrovano nel corposo fascicolo intestato ad Ada Rossi conservato nel fondo della Questura di Bergamo, è il telegramma inviato dal Questore di Roma, Palma, il 27.7.1938 alle ore 21.20 alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero degli Interni e alla Questura di Bergamo. Il testo è del seguente tenore: «Nota antifascista professoressa Rossi Ada fu Carlo proveniente Bergamo è giunta capitale decorsa notte prendendo alloggio albergo Massimo d’Azeglio. Medesima stamane ha avuto colloquio col marito Rossi Ernesto 37619 [codice numerico identificativo del suo fascicolo presso il Casellario politico centrale del Ministero degli Interni] e alle ore 17.40 è ripartita linea Pisa vuolsi diretta Pegli. Provveduta segnalazione. Firmato Palma». Diversi fonogrammi segnalano inoltre i colloqui di Ada con l’avvocato romano di Ernesto, Leone Cattani, a sua volta oggetto di sorveglianza da parte della polizia romana. Ritornando al 1934, sappiamo che Ada è coinvolta direttamente anche nell’organizzazione del quarto piano di fuga di Ernesto dal carcere di Piacenza, ove è detenuto dal novembre 1931. Ada tiene i contatti tra Ernesto e il gruppo esterno che supporta l’evasione, composto dal fratello di Ada, Gianfranco, da Nino Rainoni, entrambi ex allievi bergamaschi di Rossi, e dall’avvocato torinese Piero Zanetti. Il piano deve svolgersi di notte in presenza della guardia prezzolata e prevede il taglio delle sbarre della cella ove si trovano Rossi e l’anarchico veronese Giovanni Domaschi, mediante una speciale “sega circolare a manubrio” realizzata dal cognato di Ernesto, Lorenzo Ferrero, su disegno dello stesso Domaschi. Dopo il taglio delle sbarre i due si sarebbero calati all’esterno con una corda in seta passata ai detenuti dalla stessa guardia e all’esterno un’auto li avrebbe aspettati per portarli al sicuro. L’evasione si avvale della complicità di due guardie carcerarie adeguatamente foraggiate – è la stessa Ada, resasi irriconoscibile con un astuto travestimento, a consegnare il denaro ad una delle due guardie – e della collaborazione del detenuto comune Mario Fenzi, che terminando la detenzione l'1.10.1933, deve comunicare ad Ada informazioni sulla fuga. Invece di mantenere fede a quanto pattuito con Ernesto, una volta uscito dal carcere Fenzi inizia a ricattare Ada con richieste di denaro in cambio del suo silenzio. Non avendo ottenuto quanto richiesto, denuncia al direttore del penitenziario il progetto di evasione di Rossi e Domaschi, che sono immediatamente trasferiti a quello romano di Regina Coeli, mentre le due guardie penitenziarie sono radiate dal servizio. La delazione del Fenzi provoca varie conseguenze negative: l’arresto dei due giovani ex allievi, comunque liberati dopo un mese di detenzione perché a loro carico non si hanno prove sufficienti; la sospensione a partire dalla fine di novembre dei colloqui tra Ada ed Ernesto e infine la perquisizione accurata dell’abitazione di Ada condotta il 24.11.1933 dagli agenti del commissario D’Andrea, capo-zona Ovra per l’Emilia-Romagna, già addetto al controllo della corrispondenza di Ernesto. Questi provvedimenti suscitano un’accesa reazione da parte di Ada, che in una cartolina postale inviata il 2.12.1933 alla madre di Ernesto, Elide Verardi, rigorosamente copiata dalla Polizia, oltre a chiedersi il motivo di tali interventi punitivi, aggiunge la seguente frase, parzialmente sottolineata dal censore in cui traspare un impeto di ira verso i persecutori: «Io non ho mai saputo odiare, ma ora sto diventando proprio cattiva. Tutti i momenti maledico i figlioli di chi ci fa soffrire così. Potrebbero incominciare fin da adesso a pregare Dio di non soffrire un giorno quello che i loro padri fanno soffrire a tanti poveri giovani. […] In tutto il mio scoramento però esiste un pensiero di orgoglio: “hanno quindi tanta paura del mio Esto?” E allora chi è più forte! Anche Francesco Giuseppe aveva paura, e infierì in nome di questa paura, per tenere in piedi il forte impero. E cosa gli è valso? Un giorno tutto è andato a catafascio e lui è passato alla storia col nome di “impiccatore”». Dall’ispezione della Polizia Politica, svolta come di consueto all’insaputa dei locali organi di sicurezza, non emergono prove necessarie a incriminare Ada e gli ex allievi, tuttavia i funzionari Ovra non lasciano l’abitazione di Ada a mani vuote, sequestrando vario materiale con cui riempiono tre pagine dattiloscritte di nominativi e frasi estrapolate da lettere e appunti di Ada. Nei quattro mesi successivi, dopo che gli agenti Ovra tentano invano di identificare tali nominativi di gran parte estranei ad attività politica, la Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, decide nell’aprile 1934, di coinvolgere nelle indagini anche la polizia di Bergamo, chiedendo formalmente al Questore di “invitare detta signora a fornire i chiarimenti al riguardo, che si attendono conoscere assieme alle indicazioni utili al rintraccio dei nominativi in questione. Per le persone che risulteranno costà domiciliate pregasi fornire informazioni circa la loro condotta, specie politica”. La squadra politica della Questura di Bergamo fino alla fine dell’anno raccoglie il maggior numero di informazioni possibili, riuscendo a ricostruire la cerchia delle amicizie e dei rapporti di lavoro di Ada. Oltre ai nomi degli studenti a cui impartisce lezioni private, emergono poche notizie utili per le indagini, tra queste l’amicizia con l’insegnante antifascista Gerolamo Castrate (nato nel 1876), con la ex compagna di scuola Elena Sestri (1904), con Attilia Battaggion (1916), ex allieva, come i suoi due fratelli, appartenenti ad una nota famiglia di imprenditori bergamaschi di idee liberali che prendono a ben volere le sorti di Ada. Comunque le persone coinvolte nell’evasione non emergono da questa lista, cos' come non emergono nemmeno i nomi della cerchia di antifascisti frequentati da Ada. Tra gli stralci di frasi ricopiati dagli agenti Ovra abbiamo due lettere inviate da Ernesto nel 1933, in cui invia saluti a vari nomi indicati con soprannomi o con sigle: “Tanti saluti a Preti, a Osvaldo, a Gianni e tutti gli amici” ; “Tanti saluti a Gian, a Nino, Osvaldo e a tutti gli amici. Che ne è del buon P. e T. l’hai più visto?”. Le carte di polizia a nostra disposizione non permettono di capire se tali nomi siano stati rintracciati oppure no. Oggi comunque siamo in grado di riconoscerli: “Preti” è il sacerdote don Teani; “Gianni” è Gianfranco, il fratello di Ada; “Nino” è Antonio Rainoni, “P e T” sono probabilmente le iniziali dei cognomi di due colleghi di Ernesto: Pigozzo e Traini; infine “Osvaldo” è il nome in codice che segnala la lettera “maliziata”, cioè scritta in un codice segreto concordato tra Ernesto ed Ada, precedentemente l’arresto. Comunque, dopo questo episodio, cresce la percezione poliziesca della pericolosità di Ada, che si traduce nell’attivazione di una sorveglianza più accurata, sistematica, tant’è che nel giugno 1934 l’ispettore generale di PS, Francesco Nudi, comunica al Questore di Bergamo l’assegnazione di due agenti appositi “per essere adibiti al servizio di vigilanza sulla nota Ada Rossi”. Quella del 1933 non è l’unica perquisizione effettuata in casa di Ada, un’altra ne viene ordinata dall’Ispettore generale D’Andrea nel novembre 1935, nel corso della quale gli agenti ricavano nuovi nominativi, sottoposti ad ulteriori accertamenti diretti a stabilirne l’eventuale pericolosità politica. Inoltre, per carpire ulteriori informazioni, i questurini bergamaschi giungono ad utilizzare come informatori la portinaia, la domestica di Ada e gli stessi vicini di casa, incaricati di riconoscere i frequentatori di Ada. Ne risultano i contatti con le famiglie dei giellisti milanesi imprigionati assieme ad Ernesto, in particolare con la famiglia Bauer, Ceva e Cavallera; quelli con la già citata famiglia Battaggion, con gli avvocati antifascisti Alfonso Vajana e Masseroni e soprattutto i rapporti con “i noti sovversivi schedati Damiani Mario di Eugenio ingegnere, Maffi Bruno di Fabio dottore in lettere e Albasini Scrosati Vittorio avvocato”. Quest’ultimi nomi, segnalati dalla Questura milanese, negli anni successivi avranno un ruolo di primo piano nel movimento antifascista e nella lotta resistenziale. Tra i tanti episodi che costellano la sorveglianza poliziesca nei confronti di Ada ne segnaliamo uno dai risvolti esilaranti, perché dimostra il modo con cui Ada si prende gioco dei poliziotti. In una lettera di Ada alla madre di Ernesto del 19.5.1935, intercettata dalla polizia, si parla di un plico ricevuto da Cambridge contenente una foto con la dedica “lo zio non dimentica”, che la Questura di Bergamo non riconosce per Gaetano Salvemini, il quale confidenzialmente era soprannominato "zio” da Ernesto. Interrogata sull’identità di tale “zio”, Ada gioca un tiro mancino ai questurini, rispondendo di chiederlo direttamente allo stesso Ernesto, in quanto trattasi di un suo parente. L’informazione viene inoltrata tale quale da Bergamo al Ministero degli Interni, dove i funzionari della Direzione generale di PS capiscono ben presto che si tratta di una beffa ai loro danni e qualche giorno dopo, la DGPS nella persone di Carmine Senise, risponde in modo seccato al questore di Bergamo ordinandogli perentoriamente di disporre «senza ulteriore indugio, accurata, minuziosa perquisizione domiciliare ed al caso anche personale, nei confronti della Rossi, per addivenire al rintraccio della fotografia dello zio in questione, che dovrebbe essere il noto fuoruscito prof. Gaetano Salvemini.» La fotografa viene effettivamente trovata e sequestrata e tuttora è conservata nel fascicolo di Ada Rossi del fondo della Questura di Bergamo. In realtà il luogo dove Ada esercita maggiormente e in modo durevole la sua opera di sovversione è dentro le quattro mura domestiche durante le lezioni private di matematica che si trasformano, al sicuro degli occhi indiscreti della polizia, in altrettante lezioni di antifascismo e di formazione di una coscienza democratica a decine di giovani studenti e studentesse bergamaschi. Il sussidio didattico principale di queste lezioni di libertà è rappresentato dalle lettere dal carcere di Ernesto: alcune di quelle missive vengono lette da Ada ad amici e studenti, diventando fonte di propaganda contro il regime e occasione di diffusione delle idee liberal-democratiche. Mediante le registrazioni foniche dei colloqui in carcere, anche la polizia si accorge di questa attività di Ada: “Le tue lettere - continuava a dire la Ada - a Bergamo, le leggono per lo meno una trentina di persone e tutte restano meravigliate del vostro grande coraggio ed eccezionale rassegnazione” e dal Ministero degli Interni, il capo della polizia Senise scrive preoccupato al questore di Bergamo affinché vigili “con il maggior impegno la condotta” di Ada, perché usa il carteggio con il marito “a scopo di propaganda antifascista. […] La stessa, poi, con altri non mancherebbe di raccogliere le trasmissioni radio provenienti dalla Spagna rossa, specialmente dopo la mezzanotte”. Dalle stesse fonti apprendiamo che alcuni mesi prima, grazie ad intercettazioni dei colloqui carcerari o al controllo della corrispondenza, la polizia è informata dell’acquisto di una radio da parte di Ada. Questa cospirazione di tipo domestico è confermata, oltre che dalle carte di polizia, anche da alcune testimonianze degli antifascisti bergamaschi e da un breve memoriale dattiloscritto della stessa Ada conservato nell’archivio dell’Istituto per la resistenza e la storia contemporanea (Isrec) di Bergamo e riguardante uno dei maggiori esponenti della Resistenza bergamasca, Bruno Quarti. A partire infatti dal 1933, quando frequenta il quarto ginnasio al liceo Sarpi di Bergamo, Quarti si reca da Ada “a rompersi l’anima con le mie formule” matematiche. Quarti continua a prendere lezioni di matematica e di fisica fino al 1939, per tutta la durata del liceo e anche dopo, nei primi due anni della facoltà di medicina. A lui, come a tanti altri giovani bergamaschi di estrazione borghese, Ada insegna tanto algebra e geometria, quanto i principi basilari dell’antifascismo democratico e la concezione socialista-liberale della politica e della società, utilizzando le lettere del marito e spiegandogli una delle parole d’ordine care ad Ernesto: «“quello che importa non è il successo, è essere in pace con noi stessi” e lui – ricorda Ada – ne faceva tesoro di queste parole, non si scoraggiava, non drammatizzava, continuava a sperare» nella fine della dittatura. Un insegnamento che infonde la lezione antifascista in chiave etico-esistenziale e che tende a formare una coscienza democratica depurata dai falsi miti del totalitarismo fascista, ma che mette in guardia anche dalle tendenze liberticide del regime sovietico. Molti altri giovani con la frequentazione di Ada si avviano sulla strada dell’antifascismo, tra i quali Gianni e Carlo Remuzzi, Adolfo Barnaba, Gino Antonucci. Anche la sorella di Bruno Quarti, Mimma (nata nel 1923), appena quattordicenne inizia a condividere le idee antifasciste del fratello maggiore. Quando Ada si reca a visitare il marito al confino di Ventotene (1939-1943) e nel 1941-42 fa uscire clandestinamente i primi scritti europeisti elaborati da Ernesto, Spinelli e Colorni, la Quarti, con altri giovani bergamaschi, li ricopia con la macchina da scrivere e li distribuisce negli ambienti antifascisti. Nel contesto orobico non esiste l’equivalente di questa “palestra” del dissenso antifascista costituita dalla tenace e infaticabile opera formativa svolta da Ada, confermata anche dalla testimonianza di Salvo Parigi, intervistato da Rodolfo Vittori e Paolo Arnoldi nel 2004, il quale testimonia che nel 1942 Bruno Quarti aveva raccolto un nutrito gruppo di giovani antifascisti di estrazione sia borghese che operaia e, per consolidarne la coscienza politica, decise di mandarli tutti “a scuola di antifascismo” da Ada Rossi. Alla luce di tutto ciò, appare chiaro come il contributo di Ada abbia fatto si che la Resistenza bergamasca di matrice azionista, dopo l’8.9.1943, potesse disporre, a differenza degli altri movimenti antifascisti, di una sua organizzazione seppur embrionale e di quadri politici preparati ad affrontare la lotta armata al nazifascismo. Alla fine del 1937 (18 dicembre) nasce il principe di Napoli, figlio di Umberto II, e per l'occasione viene concessa l’amnistia per i detenuti. In una lettera alla suocera Elide del 18.12.1937 Ada confida di aver ricevuto una trentina di telefonate di felicitazioni per la riduzione della pena del marito e varie visite di congratulazioni. La polizia fiorentina intercetta la lettera e comunica la notizia al capo della polizia Senise, il quale ordina immediatamente alla Questura bergamasca di sorvegliare Ada in modo più attento e di identificare tutte coloro che le hanno dimostrato solidarietà. La coraggiosa e indomita opposizione di Ada al regime provoca la reazione rabbiosa dei fascisti bergamaschi, i quali sul finire del 1942, su iniziativa del federale Gino Gallarini, chiedono formalmente al Prefetto che venga preso nei confronti della antifascista “un radicale e opportuno provvedimento di polizia”. Per effetto di queste sollecitazioni, nel dicembre 1942 il prefetto di Bergamo convoca l’apposita Commissione Provinciale, la quale decide di inviare Ada al confino. In un primo tempo viene assegnata a Forino (Av), poi dal marzo 1943 a Melfi (Pz), per essere poi trasferita a Maratea (Pz) verso la metà del luglio 1943. Con la caduta del fascismo riacquista la libertà e riesce finalmente a ricongiungersi col marito dopo tredici anni di separazione. A Milano partecipano nell’agosto 1943 alla fondazione del Movimento Federalista Europeo (MFE) e ritornati a Bergamo partecipano alle prime fasi del movimento resistenziale. Le cattive condizioni di salute di Ernesto li costringono però a rifugiarsi in Svizzera nel settembre 1943, dove rimarranno fino agli inizi di aprile 1945. Durante l’esilio elvetico Ada coadiuva validamente all’attiva politica di Ernesto all’interno del Partito d’Azione e del MFE. Nel dopoguerra, i coniugi Rossi si trasferiscono definitivamente a Roma. Fino alla morte di Ernesto Rossi, avvenuta il 9.2.1967, Ada gli è sempre vicina, compagna inseparabile e paziente, sostenendolo anche nelle sue battaglie politiche. Con lui partecipa al Movimento Federalista Europeo, al Partito d’Azione e, in seguito, aderisce al Partito Radicale, cui resta legata anche dopo la morte di Ernesto. Vissuta sino agli ultimi tempi nella casa di piazza Jacini, circondata dalle carte e dai libri del marito, Ada Rossi si spegne in una casa di cura nella primavera del 1993. (R. Vittori)
Familiari
Rossi Carlo (padre)
Montanari Concettina (madre)
Rossi Gian Franco (fratello)
Rossi Anna Maria (sorella)
Rossi Bruna (sorella)
Morandi Carla (sorella)
Sorella nata dal secondo matrimonio tra Concettina Montanari e Carlo Morandi (secondo marito)
Rossi Ernesto (marito)
Luoghi di residenza
Bergamo Lombardia Italia (1918-1919 - 1943) Roma Lazio Italia (1945 - 1993)
Fatti notevoli
1931 - 1931
Nell'autunno 1931 partecipa all'organizzazione dell'evasione del marito Ernesto Rossi dal carcere di Piacenza in cui era stato trasferito il 24 novembre 1931. Evasione poi fallita per la delazione di un detenuto.
Sanzioni subite
perquisizione (1933/11/24 - 1933/11/24)
La sua abitazione viene perquisita dagli agenti dell'Ovra comandati dal commissario D'Andrea, capozona Ovra per l'Emilia-Romagna.
perquisizione (1935/11 - 1935/11)
Perquisizione della sua abitazione ad opera dell'Ovra.
confino politico (1942/12 - 1943/07/27)
Relaz. con altri soggetti
Tulli Enrico Ettore Angelo (comunista)
ASBg, Sovversivi
Teani Virgilio Giacomo Fermo (popolare)
ASBg, Sovversivi
Bauer Riccardo (giellista)
Rosselli Carlo (giellista)
Ceva Umberto (giellista)
Castrate Gerolamo (antifascista)
Sestri Elena
Battaggion Attilia (antifascista)
Battaggion Nino (antifascista)
Cavallera Vindice (antifascista)
Vajana Alfonso (antifascista)
Damiani Mario (repubblicano)
ACS, Cpc, b. 1602
Maffi Bruno (socialista)
ACS, Cpc, b. 2911
Albasini Scrosati Vittorio (antifascista)
ACS, Cpc, b. 43
Salvemini Gaetano (antifascista)
Quarti Bruno (antifascista)
Remuzzi Gianni (antifascista)
Remuzzi Carlo (antifascista)
Antonucci Gino (antifascista)
Barnaba Adolfo (antifascista)
In rubrica di frontiera
no
In bollettino ricerche
no
Esclusione dallo schedario
no
Documentazione allegata
fotografia di Gaetano Salvemini da lui inviata ad Ada Rossi nel 1935, dedicata e firmata sotto lo pseudonimo di "zio". La Questura di Bergamo sequestra la fotografia inviandola alla Questura di Milano il 3.6.1935 per l’identificazione e la riproduzione. Da Milano ne vengono sei copie, delle quali ne sono presenti quattro nel fascicolo. Lettera, strappata sul lato destro, datata 28.11.1942, inviata dal segretario Federale del Pnf di Bergamo Gino Gallarini al dr. Luigi Giannitrapani, prefetto di Bergamo.
Altre fonti archivistiche
(ACS-CPC) Archivio centrale dello Stato (Roma), Casellario Politico Centrale
Busta 4428, Fascicolo 116902
ISREC Bg, Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea di Bergamo, Fondi vari
Busta Carte Bruno Quarti, , Fascicolo 10, Ricordo di Bruno Quarti di Ada Rossi, 5 cc. dattiloscritte
Archivi storici dell’Unione Europea, Firenze, Fondo Ernesto Rossi
Busta 9, 15, 16, 17 Corrispondenza di Ada Rossi con i suoi parenti e con Ernesto Rossi (1930-1943), Fascicolo
Testimonianze
Cornelia Quarti detta 'Mimma'
intervistato da Angelo Bendotti e Giuliana Bertacchi il 1978/07/24
trascrizione in Archivio Isrec
Gino Battagion
intervistato da Rodolfo Vittori e Paolo Arnoldi il 2000/01/20
trascrizione in archivio Rodolfo Vittori
Parigi Salvo
intervistato da Vittori Rodolfo e Arnoldi Paolo il 2004/02/11
Trascrizione in Archivio Vittori Rodolfo
Riferimenti bibliografici
Barilli 2001
riferimento
Braga 2007
Fiori1997
Rossi 2001
Rossi 1975
Rossi 1968/a
Vajana 1955
Braga, Vittori 2017