Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Parre (Bg) il 6.1.1902, muratore, socialista, ha completato la terza elementare. Il padre Luigi, detto Simunì (e lo stesso appellativo passa anche ai figli), contadino, non è iscritto al Pnf. Ha tre fratelli e due sorelle, tutti nati a Parre: Pietro, iscritto al Pnf dal 1.7.1924, lavora come impiegato al comune di Parre in quanto mutilato nella prima guerra mondiale; Bortolo e Giovanni, entrambi contadini e non iscritti al Pnf, Maria e Giovanna. Giacomo viene arrestato dai Cc di Clusone il 27.1.1922 e la Pretura di Clusone il 24.3.1922 lo condanna a 75 giorni di reclusione col beneficio del perdono giudiziale, per furto qualificato. Cinque giorni dopo, il 29.3.1922, emigra in Francia. Il 23.3.1923 il Tribunale di Pontoise (dipartimento Val d’Oise, regione Île-de-France, a pochi chilometri da Parigi) lo condanna a 2 mesi di prigione e a 50 franchi di ammenda per furto. Il 4.6.1924 il Tribunale di Briey (dipartimento Meurthe-et-Moselle, regione Lorena) lo condanna a 40 giorni di prigione, 25 franchi di multa e 5 franchi di ammenda per violenze ad un agente. Il 16.10.1924 il Tribunale di Amiens (dipartimento Somme, regione Alta Francia) lo condanna a 6 mesi di prigione per furto. Nel 1927 rientra in Italia e, in seguito a perquisizione, gli viene trovata addosso la carta d’iscrizione ai sindacati unitari francesi per il 1926. L’iscrizione ai sindacati unitari è un fatto comune a moltissimi operai stranieri in Francia, per poter più facilmente trovare impiego e meglio difendersi dagli eventuali soprusi dei datori di lavoro. La carta d’iscrizione è conservata nel fascicolo. Il 21.12.1928 la Pretura di Clusone lo condanna a 20 giorni di reclusione per furto qualificato continuato. Il 5.7.1929 si trasferisce in Belgio e da qui clandestinamente di nuovo in Francia. Il 12.4.1930 la Corte d’appello di Parigi lo condanna a 8 mesi di prigione per truffa ed infrazione al decreto di espulsione. Rientrato in Italia dopo aver scontato la condanna, il 10.1.1932 il Tribunale di Bergamo lo assolve dall’accusa di lesioni per insufficienza di prove. Nonostante il vigente decreto d’espulsione ai suoi danni, torna in Francia sotto falso nome e il 26.2.1932 il Tribunale del dipartimento Seine-et-Oise lo condanna a 8 mesi di prigione per falsa dichiarazione d’identità personale e infrazione al decreto di espulsione. Scontata la condanna, il 15.12.1932 la Corte d’appello di Amiens lo condanna a un anno di prigione e a 100 franchi di multa per l’uso di un atto falso e per violazione al decreto d’espulsione. Non sconta tutta la pena ma è costretto a lasciare la Francia, spostandosi in Belgio per cercare lavoro. Nel dicembre 1933 si presenta al Consolato Generale italiano di Anversa, dichiarando di risiedere a Grobbendonk (provincia di Anversa) dove lavora, come molti altri italiani, alla costruzione del canale ‘Albert’ (Belgio nord-orientale) che unisce la Mosa (a Liegi), alla Schelda (ad Anversa), iniziata nel 1929 e completata nel 1939. Il 20.3.1934 il Consolato italiano di Anversa rilascia a Palamini il passaporto perché possa rimanere in Belgio e continuare a lavorare. Nello stesso 1934, come risulta da una nota del Consolato del 21.8.1934 in risposta ad una specifica richiesta del 28.2.1934 della Prefettura di Bergamo, lavora già da tempo per una ditta olandese nella costruzione del canale ‘Albert’ e viene giudicato un ottimo lavoratore. Il 13.5.1935, tuttavia, la Corte d’appello di Bruxelles lo condanna a 9 mesi di prigione e a 182 franchi di multa per furto. Non sconta l’intera pena e alla fine del 1935 viene espulso anche dal Belgio. Nel dicembre 1935 si stabilisce clandestinamente nei dintorni di Parigi, tenendosi nascosto per via dei decreti di espulsione degli anni precedenti. Nel gennaio 1936, attraversati i Pirenei, si reca a Barcellona, in Spagna, dove trova lavoro al porto come scaricatore. A Barcellona matura la decisione di arruolarsi volontario nelle milizie repubblicane: dal novembre 1936 all’aprile 1937 è nel battaglione Dimitrov e dall’aprile 1937 è sergente nel 3° battaglione della Brigata Garibaldi. Nella ricostruzione dei suoi movimenti in Spagna che farà nel gennaio 1940, al momento dell’interrogatorio a cui è sottoposto in Questura a Bergamo, Palamini cerca di ridimensionare la durata e l’impegno della sua esperienza spagnola, tacendo del suo arruolamento del novembre 1936 e affermando invece di essere entrato nelle file repubblicane solo nel giugno 1937 perché costretto a lasciare il posto ad uno spagnolo più anziano di lui, avendo in cambio la possibilità di continuare a lavorare nei servizi dell’esercito repubblicano: “Verso la fine di giugno 1937 fui sostituito nel lavoro del porto da uno spagnolo di classe anziana e fui incorporato col grado di sergente nella Brigata Internazionale Garibaldi, quale operaio militarizzato nella sussistenza”. Il 24.8.1937, durante la battaglia di Belchite (24.8 – 6.9.1937), determinata dalla controffensiva repubblicana seguita alla sconfitta nella battaglia di Brunete del luglio precedente, Palamini viene ferito alla coscia sinistra, che determina anche una significativa lesione all’articolazione del ginocchio. In un primo momento viene ricoverato all’ospedale di Lerida, poi in quello di Matarò, sulla costa catalana a nord di Barcellona, da dove viene dimesso l’8.5.1938, dichiarato inabile al servizio militare per l’anchilosi totale del ginocchio sinistro e per questo avviato verso la frontiera francese. Giunto a Parigi, si stabilisce in un albergo dove, grazie ai 100 franchi settimanali che gli vengono forniti dal Soccorso Rosso Internazionale, può dormire e consumare i pasti. Nell’aprile 1939 viene arrestato dalla polizia francese per via del decreto di espulsione nei suoi confronti ancora valido. Incarcerato, ai primi di settembre 1939 viene liberato dal carcere, torna all’albergo precedente ma, non potendo più contare sul sussidio del Soccorso Rosso, per vivere svolge qualche servizio per l’albergo stesso. Inoltre, all’indomani della scarcerazione, si arruola nella ‘Légion Garibaldienne F.M.’ (con sede a Parigi in rue de Rivoli, 224), una formazione nazionalista francese che si richiama nel nome ad un analogo raggruppamento presente in Francia durante la prima guerra mondiale, ora comandata da Camillo Marabini (Camerino, 1904 – Parigi, 1965). Il 18.12.1939 viene convocato nella sede della ‘Légion Garibaldienne’ per comunicazioni urgenti, che di fatto significa dover scegliere tra l’arruolamento nella Legione Straniera o l’accompagnamento coatto in Italia. Palamini rifiuta l’arruolamento e per questo viene accompagnato alla frontiera di Modane e da lì a Bardonecchia tra la fine del 1939 e il gennaio del 1940. Nel frattempo, cioè il 29.9.1939, poche settimane prima che Palamini rientri dalla Francia e venga arrestato alla frontiera, la Questura di Bergamo, nella pratica periodica di revisione dello schedario dei sovversivi, chiede informazioni su di lui alla compagnia dei Cc di Nossa (Bg), in vista di un’eventuale radiazione dallo schedario dei sovversivi. Sei giorni dopo, il 5.10.1939, il brigadiere Michele Fortunato, comandante della stazione dei Cc di Nossa, risponde dicendo di non aver alcuna notizia in proposito perché Palamini, da tempo all’estero, non ha mai scritto ai famigliari, osservando inoltre che non sono pervenute notizie o segnalazioni nemmeno da parte delle autorità consolari italiane in Francia e in Belgio. Il 30.9.1939, tuttavia, il Ministero dell’Interno, su informativa della missione militare italiana in Spagna dell'1.9.1939, aveva informato il prefetto di Bergamo che Palamini era stato ricoverato all’ospedale di Matarò. La notizia, esatta, dipende dal fatto che, in seguito alla sconfitta dell’esercito repubblicano, le forze franchiste avevano potuto mettere le mani su tutti i luoghi e le istituzioni, con relativi documenti, in precedenza in mano alle forze repubblicane, ospedali compresi. Di qui la segnalazione del caso di Palamini. Questi, come detto, rientra in Italia nel gennaio 1940. Fermato alla frontiera a Bardonecchia, viene tradotto alle carceri di Bergamo. Il 10.1.1940, nei locali della Questura di Bergamo, gli viene scattata la foto segnaletica in doppia posa, di fronte e di lato, che il 10.2.1940 viene inviata al laboratorio fotografico della ditta Terzi per eseguirne 4 copie, il che viene fatto il 12.2.1940. Il 16.1.1940 viene interrogato e messa a verbale la sua breve ricostruzione degli avvenimenti che lo hanno portato al rientro in Italia. In conclusione, Palamini fa mettere a verbale queste parole: “Prima di essere accompagnato alla frontiera fu domandato se ero compromesso politicamente col mio governo. Io risposi di no, perché questa è la verità e perché desideravo ritornare in patria”. Nel frattempo, in vista della comparizione davanti alla Commissione Provinciale, la Questura acquisisce dal Tribunale di Bergamo il suo certificato penale, conservato nel fascicolo. Il 25.1.1940 il questore Giuseppe Pumo invia a Francesco Ballero, prefetto di Bergamo nonché presidente della Commissione Provinciale per i provvedimenti di polizia, un rapporto su Palamini basato sulla dichiarazione resa da quest’ultimo il 16.1.1940. Nella conclusione del suo rapporto, il questore caldeggia l’assegnazione di Palamini al confino, ritenendolo un antifascista convinto e non credendo alla ricostruzione di Palamini, che tende a sminuire il suo coinvolgimento politico nella guerra di Spagna. Il 26.1.1940 gli viene formalmente comunicato che alle 9.30 del 31.1.1940 comparirà davanti alla Commissione Provinciale per i provvedimenti di polizia presso la Prefettura di Bergamo. In realtà la Commissione si riunisce due giorni dopo, il 2.2.1940, ed è composta dal prefetto, conte Francesco Ballero, dal procuratore del re Francesco Calcaterra, dal questore Giuseppe Pumo, dal console della Mvsn Guido Parenti e dal comandante del gruppo dei Cc.Rr., Ugo Marchetti. La condanna è di 5 anni di confino nella colonia penale di Ventotene in quanto “elemento pericoloso per l’ordine nazionale”. Durante l’interrogatorio, per cercare di ridimensionare la sua situazione Palamini afferma di aver preso parte alla guerra di Spagna per soli 40 giorni e di esserne uscito dopo essere stato ferito. Subito dopo l’arrivo al confino, chiede l’autorizzazione a corrispondere con i suoi famigliari (padre e fratelli), che viene concessa nel marzo successivo dopo il parere favorevole espresso dal comandante territoriale della compagnia dei Cc di Bergamo, capitano Mario Badoglio, e di conseguenza dal questore. Nel luglio 1940 presenta domanda di grazia. La direzione della colonia di Ventotene, oltre che al Ministero dell’Interno, si rivolge alla Questura di Bergamo per averne il parere e questa, a sua volta, chiede informazioni ai Cc locali, che il 19.7.1940 rispondono negativamente, perché l’eventuale atto di clemenza “nel pubblico produrrebbe cattiva impressione, poiché per i suoi pessimi precedenti morali e politici il Palamini è mal visto da tutta la popolazione di Parre. Gli stessi famigliari del confinato, che fu sempre poco affezionato e rispettoso per essi, ne resterebbero indifferenti”. Una situazione analoga, ma dall’esito positivo, si verifica nel mese di novembre 1941, quando Palamini chiede una licenza di qualche giorno per far visita al vecchio padre, di 78 anni. La stessa trafila burocratica giunge fino ai Cc locali, che il 13.12.1941 forniscono alla Questura di Bergamo notizie favorevoli sulla famiglia Palamini, che “risulta di buona condotta morale e politica”, esprimendo parere favorevole alla richiesta, parere espresso anche dalla Questura di Bergamo, “in via del tutto eccezionale”, il 16.12.1941. In seguito alla caduta del fascismo, Palamini lascia Ventotene per Gaeta il 10.8.1943 e da Gaeta parte per Bergamo l’11.8.1943 con l’obbligo di presentarsi entro 4 giorni al podestà di Parre, suo paese natale. Il viaggio di rientro a casa avviene in compagnia di Stefano Giovanni Marinoni, di Cerete Alto e a sua volta reduce dalla Spagna e liberato dal confino. Dopo l’8.9.1943 Palamini sale in montagna ed entra a far parte della Resistenza e insieme all’amico Modesto Seghezzi di Premolo (Bg), il caposquadra partigiano ‘Modesto’, entra a far parte della brigata ‘Camozzi’ al comando di Bepi Lanfranchi. Il 12.7.1944 Palamini, insieme a Luigi Salvoni e ad altri 10 uomini, scende da Valzurio, sede della banda partigiana, a Nossa e, con la minaccia delle armi, entra nell’abitazione di Alessandro Zanoletti, ispettore politico fascista di zona, e di altri due fascisti locali, prelevando tutti gli oggetti di valore rinvenuti, per una stima di 50.00 lire. Due giorni dopo, il 14.7.1944, inizia la rappresaglia nazi-fascista con il rastrellamento che porta i partigiani dislocati a Valzurio a disperdersi e allo scioglimento della banda. Palamini rimane sbandato e isolato nella zona. Il 5.9.1944, alle ore 16, gli agenti di PS Giulio Guizzetti e Francesco Duci, della Questura fascista repubblicana di Bergamo, nei boschi del monte Vaccaro (nei documenti di polizia viene designato come Vaccario), procedono al fermo di Palamini nel territorio di Nossa (Bg), dove si trova solo e senz’armi, non lontano da Parre, il suo paese. La ragione del fermo è così delineata nel rapporto dei due agenti della Questura: “segnalato quale elemento pericoloso ai danni dello Stato, della popolazione del Comune di Parre e per avere inoltre partecipato ad atti di rapina a mano armata nei confronti del Podestà e del Segretario Comunale di Nossa. Il controscritto ha partecipato a nuclei di ribelli. Al momento della sua cattura, però, trovavasi solo nel bosco e non era in possesso di armi. Il Palamini combattè in Spagna con le armate rosse di Negrin; già confinato politico, venne liberato in seguito agli eventi del 25 luglio 1943 e da allora ricominciò, come prima, a fare l’antifascista e il delinquente”. Al momento del trasferimento di Palamini alle carceri di Bergamo, il 6.9.1944, l’ispettore fascista Zanoletti scrive una lettera d’accompagnamento per il questore usando nei confronti di Palamini un linguaggio sprezzante e denigratorio. Il 2.11.1944, alle ore 16, viene interrogato nella sede dell’Ufficio Politico della Questura repubblicana fascista di Bergamo. Si dichiara apertamente di “principi socialistici e naturalmente contrario, come nel passato, al Regime Fascista”. Ricostruisce in breve la sua esperienza fino al momento del rimpatrio, della condanna al domicilio coatto a Ventotene e alla sua liberazione dopo il 25.7.1943, quando, raggiunto il territorio bergamasco, si unisce ad una banda partigiana comandata da ‘Massimo’ (cioè Bruno Amati) e da ‘Salvoni’, con la quale, mentendo, afferma di essere rimasto solo 8 giorni. Gli agenti di Ps che hanno fermato Palamini, nel loro rapporto al questore del 6.9.1944 non fanno riferimento al nome di ‘Massimo’ ma ritengono di identificare ‘Salvoni’ appunto con Luigi Salvoni, di Nossa, in quel momento ancora non rintracciato. Palamini, nell’interrogatorio, giustifica la sua scelta di aderire alla banda partigiana con il timore di essere nuovamente arrestato in quanto antifascista. Afferma inoltre di aver partecipato, con il gruppo partigiano, ad una sola rapina a mano armata, effettuata allo scopo di garantire la sopravvivenza alla banda stessa. La sede della banda era Valzurio ma, in seguito al rastrellamento fascista della zona, la banda è costretta ad allontanarsi e poi a sciogliersi. La cattura di Palamini, avvenuta agli inizi di settembre del 1944, viene comunicata al Ministero dell’Interno solo l’11.11.1944. Lo stesso Ministero reagisce con estrema lentezza, tanto che risponde solo il 28.2.1945 chiedendo ulteriori notizie sulla cattura. Il questore fascista repubblicano Pier Luigi Casadei, in carica a Bergamo dal 10.7.1944, scrive al responsabile dell’Organizzazione Todt di Bergamo, Nemeth, al quale mette a disposizione Palamini (in quel momento nelle carceri giudiziarie di Bergamo) per l’invio in Germania. Muore a Parre nel 1980. Cpc, b. 3666, 1939-1943. (G. Mangini, R. Vittori)