Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Bergamo il 23.1.1909, operaio siderurgico, magazziniere, celibe, alfabeta, antifascista. Risiede a Bergamo in via Luzzatti 43 con la madre, la sorella Clotilde, i fratelli Giovanni e Lorenzo. Non è iscritto al Pnf e non ha mai fatto parte di organizzazioni fasciste. É stato più volte picchiato dagli squadristi, come riferisce Gino Gallarini, federale fascista di Bergamo, scrivendo nel settembre 1942 al Ministero degli interni: "Di sentimenti notoriamente antifascisti, ha sempre frequentato compagnie politicamente equivoche; non ha mai potuto soffrire la presenza di fascisti, dei quali ha più volte saggiato la giusta reazione in varie circostanze". Dal giugno 1935 è in Africa Orientale per lavoro, ma nel gennaio 1936 rientra con foglio di via obbligatorio per 'indisciplina'. Per questo, l'11.5.1936 a Bergamo vengono scattate le foto segnaletiche presenti nel fascicolo. Denunciato il 10.5.1937 al Tribunale di Bergamo per avere acquistato merci "di provenienza sospetta", evita condanne per amnistia. Il 28.2.1942 e il 2.3.1942, durante la trasmissione radiofonica delle 20.20 dedicata ai commenti dei fatti del giorno, pronuncia frasi di scherno all'indirizzo del commentatore e dei suoi argomenti, perciò viene "naturalmente subito tradotto alla Sede del vicino Gruppo Rionale e trattato squadristicamente". Pochi giorni dopo, la madre di Rota "ebbe a investire la moglie di un gerarca del Gruppo Rionale Fascista 'Virgilio Nava' con parole offensive all'indirizzo suo, del marito e di altri fascisti del Gruppo, colpevoli di aver più volte denunciato, provocando sanzioni squadristiche a suo carico, il proprio figlio Antonio reo di intollerabili manifestazioni antifasciste". Esonerato dal servizio militare perché occupato in uno stabilimento ausiliario, il 27.4.1942 viene privato dell'esonero, chiamato alle armi dal Distretto militare di Bologna e destinato al 439° Battaglione Costiero di stanza a Budrio (Bo) e, dall'8.5.1942, trasferito a Riccione (Fo, ora Rn). Qui, nella notte tra il 26 e il 27.8.1942, in località 'Abissinia', a circa 400 metri dal capanno del Duce, scrive frasi antifasciste sulla sabbia a 2 metri dalla riva ("Mussolini e gregari che Dio gli mandi un cancro") approfittando del servizio di sentinella e pattuglia sulla spiaggia tra Riccione e Misano. In precedenza aveva commentato sfavorevolmente la guerra delle potenze dell'Asse, dichiarando che la Russia è imbattibile e ancor di più l'Inghilterra e Stati Uniti. Arrestato, dal 31.8.1942 è detenuto in attesa di giudizio. Nell'interrogatorio dei giorni successivi alla scoperta delle scritte, si assume la responsabilità dell'accaduto confessandosi autore delle scritte. Nel rapporto riassuntivo alle questure competenti, redatto il 6.9.1942 dal commissario di Ps di Cesena cav. dr. Rocco Parlagreco, "premettendo di essere stato negli anni 1928 e 1929 iniziato alle idee comuniste da due noti sovversivi bergamaschi (certo Panzera ora deceduto e Barcella Vittorio, convertitosi successivamente al fascismo) e di avere frequentato negli anni 1940-1941 due esercizi pubblici di Bergamo, in cui si davano convegno alcuni gruppetti di antifascisti", Rota "finiva per rendere ampia confessione". Il 17.12.1942 viene condannato dal Tribunale Speciale a 12 anni di carcere militare per disfattismo politico e offese all'onore del capo del Governo. Con lui viene condannato anche il soldato Pietro Tammiso (di Giovanni e Carmela Fago, n. ad Andria, Bari, il 23.3.1909), meccanico tubista residente a Milano, sposato con un figlio, condannato a 8 anni per imputazioni analoghe a quelle di Rota, avendo scritto "Abbasso il Duce - A morte il Duce affamatore del popolo" la settimana precedente a quella della scritta di Rota. Questi è detenuto nel carcere militare di Montesarchio (Bn). Nel gennaio 1943 chiede di poter corrispondere con la madre, la sorella, i fratelli e con due zii. Dopo aver assunto informazioni su questi ultimi, il permesso viene accordato. Era ancora detenuto a Montesarchio il 6.9.1943. Nel fascicolo è conservata una sua fotografia in doppia posa dell'11.5.1936. Cpc, b. 4467, 1942-1943. (G. Mangini)