Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Berbenno (Bg) il 19.11.1887, sacerdote, antifascista. Ha 6 fratelli e una sorella, Maria Teresa, che gli starà sempre accanto seguendolo nei luoghi della sua attività pastorale. Viene ordinato sacerdote il 10.6.1911. Prende parte alla prima guerra mondiale in Sanità, prima a Milano e poi al fronte. Dopo essere stato coadiutore a Valbrembo (Bg), dal luglio 1932 il vescovo Luigi Maria Marelli (1915-1936) lo nomina parroco di Colzate (Bg). Dopo un anno dal suo arrivo, si verifica il primo di una lunga serie di episodi di attrito con i fascisti del paese, ricostruito sulla base di due distinti documenti: il rapporto alla Prefettura del 14.7.1933 redatto dal capitano Luigi Anguissola dei Cc di Bergamo e il documento del 15.7.1933 con cui il prefetto di Bergamo Luigi Cambiaggio invia alla Questura la nota informativa ricevuta dal comando di legione della Mvsn fascista. ll contesto dell’episodio deriva dal fatto che nel periodo estivo il territorio di Colzate (Bondo, il monte Cavlera, ecc.) è meta frequente di gruppi dopolavoristi in gita, molti dei quali nei primi giorni del mese di luglio si raccolgono nel santuario di San Patrizio per partecipare alla Messa in memoria del giovane fascista Pietro Poli, per poi deporre una corona sulla sua tomba. Poli era un diciottenne nativo di Colzate, morto in Francia l’8.7.1924: ucciso da antifascisti, il suo nome viene compreso nella categoria tipicamente fascista dei ‘martiri’. É appunto nei primi giorni del luglio 1933 che don Locatelli affronta il podestà del paese, Camillo Airoldi (1931-1940), lamentandosi di due fatti: l’abbigliamento a suo dire eccessivamente scoperto di molte donne e, soprattutto, la retorica dei ‘martiri’ fascisti. Riguardo al primo aspetto, come riferisce il comando Mvsn al prefetto, don Locatelli ritiene che “alcune donne facenti parte delle comitive vestite in abiti da montagna e con le braccia nude davano un continuo ed immorale spettacolo alla modesta e umile popolazione della zona” mentre, riguardo al secondo e più significativo aspetto, esprime un commento che abbandona il piano della reprimenda morale per trasformarsi, con un improvviso scarto logico, in una considerazione apparentemente religiosa ma dal chiaro significato ‘politico’: “Sarebbe ora di finirla che Milizia, fasci ed altre organizzazioni si rechino alla tomba del Poli, e sarebbe anche meglio che tralasciassero di recarsi ad onorare la salma di un caduto in quel modo, perché i caduti fascisti non si debbono considerare martiri ma che solamente tali sono quelli della Chiesa”. Affiora qui, per la prima volta dal suo arrivo a Colzate, una convinzione di don Locatelli: le funzioni religiose e le istituzioni ecclesiastiche non sono in alcun modo subordinate ai riti collettivi fascisti. Coerentemente con ciò, il sacerdote “invitava il Podestà a provvedere far cessare queste continue manifestazioni che con canti e suoni disturbano le regolari funzioni religiose della domenica, diversamente avrebbe dal pulpito fatto conoscere ai suoi parrocchiani le sue intenzioni e come regolarsi in simili circostanze. Risulterebbe che alcuni giorni dopo il Parroco si sarebbe scusato col Podestà dicendo che quanto ebbe a dire fu solamente per le continue proteste e lamentele avanzate da alcuni giovani del circolo e dai suoi parrocchiani”. Nonostante le scuse, il 14.7.1933 i Cc inviano al prefetto, come detto, il loro rapporto su don Locatelli, nel quale non mancano di mostrare stupore, dato che il sacerdote “trovasi a Colzate dal mese di luglio 1932 e durante tale tempo ha tenuto buona condotta morale e politica, mantenendosi sempre in buone relazioni colle autorità politiche e amministrative. Si dimostrò sempre favorevole al Regime, e più di una volta fu udito predicare esaltando l’opera del Duce e del Governo Fascista”. Avvalendosi dei documenti conservati nell’Archivio Storico Diocesano di Bergamo, nel suo volume del 2018 ‘Ho fatto il prete’ la storica Barbara Curtarelli mostra la difficile situazione in cui don Locatelli si trova a Colzate, dove tenta di sottrarsi da un lato alla pervasività della presenza fascista e dall’altro di introdurre forme autonome di aggregazione civile, legate alla Chiesa e non al partito fascista (p. 82): “Don Locatelli ebbe problemi con i colzatesi fin dal suo arrivo in parrocchia ed ebbe difficoltà negli anni successivi a fare sorgere e sviluppare le organizzazioni dell’Azione cattolica”. La posizione di don Locatelli si fa più difficile durante la seconda guerra mondiale. Secondo il rapporto dei Cc della compagnia di Bergamo Esterna, firmato dal sottotenente Sergio Caleffi e inviato il 7.1.1942 al Comando dei Cc e alla Questura di Bergamo, il 30.11.1941 don Locatelli “parlando ai fedeli convenuti in chiesa per la dottrina, tra l’altro fece osservare che l’odio è uno dei modi per andare all’inferno, poiché esso viene da Satana, mentre da Cristo viene solo l’amore e che pertanto i combattenti imbevuti di odio, moriranno dannati. Nella circostanza deplorò anche la campagna di odio contro gli inglesi fatta dalla propaganda italiana, asserendo che il soldato deve combattere senza odio. Vera è risultata anche la raccomandazione fatta alle donne della parrocchia di non andare né mandare le figlie al cinema del dopolavoro a motivo che si danno ivi spettacoli immorali. Anche l’inchiesta fatta dal Sig. Questore di Bergamo, in merito ai fatti sopra descritti, fu mal sopportata dal detto parroco, il quale durante la predica fatta in chiesa nella domenica successiva, asserì che, dipendendo egli soltanto dall’Autorità ecclesiastica, null’altra autorità poteva imporgli di modificare le sue prediche”. Pertanto, in considerazione del fatto che don Locatelli è molto amico del parroco di Vertova, don Bartolomeo Ferrari (b. 38), a sua volta antifascista e a sua volta protagonista, la settimana precedente, di una predica molto simile, e del fatto che “non è stimato né ben visto nell’ambiente fascista e politico del luogo a causa del suo marcato atteggiamento ostile al Partito”, viene proposto per un provvedimento di polizia. Come se non bastasse, il segretario federale fascista di Bergamo, Gino Gallarini, il 13.12.1941 scrive al prefetto, naturalmente senza citare la fonte dell’informazione che gli trasmette: “Il parroco di Colzate, Don Angelo Locatelli, nella omelia della prima messa di domenica 7 c.m. così si esprimeva: «Come vedete S. Giovanni Battista fu cacciato in prigione perché aveva osato dire la verità al suo Re. Così capita al giorno d’oggi. Quanti innocenti si trovano in prigione per aver detto parole di verità mentre fuori vi sono tante persone che meriterebbero la galera. Come certuni pretenderebbero ch’io abbia a far delle prediche a modo loro. Lo si sappia che per me non vi sono né Re, né Prefetti, né Questori, né Giudici che possano farmi delle osservazioni su ciò che predico, ma soltanto l’autorità ecclesiastica. E quell’ignorante che crede di sapersela tanto lunga impari prima a mettere in pratica i comandamenti di Dio»”. Così, il ‘disfattista’ don Locatelli il 12.1.1942 viene ammonito. Ciononostante, il sacerdote non modifica in nulla il suo comportamento, come rileva risentito il tenente colonnello dei Cc di Bergamo Ugo Marchetti nel suo rapporto alla Prefettura di Bergamo del 25.2.1942: “Era da ritenere che si grave punizione avesse consigliato don Locatelli a mantenersi almeno più riservato e prudente nel manifestare le sue idee politiche; invece egli sta dimostrando di non preoccuparsi della sanzione adottata nei suoi confronti dalle autorità e, dando sfogo al suo carattere irascibile, puntiglioso, aspro e qualche volta anche violento, forse perché aggravato dalla sua tendenza all’abuso di bevande alcooliche, non si è peritato, in quest’ultimo scorcio di tempo, di lanciare nuovamente dal pulpito sarcastiche allusioni, giustamente rilevate dai fascisti del luogo come espressione dei suoi radicati sentimenti ostili al Partito. Infatti, il giorno 8 del corrente mese, durante la prima messa delle ore 6, don Locatelli, nello spiegare ai fedeli il Vangelo, ebbe a dire: «quando si tratta di venire in chiesa, la voglia è poca, ma tutti corrono quando si tratta di andare a certe riunioni per sentire dei ciarlatani». Aggiungendo poi «ride bene chi ride ultimo». Tale frase fu ritenuta allusiva ad una riunione di fascisti e cittadini che era stata indetta, dal segretario politico del luogo, nel pomeriggio del giorno 7, nel salone della Gil di Colzate, che, all’ultimo momento, fu rimandata siccome l’oratore incaricato della Federazione dei Fasci, dottor Miglietti, non giunse per avvenuto guasto della automobile che lo trasportava”. Affinché i Cc, nel testo del loro rapporto al prefetto, possano citare alla lettera alcune frasi pronunciate da don Locatelli durante la funzione religiosa, è necessario che abbiano a loro disposizione la testimonianza di qualcuno presente nella circostanza. In effetti, nel rapporto dei Cc vengono citati come testimoni i fascisti Guglielmo Poli e Ippolito Gusmini “che si trovavano presenti nella chiesa quando furono pronunziate, come risulta dagli uniti processi verbali d’interrogatorio”, svolti nella stazione dei Cc di Gandino (Bg) e presenti nel fascicolo, rispettivamente con la data del 14.2.1942 e del 22.2.1942. La stessa situazione si presenta anche la domenica successiva, 15 febbraio 1942, quando don Locatelli, “mentre spiegava il Vangelo durante la messa delle ore 6, uscì col dire «Alle manifestazioni politiche accorrete tutti, quella di oggi è quasi una manifestazione politica perché c’è la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore di Gesù. Voi direte perché io non parli mai dei nostri soldati: io non parlo dei soldati per non aver delle noie, intanto mi ricordo tre volte al giorno nella messa e nell’ufficio per pregare per loro e per la Patria e per la Vittoria e sarebbe meglio che anche tanti altri si ricordassero dei soldati come faccio io pregando e non ricordarsi come fanno loro, con bottiglie e biscotti»”. Anche in questo caso ci sono i testimoni diretti, cioè i fascisti Angelo Gualdi, Valentino Solari e Giuseppe Gusmini, che il 20.2.1942 (i primi due) e il 21.2.1942 (il terzo) nella stazione dei Cc di Gandino nei rispettivi verbali, pure presenti nel fascicolo, riferiscono al maresciallo Umberto Baldassarre quanto detto dal sacerdote. Nella parte conclusiva del rapporto dei Cc viene formulata la richiesta di allontanamento dal paese di don Locatelli: “La popolazione di Colzate, religiosa e superstiziosa, non osa protestare apertamente contro il suo parroco; per questo motivo non si trova facilmente chi sia disposto a riferire quello che sente pronunziare da lui in contrasto con il clima politico fascista. Certo è, però, che l’allontanamento di don Locatelli sarebbe ben accolto nell’intimo di ognuno e riuscirebbe provvedimento quanto mai opportuno, perché il suo cocciuto atteggiamento è dannoso perché sta fomentando in quelle operose e credenti popolazioni rurali il senso di sfiducia nei riguardi del Partito Fascista e quindi degli stessi ordinamenti dello Stato. Qualora non fosse possibile ottenere l’allontanamento di don Locatelli da Colzate, questo comando ravviserebbe necessario che egli fosse nuovamente diffidato, allo scopo di tentare ancora di farlo emendare per evitare così di dover giungere all’adozione, nei suoi confronti, di un più grave provvedimento di polizia. Ciò anche, per prevenire incidenti, spiacevoli nei riguardi dell’ordine pubblico e dello stesso prestigio del Clero”. A seguito di ciò, don Locatelli viene convocato in Questura a Bergamo, dove il 27.2.1942 gli viene chiesto conto delle affermazioni riferite dai testimoni citati, a ciascuna delle quali il sacerdote ribatte punto per punto: “1° Non è vero che l’8 febbraio io abbia detto la frase, predicando, «Quando si tratta di venire in Chiesa la voglia è poca, ma tutti corrono quando si tratta d andare a certe riunioni per sentire dei ciarlatani»; ritengo che l’addebito voglia riferirsi invece alla mia predica del giorno 15, nella quale esortando il popolo a partecipare alla funzione religiosa del pomeriggio, pro soldati e pro vittoria, pregai caldamente un forte intervento ed ebbi a dire «quelli che abitualmente non partecipano alle funzioni pomeridiane, accorrerebbero invece a curiosare se venisse un piazza un ciarlatano a decantare la propria merce; quando vi sono cerimonie politiche vedo con piacere che accorrete in massa, come richiedono ordine e disciplina; oggi la cerimonia religiosa riveste un carattere patriottico e perciò vi attendo tutti»”. 2° “La frase «ride bene chi ride ultimo» non fu da me pronunziata nella circostanza suindicata, che, del resto, non avrebbe avuto alcun significato; non escludo che possa averla detta in altre occasioni, riferendomi ad altri argomenti”. 3° “E’ vero che io ho detto «Non parlo dei soldati perché l’ultima volta che ne parlai ebbi noie, pure ricordo i soldati ogni giorno nelle mie preghiere, ricordo questo che ritengo più proficuo per loro di quello che si suol fare, brindando tra bottiglie e bicchieri». Con queste ultime parole intendevo riferirmi al modo abituale di accomiatarsi dei miei parrocchiani dai soldati partenti”.
La vigilanza dei fascisti su di lui è continua, ma Don Locatelli prosegue nel suo atteggiamento intransigente e non manca di far sentire dal pulpito la sua posizione critica nei confronti del governo fascista. Le sue parole sono attentamente ascoltate e i suoi movimenti sorvegliati dai fascisti locali. Ad ogni messa celebrata da don Locatelli c’è sempre la turnazione di alcuni parrocchiani incaricati di ascoltare e riferire il contenuto di ogni predica. Chi è particolarmente attento nei suoi confronti è il federale Gino Gallarini che, come si ricorderà, già nel dicembre 1941 si era rivolto stizzito al prefetto segnalando le parole di un’omelia di don Locatelli. Il 16.9.1942 Gallarini indirizza, questa volta al questore, un’altra lettera ‘riservata’ su carta intestata della segreteria politica del Pnf di Bergamo: “Viene segnalato che Don Angelo Locatelli, parroco di Colzate, sottoposto, com’è noto, al provvedimento dell’ammonizione ai sensi della Legge di P.S., e, come tale, tenuto a chiedere preventivamente l’autorizzazione alla locale autorità di P.S. prima di allontanarsi dalla propria residenza, non si è mai attenuto né si attiene a tale precisa disposizione. Il giorno 14 corrente, ad esempio, Don Locatelli si è nuovamente portato a Bergamo senza chiedere a nessuno il permesso di prescrizione”. Sul testo della lettera di Gallarini, a lapis e di traverso rispetto ai caratteri battuti a macchina, c’è un interessante appunto manoscritto del questore, che si configura come una risposta: “Si è recato dal vescovo per ragioni del suo ministero e lo poteva”. Su istanza dello stesso don Locatelli e grazie all’intervento del vescovo Bernareggi presso il prefetto, il 14.10.1942 l’ammonizione viene revocata. Pochi giorni dopo, il 12.11.1942, don Locatelli scrive al vescovo Adriano Bernareggi (1936-1953) una lettera – conservata presso l’Archivio Storico Diocesano di Bergamo e citata nel volume di B. Curtarelli già ricordato – nella quale si coglie bene la strategia usata nei suoi confronti dai fascisti: “basta considerare soltanto il lato della sorveglianza imposta: comandata dall’alto e fedelmente eseguita dai zelanti gregari locali, fu severa, ostinata, ininterrotta sia sulle parole mie tanto in chiesa che fuori, sia sui passi e contegno ma soprattutto su qualsiasi parrocchiano ardisse avvicinarmi per conferire o richiedere la mia opera, [allontanato] perché comunicava con un prete ammonito”. La logica dell’atteggiamento fascista verso don Locatelli è molto chiara: attraverso la sorveglianza nei suoi confronti e l’intimidazione verso i parrocchiani, l’obiettivo è quello di fare terra bruciata intorno a lui, cioè di impedire la comunicazione tra il sacerdote e la popolazione, in quella “fascistissima Colzate dove sono fascisti i neonati e le vecchie di ottant’anni”, come orgogliosamente si esprime Camillo Airoldi, segretario politico del Pnf di Colzate, scrivendo al federale Gallarini il 12.1.1943. Questa lettera, secondo la successiva testimonianza dello stesso don Locatelli, è stata ritrovata “tra le fumanti rovine del fascio di Colzate” dopo il 25.7.1943. Dopo la costituzione della Rsi nel settembre 1943, però, don Locatelli deve di nuovo fare i conti con il fascismo, in particolare deve difendersi dall’accusa che gli è sempre stata rivolta, e cioè che “abusando della sua veste talare, compie dal pulpito, dal confessionale e dall’oratorio deleteria opera disfattista e disgregatrice”, a cui si aggiunge il nuovo fatto che “nel periodo badogliano in Colzate sarebbe stato fra gli animatori delle manifestazioni antifasciste”. Siamo alla fine del giugno 1944 e quelle qui sopra riportate sono le ragioni dell’atto di accusa nei confronti di don Locatelli contenute nel documento redatto dall’avvocato Egidio Moleti di Sant’Andrea, nominato il 13.5.1944 quale Pubblico Accusatore presso il Tribunale Provinciale Straordinario di Bergamo in sostituzione dell’avvocato Calisto Cova, che a sua volta era subentrato al prof. Mario Rasi il 10.2.1944. Tuttavia, la sentenza finale contenuta nel documento, datata 9.7.1944, è di assoluzione per mancanza di prove perché, con una motivazione assai significativa, “il giudicante non ritiene di dover trasmettere il fascicolo degli atti processuali alla Procura di Stato essendo politicamente inopportuno, dati i documenti di natura riservata in esso contenuti”. É difficile dire quali siano i “documenti di natura riservata” a cui il Pubblico Accusatore Moleti si riferisce, forse a quelli legati ai rapporti con il vescovo di Bergamo. Il passo indietro dal punto di vista giudiziario, tuttavia, dal punto di vista fascista non significa affatto l’assenza di provvedimenti contro don Locatelli, dato che il fascicolo con gli atti processuali viene rimesso “al Capo della Provincia di Bergamo con la proposta di prendere un provvedimento di polizia a carico di questo sacerdote”. Così, il 10.8.1944 don Locatelli viene diffidato in Questura a Bergamo dal vice-commissario di Ps Adolfo Morbidelli. Il mese prima, il 14.7.1944, a Colzate arrivano i fascisti della Repubblica Sociale Italiana, la compagnia OP – Ordine Pubblico comandata da Aldo Resmini, fanno uscire di casa la popolazione a colpi di mitra, minacciando di radere al suolo il paese. Lo stesso Resmini costringe con la forza don Locatelli ad uscire semisvestito dalla canonica. Nel dopoguerra questa vicenda è stata raccontata dallo stesso sacerdote all’amico don Bartolomeo Ferrari, che la riporta nel libro “Vertova. Appunti di storia e cronistoria” edito ad Albino nel 1947 e citato nello studio di B. Curtarelli (p. 393): “mezzo vestiti, a piedi nudi sul piazzale della Chiesa. [...] In breve la piazza è rigurgitante di gente spaventata, atterrita: di donne coi capelli disciolti, di bambini piangenti, attaccati al collo delle loro madri, di ragazzi che si stringono attorno ai vecchi, di uomini attempati che cercano di dire qualche parola di conforto e di incoraggiamento, [...] fra le grida di spavento della gente, le imprecazioni dei repubblicani e il crepitìo dei colpi di mitra”. Questa stessa vicenda è raccontata anche nel secondo volume dell’opera di Giuseppe Belotti, I cattolici di Bergamo nella Resistenza, pubblicato da Minerva Italica nel 1989. A guerra finita, nel novembre 1945 don Angelo scrive al suo vescovo chiedendo il trasferimento ad altra parrocchia. Morto a Berbenno l’8.1.1967. (G. Mangini)