Rossi Ernesto


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n. busta
101
n. fascicolo
3039
Primo estremo
1927
Secondo estremo
1943
Cognome
Rossi
Nome
Ernesto
Presenza scheda biografica
no
Luogo di nascita
Data di nascita
1897/08/25
Luogo di morte
Roma
Data di morte
1967/02/09
Livello di istruzione
laurea Giurisprudenza
Professione
insegnante
Collocazione politica
Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Caserta il 25.8.1897 quarto di 7 figli, da Antonio, ufficiale dell’esercito di origine piemontese, e da Elide Verardi, bolognese. Trasferitosi quasi subito a Firenze, vive la fanciullezza e la giovinezza nel capoluogo toscano, conseguendo la maturità classica al liceo 'Galilei' nel 1915. Inizialmente neutralista, tra la fine del 1914 e l’inizio del 1915 aderisce alle posizioni dell’interventismo democratico e partecipa come volontario al primo conflitto mondiale, rimanendo gravemente ferito il 13.5.1917 durante le prime fasi della decima offensiva dell’Isonzo. Al termine del conflitto viene congedato, si laurea in Giurisprudenza e si avvicina ai movimenti combattentistici e nazionalisti, in particolare ai Fasci di combattimento mussoliniani, scrivendo oltre una ventina di articoli, in prevalenza di carattere economico, dal marzo 1919 al novembre 1922, per il quotidiano di Mussolini «Il Popolo d’Italia». Sul finire del 1919, nel pieno della campagna nazionalista contro la “vittoria mutilata”, il giovane Rossi conosce lo storico Gaetano Salvemini. A lui si lega in un rapporto di grande affettività e confidenza, (Salvemini lo definiva il suo “primogenito”), che lo indusse ad abbandonare, seppur gradualmente, le idee nazionalistiche e la collaborazione al quotidiano di Mussolini, per abbracciare, in prossimità della marcia su Roma, il radicalismo liberal-democratico. Le elezioni politiche del 1924, i brogli elettorali e le continue violenze contro gli antifascisti, culminate con l’assassinio del leader socialista Giacomo Matteotti, imposero a Rossi, Salvemini e a tutto l’ambiente liberal-democratico fiorentino una scelta politica che li condusse senza esitazioni sul terreno della lotta aperta al regime. Dopo aver aderito all’Unione Nazionale del liberale Giovanni Amendola, Rossi è tra i promotori a Firenze di “Italia Libera”, l’associazione clandestina di ex combattenti, il cui programma consisteva essenzialmente nel raccogliere le forze antifasciste disponibili a diffondere la disobbedienza civile e ad organizzare azioni dimostrative per ottenere la caduta del fascismo. Nello stesso periodo 1924-1925 Rossi fornisce un contributo importante all’ideazione e alla realizzazione del primo foglio antifascista clandestino, il «Non Mollare» e, con Nello Traquandi, si occupa di tenere i contatti con le tipografie fiorentine che, sfidando i controlli polizieschi, stampavano il giornale in 2-3000 copie, distribuite clandestinamente in varie regioni italiane attraverso la rete organizzativa di 'Italia Libera', con la collaborazione di molti antifascisti di ogni colore politico. L’arresto di alcuni militanti avvenuto nella primavera del 1925 e la delazione del tipografo fiorentino Renzo Pinzi, costrinse Rossi ad espatriare in Francia nel giugno 1925 e a trascorrere un breve periodo di esilio a Parigi fino all’inizio di ottobre. Nella capitale francese Rossi sopravvive stentatamente con l’aiuto finanziario di Carlo Rosselli, aiutandosi con qualche lavoro precario e collaborando con l’ambiente del fuoruscitismo democratico. Insofferente per questa condizione di inattività, sfruttando le opportunità offerte da un concorso scolastico per cattedre di scienze giuridiche ed economiche per gli istituti tecnici commerciali e dall’estinzione dell’azione penale nei confronti suoi e di Salvemini in seguito all’amnistia concessa dal governo Mussolini per salvare i responsabili del delitto Matteotti, decide di rientrare in Italia, confidando nelle omonimie così frequenti del suo nome e nell’inefficienza degli organi di polizia addetti al controllo delle frontiere. In breve tempo riesce a presentare la domanda al concorso e, agli inizi di ottobre 1925, dopo essersi reso meno riconoscibile, lascia Parigi e rientra in Italia. Il 20.10.1925 a Roma sostiene la prova scritta del concorso passando del tutto inosservato. Superata brillantemente anche la prova orale, ottiene il primo posto nella graduatoria finale, grazie al quale può scegliere la sede che preferisce. Scartata l’ipotesi di tornare a Firenze, in quanto i fascisti aspettavano il suo ritorno per vendicarsi anche di lui, cerca di individuare un luogo situato nell’Italia settentrionale dove la sua identità fosse sconosciuta. Fra i vari luoghi esaminati, la città di Bergamo era quella che garantiva tutte queste caratteristiche: una tranquilla città di provincia, in cui nessuno lo conosceva, ma al tempo stesso non gli era del tutto ignota, perché la madre vi aveva trascorso l’adolescenza e la prima giovinezza, inoltre era situata a solo un’ora di treno da Milano, che contava ancora vari gruppi di opposizione antifascista, fra cui quelli di ispirazione liberal-democratica, più vicini al suo orientamento politico. Senza contare che dalla città ambrosiana ci si poteva spostare facilmente in tutta l’Italia centro-settentrionale e raggiungere le principali capitali d’oltralpe. Verso la fine di dicembre 1925, Rossi si trasferisce a Bergamo per prendere servizio presso il Regio Istituto Tecnico “Vittorio Emanuele II”, usando tutte le precauzioni possibili per far perdere le proprie tracce ai fascisti fiorentini e agli organi di polizia. Nel secondo dopoguerra Rossi affermerà in varie occasioni che la frequente omonimia di cui godeva il suo cognome e le misure precauzionali adottate avevano fatto sì che la sua presenza a Bergamo passasse inosservata agli organi di polizia fino all’estate 1930, e che il suo arresto fosse dovuto solamente alla delazione di un affiliato a 'Giustizia e Libertà', l’avvocato Carlo Del Re. Le carte di polizia conservate all’Archivio di Stato di Bergamo dimostrano invece una situazione del tutto diversa da quella ipotizzata da Rossi, che smentisce la sua convinzione di essere rimasto sconosciuto agli organi di polizia locali e di non essere stato oggetto di alcuna misura investigativa. L’incrocio dei documenti della Questura di Bergamo con la documentazione raccolta da altre fonti documentarie e storiografiche, consente una ricostruzione dettagliata e inedita dell’azione antifascista di Rossi (1926-1930) e del successivo periodo di detenzione carceraria e del confino (1930-1943). A riprova delle supposizioni erronee di Rossi, alcuni documenti ufficiali confermano che le Questure di Firenze e di Bergamo erano a conoscenza del suo arrivo nel capoluogo orobico: infatti in una lettera del 10.12.1926, in risposta alla nota 016154 della Questura fiorentina (oggetto Rossi Ernesto), i funzionari bergamaschi rispondono che Rossi risiede in Bergamo dal dicembre 1925, che finora non ha dato luogo a rimarchi, “conduce vita ritirata e non si interessa di politica”. Segue descrizione fisica e in allegato una sua fotografia. Si capisce che gli agenti hanno informato e interrogato il Preside della scuola ove insegnava Rossi e che costui avrebbe “dichiarato che, da quanto ha potuto assodare, il Rossi non nutre certo sentimenti favorevoli al regime. [...] Egli fa il suo dovere e non dà luogo a rilievi.” Inoltre il dirigente scolastico si impegna a tenere “il Rossi sotto rigida tutela”. Con tutta evidenza emerge che la squadra politica della Questura di Bergamo, almeno dalla fine del 1926, è al corrente della sua presenza in città e ne conosce esattamente – tramite apposite informative della Questura di Firenze – i trascorsi antifascisti. Per sua fortuna le procedure di sorveglianza si limitano alla raccolta di informazioni soprattutto sul posto di lavoro e presso il suo alloggio, all’effettuazione di controlli circoscritti ad un ambito territoriale limitato, condotti in modo piuttosto superficiale, senza compiere pedinamenti e investigazioni soprattutto a Milano, l’epicentro dei suoi contatti con gli ambienti dell’opposizione antifascista. Infatti dalla corrispondenza con Salvemini apprendiamo informazioni sulla “doppia vita” di Rossi: al mattino veste i panni di insegnante irreprensibile; al pomeriggio, dopo trasferimento in treno a Milano, quelli di promettente studioso di economia presso la biblioteca dell’Università Bocconi sotto la direzione di Luigi Einaudi e alla sera quelli del cospiratore intento a costruire una rete antifascista democratica con diramazioni in varie località dell’Italia centro-settentrionale, cosa di cui la polizia fino al 1929 non sospetta minimamente, nonostante i controlli effettuati. Nella primavera 1926, nel tempo libero lasciatogli dall’insegnamento, Rossi si sposta da Bergamo fino a Firenze e Roma per riallacciare i contatti con gli ambienti dell’antifascismo democratico e per discutere e mettere a punto il suo piano per la realizzazione di un giornale clandestino. Poco tempo dopo, nell’estate 1926, sottoscrive, a nome del suo “Movimento Antifascista”, un patto d’azione comune con Vincenzo Nitti rappresentante della “Giovine Italia”, un movimento d’opposizione al regime fascista fondato assieme al figlio Francesco Fausto Nitti sul modello massonico e carbonaro, ispirato agli ideali mazziniani e risorgimentali. In agosto viaggia in Francia per stabilire contatti con gli ambienti del fuoruscitismo (Salvemini e Alberto Tarchiani in particolare), per reperire materiale propagandistico da introdurre in Italia; mentre nel territorio nazionale distribuisce direttamente stampa antifascista, la recapita ad altri distributori fidati e illustra a Salvemini il piano per la prossima realizzazione di una serie di opuscoli clandestini. Grazie soprattutto all’energia vulcanica di Rossi e alla tenacia di Riccardo Bauer, riesce ad allestire un embrione di organizzazione tramite la quale si raccolgono informazioni sulla situazione politica ed economica nazionale, si stendono relazioni e articoli che vengono inoltrati all’estero ai centri del fuoruscitismo antifascista e ai giornali dell’opposizione in Francia e Svizzera. Si introducono in Italia opuscoli, manifesti, stampa di opposizione, che poi vengono distribuiti in tutti i luoghi in cui sono presenti attivisti fidati; si presta assistenza agli antifascisti che cercano di espatriare e si assistono legalmente e finanziariamente quelli che venivano catturati. “In quegli anni – ricorda Rossi in uno scritto del dopoguerra – ho viaggiato tanto, per tutta Italia, con due grosse valige piene zeppe di stampa clandestina che mi sembrava di essere un commesso viaggiatore”. I frequenti viaggi in Svizzera e Francia necessitano del passaporto e infatti tra le carte di polizia troviamo alcuni incartamenti riguardanti la sua richiesta di passaporto inoltrata all’inizio del 1927 alla Questura di Bergamo con la motivazione di dover realizzare la revisione della traduzione dal tedesco all’italiano di un testo di scienza delle finanze (Die Welt in Zahlen, BD. VI/Die offentlichen Finanzen) già pubblicato dalla casa editrice Ernst Bircher di Berna (vedi lettera di quest’ultima a Rossi datata 4.3.1927, allegata alla richiesta del passaporto). Pochi giorni dopo – il 16.3.1927 – la Questura bergamasca concede il nulla osta al rilascio del passaporto per l’estero a Rossi per svolgimento di “affari professionali” (cfr. nulla osta del Podestà di Bergamo del 16.3.1927, n. 114). Per il rilascio del passaporto, il questore aveva richiesto alla Squadra politica il 18.3.1927 (nota n. 5755) informazioni su Rossi usando un modulo prestampato in cui si chiedevano; a) motivo espatrio b) le idee politiche e i sentimenti verso il regime del soggetto richiedente; c) l’eventuale appartenenza a famiglie di fuoriusciti. La squadra Politica risponde il 21.9.1927, precisando che Rossi risulta di “buona condotta morale, politica e militare. E’ favorevole alle direttive del regime, non appartiene a famiglie di fuoriusciti e non è ritenuto pericoloso o sospetto verso l’ordine nazionale. Egli chiede il passaporto per espatriare a scopo professionale. I dirigenti del locale fascio hanno dato il loro nulla osta. Firmato Jacobazzi”. Anche il Provveditore scolastico regionale sul finire del marzo 1927 acconsente alla concessione del passaporto per motivi professionale purché ciò non fosse di intralcio allo svolgimento della sua attività di insegnamento (in tal senso si può vedere la lettera del Preside dell’istituto tecnico 'Vittorio Emanuele II' datata 31.3.1927 n. 822/5). In più occasioni Rossi compie viaggi all’estero per procurarsi materiali propagandistici e portarli in Italia; sicuramente si reca in Svizzera attorno al 9.8.1927 come si evince dal telegramma inviato dalla Stazione di polizia internazionale di Domodossola alla Questura di Bergamo in cui si chiede conferma del rilascio del passaporto modello 204 (da questo documento apprendiamo che Rossi abitava in via Angelo Mai, 5 presso Valtorta). Per mantenere i contatti con il centro del fuoruscitismo democratico e liberal-socialista di Parigi diretto da Alberto Tarchiani, Rossi utilizza corrispondenza vergata interamente in inchiostro simpatico, con l’ausilio di un codice cifrato per le informazioni più riservate e scottanti. Questo epistolario segreto (attualmente conservato nel fondo Alberto Tarchiani, presso l’Istituto Storico della Resistenza Toscana di Firenze) consente di seguire da vicino il frenetico impegno profuso nella causa antifascista e di delineare l’ampio ventaglio di azioni, progetti, riflessioni, partoriti dalla mente vulcanica di Rossi, che si possono sommariamente suddividere in 5 ambiti operativi: 1) allestimento di un sistema di scambio informativo tra l’Italia e gli esuli e viceversa; 2) servizio di segnalazione di spie o infiltrati e raccolta di informazioni su persone sospettate di essere degli agenti provocatori o di essere in contatto con la polizia fascista; 3) ideazione e realizzazione di mezzi efficaci di spedizione dei materiali informativi e della stampa clandestina; 4) elaborazione di piani tattico-organizzativi per i gruppi operanti in Italia e all’estero; 5) confronto e discussione sulla linea politica da adottare e su progetti e iniziative di lotta da realizzare nella penisola. L’insieme di tali attività messe in campo da Rossi e dalla sua rete cospirativa riescono fino al 1929 a sfuggire ai controlli polizieschi esercitati dagli agenti delle questure di Bergamo e Firenze, che sorvegliandolo in modo discontinuo e poco accurato, non scoprono l’intensa azione cospirativa che stava realizzando in modo clandestino. Anche nel periodo 1928-29, la squadra politica di Bergamo effettua controlli di routine su Rossi, come risulta dal foglio manoscritto datato 5.11.1928 e firmato dall’agente di polizia Jacobazzi, in cui si rammenta che Rossi viene sorvegliato su indicazione del questore di Firenze, che risulta iscritto all’anagrafe di Bergamo dal 26.1.1926 e che risiede in via Camozzi 18 presso la sig.ra Morone. L’agente conclude che dal suo trasferimento nel capoluogo orobico “non ha dato luogo a rimarchi con la sua condotta politica. Il medesimo conduce vita ritirata, non frequenta pubblici ritrovi, non ha amici intimi ed è anche un po’ malaticcio”. Nel frattempo Rossi, in barba alla polizia bergamasca mette a punto un piano per la realizzazione di opuscoli antifascisti da stampare all’estero e distribuire in Italia, che dovevano trattare sia la critica politica ai problemi dell’Italia fascista, sia i programmi futuri per l’Italia di domani, sviluppandoli secondo un indirizzo liberal-democratico e utilizzando un linguaggio comprensibile a tutti. Il progetto si realizza almeno parzialmente nel 1929, quando Rossi e Bauer creano la collana clandestina “La nuova Libertà” di cui riescono a realizzare e a far stampare in Francia e in Svizzera, con l’aiuto di Salvemini e Tarchiani, quattro opuscoli: (Il primo dovere: conquistare la nuova libertà, di Salvemini; Stato fascista e stato liberale, di Bauer e Rossi; Bernard Shaw e il fascismo, di Salvemini; La Conciliazione, di Bauer). Lo stesso anno Rossi tenta di ampliare l’organizzazione del nascente movimento giellista a Napoli cercando di convincere Giovanni Amendola a diventare il referente del movimento antifascista liberal-democratico, ricevendone però un netto rifiuto a causa della sua adesione al Partito Comunista. Maggiore successo ha invece l’estensione dell’organizzazione nell’Italia nord-orientale da Gorizia fino a Fiume passando per Trieste, Grado, Albona d’Istria, ove la rete cospirativa poteva avvalersi di un buon numero di militanti di prevalente estrazione repubblicana. Particolare rilevanza assume la zona di Fiume, che fino alla fine del 1930 diviene “un crocevia nodale” dei transiti di stampa e propaganda clandestina provenienti dalla Francia e dalla Svizzera, grazie ai preziosi collegamenti intessuti dai repubblicani Angelo Adam e Angelo Sorani con alcuni funzionari della polizia di frontiera iugoslava, che agevolano i passaggi degli antifascisti, non ultimo Ernesto Rossi, che negli ultimi espatri può usufruire di una tessera di frontiera procuratagli da un commissario jugoslavo. Dopo la fuga dal confino di Lipari di Carlo Rosselli, Lussu e Nitti, alla cui ideazione contribuiscono in maniera determinante anche Rossi e Bauer, lo sviluppo del movimento democratico antifascista riceve nuovo impulso arrivando alla costituzione, nell’agosto 1929, di Giustizia e Libertà, frutto del dibattito politico avvenuto in Francia tra Tarchiani, Lussu, Rosselli, Francesco Fausto Nitti, Alberto Cianca, Salvemini, Cipriano Facchinetti, Raffaele Rossetti e delle proposte avanzate da Bauer e Rossi a nome della loro rete antifascista. La nascita di GL sulla base di una forte pregiudiziale repubblicana, di un indirizzo democratico radicale e della priorità strategica della lotta in Italia rilancia in grande scala l’azione propagandistica e l’organizzazione illegale che comprendeva anche azioni estremamente ardite, come il lancio da aeroplano di volantini antifascisti sulle grandi città. Circa i metodi di lotta da adottare in Italia, dalla fine del 1929 nel gruppo giellista milanese emergono posizioni divergenti: mentre Rossi è alla ricerca di un metodo che abbinasse l’efficacia della propaganda diretta a formasse gradualmente minoranze consapevoli, con azioni di protesta eclatanti per riuscire a risvegliare l’opinione pubblica e a mettere in luce le contraddizioni dello stato fascista, Parri si dimostra contrario a tali proposte e neanche Bauer le condivide, senza per questo contrastarle apertamente. Nell’ambito di questa nuova linea operativa, nel corso del 1930 Rossi predispone un piano dettagliato per appiccare degli incendi in piena notte agli edifici dell’Intendenza di Finanza di sette città italiane mediante bombe al fosforo, “come dimostrazione antifascista, la notte precedente l’anniversario della marcia su Roma”. Il piano viene meticolosamente preparato, oltre che dall’antifascista fiorentino, anche dal chimico milanese Umberto Ceva, che mette a punto le bombe incendiarie, e da Bauer, nonostante le sue riserve. C'è anche l’appoggio entusiasta di un nuovo militante, l’avvocato Carlo del Re, legato alla Massoneria, trasferitosi a Milano alla fine del 1929 da Udine e che, fin dall’inizio, aveva dato prova di coraggio e dedizione alla causa antifascista. Il tradimento di Del Re ha inizio tra la metà di settembre e l’inizio di ottobre 1930, allorquando, per non subire ripercussioni penali per aver compiuto gravi illeciti sul piano professionale e per riparare alla situazione di pieno dissesto finanziario in cui si trovava, Del Re concorda con il capo della polizia politica (Ovra), Arturo Bocchini, un tradimento dagli aspetti “diabolici”, che alla fine dell’ottobre 1930 avrebbe portato all’arresto dell’intero gruppo dirigente giellista italiano con l’accusa gravissima di essere pericolosi terroristi, ritenuti responsabili anche dell’attentato alla Fiera di Milano del 1928, che aveva causato ben 16 morti. L’operazione, con la relativa montatura poliziesca, riesce solo parzialmente, grazie all’azione di denunzia della repressione del regime promossa all’estero da Salvemini e Rosselli in occasione del processo ai giellisti e all’estrema resistenza opposta da Ceva, che la vigilia di Natale 1930 giunge a togliersi la vita, perché su di lui si voleva far ricadere la responsabilità della preparazione dell’ordigno alla Fiera di Milano e, in caso di mancata collaborazione, la perfida insinuazione di essere stato il traditore e l’informatore della polizia. L’esame e l’incrocio delle carte di polizia conservate nei fondi della Questura dell’Archivio di Stato di Bergamo e del Casellario Politico Centrale (Cpc) dell’Archivio di Stato Centrale di Roma (ACS), consentono di affermare con certezza che fino al 1929 gli agenti di Bergamo non sospettano e non intuiscono nulla dell’enorme attività clandestina di Rossi. Come abbiamo già osservato, la locale squadra politica, pur conoscendo i trascorsi politici di Rossi, non nutre particolari sospetti sulla sua condotta politica, in quanto le risultanze di alcune indagini svolte piuttosto superficialmente forniscono informazioni rassicuranti sull’isolamento di Rossi in città, sulla sua mancanza di relazioni con gli ambienti antifascisti bergamaschi e sulla sua vita dedita completamente all’insegnamento e allo studio. Nel novembre 1928 Rossi è ancora oggetto di controlli che consentono di conoscere alcuni suoi spostamenti a Firenze, ma di ignorare del tutto quelli più pericolosi; tuttavia qualche sospetto comincia ad affiorare tra le forze di sicurezza, tanto che il questore di Firenze, Chiaravallotti, interpellato da Bergamo, formula il suo parere negativo per il rinnovo del passaporto di Rossi, che tra il maggio e il giugno 1929 gli viene rifiutato definitivamente. Si può vedere al proposito la domanda autografa di rinnovo del passaporto presentata da Rossi alla questura bergamasca il 27.5.1929 “per motivi di studio e per prendere accordi con case editrici straniere riguardo a lavori di economia e statistica”. Su tale domanda, a penna è scritto a caratteri maiuscoli “rifiutato” con allegato il parere negativo della questura di Firenze datato 22.6.1929, n. 52305 a firma del questore Chiaravallotti. Tuttavia, nessuno dei due uffici sembra nutrire sospetti sulla sua reale attività cospirativa e il provvedimento pare avere più valore cautelativo che punitivo, visti i precedenti antifascisti del periodo fiorentino. Il mancato rinnovo del passaporto crea non pochi inconvenienti a Rossi, ma con il coraggio e la temerarietà che lo contraddistinguono, non si perde d’animo e riesce ad espatriare ugualmente, come lui stesso ricorda in un breve memoriale del dopoguerra, in cui riferisce di aver effettuato vari viaggi all’estero per tenere i contatti con i gruppi dei fuorusciti, e di questi viaggi, sei senza passaporto, di cui due con una tessera falsa fornita dal già citato commissario di polizia iugoslavo, amico dell’antifascista fiumano Angelo Adam. Munito di tale documento riesce a varcare il confine a Fiume-Susak, da dove prosegue per l’Austria e la Svizzera fino ad arrivare in Francia, impiegando tre giorni per compiere questo lunghissimo itinerario. Durante uno di questi viaggi qualcosa va storto, perché da Firenze giunge una allarmata segnalazione alle disattente autorità bergamasche: è il segretario federale fascista di Firenze in persona che, nel febbraio 1930, scrive preoccupato al prefetto di Firenze a proposito di Rossi, di cui ha ricevuto notizie di suoi frequenti viaggi all’estero “Parigi, Londra, Zurigo”, ove avrebbe potuto incontrare i rappresentanti dell’antifascismo, fra i quali il fratello Paolo che viveva a Zurigo. Subito dopo il questore di Firenze, con lettera “riservatissima” del 28.2.1930, n.12305, scrive alla Questura di Bergamo, trascrivendo la lettera giunta al prefetto di Firenze da parte del segretario politico federale di Firenze: “Mi viene segnalato che tale Rossi Ernesto fu Antonio, già domiciliato in questa città, redattore capo del Non Mollare, arrestato per offese a S.M. il Re unitamente al noto prof. Salvemini, già Segretario dell’Unione Dannunziana, attualmente insegnante presso il R. istituto Tecnico di Bergamo, si reca molto spesso – essendo munito di passaporto – a Parigi, Londra e Zurigo, ove in questa ultima città, ha un fratello a nome Paolo, fuoriuscito e già arrestato a Firenze durante il periodo Matteottiano. Il Rossi Ernesto è amico del Salvemini e Nitti e si vanta di tale amicizia. Mi viene inoltre riferito che a tempo dell’attentato Zaniboni si trovava a Roma. Tanto comunico V.S. Ill./ma per le disposizioni di vigilanza, che riterrà del caso e nell’ eventualità si riscontri opportuno revocare al medesimo il passaporto, di cui sarebbe in possesso […]”. Nonostante questa segnalazione, seppur vaga e imprecisa (non risulta che Rossi sia mai stato a Londra), la Questura di Bergamo non deduce che alcuni di questi spostamenti sono stati effettuati da Rossi con documenti falsi e non ordina neanche una perquisizione a suo carico, ma si limita a negare il nulla osta ad un’ulteriore domanda di rilascio del passaporto, inoltrata da Rossi nel giugno del 1930, come mostra il modulo, stampato di 'Nulla osta', per il passaporto per l’estero intestato a Rossi Ernesto (n. 651) per la destinazione di Svizzera, Francia, Germania, Belgio, per “recarsi all’estero in gita turistica”, con timbro “Nulla Casellario Politico Giudiziario. L’addetto all’Archivio”, e con aggiunta a mano in rosso “Rifiutato vedi fascicolo 1929 Il questore”. Timbro della Questura di Bergamo del 27.6.1930 e altro del 26.6.1930, Ii tutto a cura della 'squadra politica'. Un’interessante notazione proviene invece dal resoconto di un colloquio tra il brigadiere Calanca della locale Questura e il preside della scuola in cui insegna Rossi, in cui il dirigente scolastico afferma che Rossi si sarebbe iscritto in data 20.1.1930 all’Associazione nazionale Insegnanti fascisti di Bergamo (cfr. nota ms. del brigadiere Calanca del 3.5.1930). Tale iscrizione si può facilmente spiegare con il tentativo da parte di Rossi di allontanare da sé qualsiasi sospetto di antifascismo e come utile travestimento politico. Nell’estate 1930 Rossi è seguito da vari agenti di polizia all’arrivo nelle stazioni ferroviarie dei suoi spostamenti tra Bergamo, Firenze e Milano, ma gli agenti incaricati ancora una volta non sospettano nulla della complessa attività cospirativa che sta svolgendo e che fa capo al gruppo milanese di 'Giustizia e Libertà', di cui è uno dei maggiori rappresentanti. Queste azioni di controllo sono documentate dai seguenti telegrammi: 16.7.1930 la Questura di Firenze scrive a quella di Bergamo: “Antifascista Rossi Ernesto di Antonio qui rintracciato disposta vigilanza. Questore Palma”. 30.7.1930 il questore di Firenze scrive a quello di Bergamo. “R.E partito diretto a Milano. Qui non diede luogo a rimarchi”. 18.8.1930 il questore di Firenze scrive a quello di Bergamo riferendo che Rossi non è stato rintracciato a Milano e che i parenti ritengono abbia fatto ritorno a Bergamo; “prego comunicarmi rintraccio. Questore Palma”. 20.8.1930 il questore di Bergamo scrive a quello fiorentino segnalando la partenza di Rossi alla volta di Firenze. In allegato è presente una nota dattiloscritta del brigadiere Calanca, del 20.8.1930, che riferisce che Rossi si è presentato presso la sua scuola “e lasciò incarico al custode dell’istituto tecnico che se per quei pochi giorni arrivasse corrispondenza al suo indirizzo di lasciarla pure in portineria che sarebbe passato lui stesso a ritirarla. Difatti, dopo qualche giorno passò, e poscia ripartì, vuolsi alla volta di Firenze, perché incaricò nuovamente il custode stesso di inviargli ancora la corrispondenza sempre al solito indirizzo, cioè presso la famiglia Pucci via Cento Stelle n. 48 Firenze”. 29.8.1930, il questore Bruno di Milano scrive a quello di Bergamo "in relazione a precedente telegramma della questura di Firenze 18 corrente, comunicando che Rossi alloggiò la sera del 24 a Milano presso albergo Baviera ripartendo giorno successivo per Firenze". 3.9.1930 il questore Palma di Firenze allerta varie Questure circa un probabile espatrio clandestino di Rossi. Reso sempre più esperto dalla lunga attività cospirativa e clandestina, Rossi riesce ad eludere i pedinamenti e i controlli messi in atto dagli organi di sicurezza, ma durante uno degli espatri attraverso Fiume, probabilmente l’ultimo, non sfugge all’oculata vigilanza della Milizia Confinaria, una ramificazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (Mvsn) e di quella dei suoi informatori. Infatti, la Prefettura di Fiume in data 12.8.1930 comunica a Roma al Ministero degli Interni, che per “via fiduciaria” è venuta a conoscenza dell’espatrio clandestino di uno sconosciuto> alto circa m. 1,70, dalla corporatura snella, colorito bruno, capelli castani, età sui 35 anni e d’aspetto intellettuale, che il 12 luglio 1930 avrebbe varcato il confine servendosi di una tessera di frontiera fornita dalle autorità iugoslave su interessamento del “noto fuoriuscito repubblicano” Angelo Adam e di una donna che avrebbe accompagnato lo sconosciuto fino alla frontiera (cfr. ACS, Cpc, b. 4441, fasc. 37615: dattiloscritto n. 7717 del 12.8-1930 della Prefettura di Fiume indirizzato al Ministero dell’Interno in cui si aggiunge l’impegno delle autorità locali a identificare la persona espatriata e la donna che ha agevolato l’espatrio). L’informativa sembra essere una delle tante che affluivano al Ministero e i funzionari romani non sembrano dargli particolare importanza, ma a Fiume le autorità iniziano subito le ricerche per identificare la donna e lo sconosciuto che era stato aiutato a varcare il confine. Inizialmente le indagini risultano infruttuose per poi subire una svolta dopo l’arresto di Rossi, allorquando al Ministero dell’Interno raccolgono varie informazioni che gettano nuova luce sulle segnalazioni provenienti da Fiume. Infatti, vari mesi dopo (inizio giugno 1931), il comando della 61^ Legione della Mvsn di stanza a Fiume, dopo aver ricevuto copia delle fotografie di Rossi le fa visionare al fiduciario che aveva effettuato la segnalazione, il quale lo identifica senz’ombra di dubbio con lo sconosciuto che l’estate del 1930 aveva varcato illegalmente la frontiera. Al momento dell’arresto di Rossi, avvenuto nella scuola ove insegnava (30-10-1930), le Questure di Bergamo e di Firenze sembrano ignorare cosa veramente si celasse dietro i continui spostamenti di Rossi; tuttavia nell’estate precedente i sospetti su di lui si erano accresciuti a tal punto da far loro intuire il momento del suo ultimo espatrio clandestino, spingendole ad ordinare una perquisizione sia presso l’abitazione della madre a Firenze, sia presso il suo domicilio a Bergamo, proprio mentre si trovava in Francia. I parenti e gli amici avvertono subito Rossi a Parigi di non rientrare perché temevano il suo arresto, ma contrariamente a quanto Rossi sosterrà nel dopoguerra, non si trattava di un’operazione dell’Ovra, che in quel momento non era ancora sulle tracce dei giellisti, ma dell’azione coordinata delle due Questure, che però non disponevano ancora di prove sufficienti sulla sua attività antifascista per poterlo arrestare. Tutto ciò sta indicare che, in modo parallelo e del tutto autonomo rispetto all’attività dell’Ovra, la Milizia di Frontiera di Fiume, in contatto con la DGPS da una parte, e gli agenti delle Questure di Bergamo e Firenze dall’altra, erano già sulle tracce di Rossi ed erano sul punto di scoprire le sue molteplici trame cospirative. Sull’altro versante dell’apparato poliziesco, l’Ovra tiene completamente all’oscuro la Questura di Bergamo di tutta la sua ingegnosa operazione, non informandola nemmeno dell’imminente arresto di Rossi e degli altri cospiratori, comunicato probabilmente solo a cose ultimate. Infatti, dalle carte della polizia bergamasca trapela tra le righe lo stupore per l’arresto dell’antifascista, di cui si ignoravano persino i motivi del provvedimento. Il silenzio dell’Ovra è chiaramente originato dalla necessità di celare l’identità dell’infiltrato e la complessa trama ordita dai servizi spionistici nell’ambito di una operazione così delicata e riservata (si veda l’appunto manoscritto che informa dell’arresto di Rossi in data 30.10.1930, da parte degli agenti di PS alle dipendenze dell’ispettore Comm. Nudi. “Ignorasi il motivo dell’arresto”, scrive laconicamente l’agente Calanca; allegate a questo foglio ci sono due fotografie di Rossi). Inizialmente detenuto nelle carceri di Bergamo, mentre viene trasferito nel carcere di Roma con la scorta di quattro poliziotti, nella notte del 3 novembre riesce a togliersi le catenelle dai polsi e a gettarsi dal treno in corsa subito dopo Viareggio. Non essendo riuscito a trovare aiuti, viene ripreso dopo poche ore e condotto a “Regina Coeli”, dove vive cinque mesi di stretto isolamento. Il 29-30. 5.1931 compare di fronte al Tribunale Speciale. Un appello, promosso all’estero da Salvemini e sottoscritto da numerose personalità europee, influisce sul giudizio del tribunale e salva i giellisti dalla pena di morte che sembrava loro riservata. Rossi viene così condannato con Riccardo Bauer a 20 anni di carcere e trascorre 9 anni nei reclusori di Pallanza (dove il 24.10.1931 si sposa civilmente con Ada Rossi, insegnante di Matematica conosciuta presso l’Itc “Vittorio Emanuele II, b. 90), di Piacenza e di Roma. Riguardo il lungo periodo di detenzione e confino, presso il fondo “Sovversivi” della Questura di Bergamo, si conservano alcuni significativi documenti che riepiloghiamo di seguito. Subito dopo la fuga di Rossi dal treno, giunge a Bergamo copia del telegramma del capo della polizia Bocchini indirizzato ai Prefetti del regno il 4.11.1930, in cui si informa della fuga di Rossi e si richiede “intensissima vigilanza” in tutte le zone di confine, stazioni ferroviarie, nodi stradali, luoghi d'imbarco, valichi di confine. Seguono connotati e allerta anche per guardie confine e di finanza. “Sarà corrisposto adeguato premio at chi conseguirà o renderà possibile arresto Rossi”. Lo stesso giorno un altro telegramma del Ministero degli Interni informa dell’arresto di Rossi e revoca le disposizioni precedentemente impartite, fornendo in allegato una lettera della Questura di Lucca del 13.12.1930, n. 17133, che informa della cattura di Rossi e, per formulare eventuale denuncia per reato di evasione, richiede dati di Rossi. Alcuni mesi dopo la Questura Parma il 2.1.1931 (nota n. 141, ogg. prof. Alfredo Frassi), informa Bergamo che il prof. Alfredo Frassi, ufficiale sanitario a Lucca, ex massone, avrebbe ricevuto scritti di tale Amleto di Bergamo, in cui si darebbero notizie di un insegnante dell’ITC “Vittorio Emanuele II”, deferito al Tribunale Speciale, pertanto si richiedono notizie su chi sia tale “Amleto”. Con lettera “Riservatissima” n. 70 Gab., del 10-1-1931 (Ogg. Prof. Alfredo Frassi), il questore di Bergamo risponde al collega di Parma: “Il nominato Amleto viene identificato in Frassi Amleto fu Diomede nato a Pisa il 4.2.1874, qui domiciliato dal 1908, impiegato, fratello del prof. Frassi Alfredo. La moglie del Frassi esercisce in Bergamo una piccola pensione nella quale prendeva i pasti il prof. Rossi Ernesto arrestato nel novembre u.s. dalla Ovra; scrivendo al fratello a Parma il Frassi diede notizia della avventura toccata al Rossi, pensionante della moglie, a titolo di cronaca. Il Frassi Amleto asserisce che il fratello non conosce il Rossi. Il Frassi e la moglie risultano di regolare condotta e non hanno dato finora motivo a rilievi. Il questore”. Dopo la condanna di Rossi e degli altri giellisti da parte del Tribunale Speciale, quest’ultimo il 1.6.1931 invia alla Questura di Bergamo copia dell'estratto della sentenza di condanna. L’anno successivo il questore di Piacenza, con nota di Gabinetto n. 03505 Gab, indirizzata il 4.6.1932 al questore di Bergamo, segnala la detenzione di Rossi nella casa di pena di Piacenza e “allo scopo di poter disporre l’opportuna vigilanza, prego volermi segnalare ogni eventuale partenza per questa volta di parenti o compagni di fede del detenuto predetto” (Il questore C. Barbugli). Sulla lettera sono apposti i timbri 5.6.1932 (Questura di Bg, Gabinetto) e 6.6.1932, con un foglio manoscritto allegato con “Presa visione per la vigilanza”, seguito dai nomi degli agenti incaricati della vigilanza. Nel frattempo i funzionari dell’Ovra e del Ministero degli Interni proseguono le indagini su Rossi e in particolare sulla concessione del passaporto da parte della Questura di Bergamo, nonostante i suoi noti precedenti politici. Si veda al riguardo la lettera del Ministero degli Interni al questore del 16.4.1932, n. 441/07767, in cui si scrive che “in riferimento ad accertamenti eseguiti recentemente dal cav. Aloisio si prega far effettuare riservatamente le più accurate ricerche per rintracciare atti del 1928 relativi al rilascio del passaporto al prof. Rossi”. Il questore risponde sostenendo che dopo accurate ricerche “non fu possibile rinvenire [a penna sopra riga cancellata: “non hanno portato al rinvenimento”], la pratica del passaporto rilasciato al controscritto il 21.6 del 1928.” Ma in una lettera successiva (26.4.1932), il questore afferma che i documenti relativi al rilascio del passaporto di Rossi sono stati rintracciati “in seguito a ulteriori e più accurate ricerche”. Tutta la corrispondenza tra Rossi, la madre e la moglie viene sottoposta ad accurato controllo. Per avere informazioni su persone bergamasche citate nelle missive, i funzionari di polizia di diverse Questure in più occasioni scrivono ai colleghi di Bergamo. Così l’Ispettore generale P.S., che il 7.5.1933 da Bologna scrive al prefetto di Bergamo chiedendo di effettuare indagini su persona chiamata “doubleface”, su Papini e su un certo “Giuseppe”. Il prefetto risponde il 10.7.1933 affermando che la persona celata da pseudonimo “doubleface” non è identificabile; mentre il Papini è Gaetano, fratello di Giuseppe già compagno di cella di Rossi e poi rilasciato. Gaetano Papini riceve la visita da Ada per avere notizie del fratello, amico di Ernesto. Tuttavia le indagini degli agenti bergamaschi proseguono per cercare altre persone indicate nelle missive dei Rossi con le sigle “c” e “Cap”, come è riportato nella minuta dattiloscritta dell’agente Calanca del 9.5.1933 per l’Ispettore generale D’Andrea del 1.5.1933, con stralci di due lettere con riferimenti a “C” e “Cap” rispettivamente del 21.4.1933 e del 27.4.1933. C'è anche un'altra minuta dattiloscritta “Riservatissima” raccomandata n. 01859 da Bergamo del 10.7.1933, oggetto: RE, rif. A n.244/I del 1 e 7 maggio a Ispettore Generale di Ps. Commissario Giuseppe D’Andrea, Questura di Bologna, in cui si afferma che le indagini “hanno avuto finora esito infruttuoso. Evidentemente si tratta di conoscenze comuni che risalgono ad epoca anteriore all’arresto; d’altra parte la professoressa, quale insegnante privata avvicina molte persone e frequenta parecchie famiglie.” Invece viene rintracciato il già menzionato Gaetano Papini, (fu Angelo, nato a Treviglio l'1.1.1886, contadino, residente a Treviglio, la persona che ha fornito ad Ada Rossi la notizia del trasferimento del fratello. “La Rossi, secondo quanto si è potuto accertare si recò di persona dal Papini a chiedergli notizie del fratello per incarico del marito prof. Rossi. Il Papini non ha mai dato luogo a rimarchi e non si interessa di politica”. Altre informazioni vengono richieste da Roma nel 1934 circa una certa Gandossi Maria in Valtorta, di cui si parla in un dattiloscritto datato Bergamo, 15.2.1934 (Gandossi Maria in Valtorta fu Giovanni e fu Zanella Maria nata a Bergamo il 14.2.1890), di cui si forniscono le seguenti generalità: domiciliata in via Cucchi, 6; su di lei ha richiesto informazioni il Ministero dell'Interno perché avrebbe spedito una lettera in carcere al Rossi. La Valtorta gestisce un piccolo negozio di mercerie in via Mai 5, è sposata con Carlo Valtorta (di Agostino e fu Bosis Emma, nato il 21.3.1887), impiegato presso lo stabilimento Reich di Bergamo in via Taramelli, 6. Hanno due figlie: Erminia (11.10.1911) ed Emma (21.9.1915). Tutti risultano essere di buona condotta morale e politica, senza precedenti politici. Si dimostrano favorevoli al regime. Hanno rapporti con il Rossi perché questi nel 1927 occupava una camera ammobiliata presso di loro. Altra richiesta di informazioni da parte del Ministero (a scrivere è Carmine Senise) è contenuta in una nota del 7.3.1934 n. 01911, al prefetto, riguardante l’avvocato Giovanni Masseroni, di Ottavio, abitante in piazza Baroni 4, con allegata copia della fotografia dell’avvocato, sospettato di aver collaborato ai tentativi di fuga di Rossi. Già proprietario di un’auto poi ceduta ad un certo Buongiorno. Qualche giorno dopo, il 11.4.1934, il questore di Bergamo scrive ai Cc di Treviglio chiedendo informazioni sulla condotta morale e politica ed eventuali precedenti di Emanuele Buongiorno, di Leonardo e Anna Lo Russo, nato a Lodi il 6.10.1901, trattore, residente a Romano di Lombardia. In particolare il questore vuole sapere se il predetto ha “rapporti di indole politica con Ada Rossi”. I Cc rispondono il 13.4.1934, nota n. 62/2 e riferiscono che il Buongiorno è esercente di trattoria in via Tadini a Romano ed ha precedenti penali: condanna a 4 mesi per lesioni personali volontarie (Corte d’appello di Bs 12.2.1931), oltre a varie multe per reati minori. Non è iscritto al Pnf e non ha contatti con Ada ed Ernesto Rossi (si allegano numerose foto del Buongiorno). Diversi condoni riducono di 11 anni il soggiorno carcerario di Rossi, ma, quando avrebbe dovuto tornar libero, viene assegnato al confino nell’isola di Ventotene per un periodo di altri 5 anni. Diverse carte documentano la scelta delle autorità fasciste di non liberare Rossi e di relegarlo al confino politico. Alla vigilia della sua possibile liberazione il 29.9.1939, il giudice Angelo Rocca dell’Ufficio del giudice di sorveglianza del Tribunale penale di Roma, n. 2087 scrive al questore di Bergamo, chiedendo informazioni su Rossi, sui suoi precedenti di condotta morale e giudiziari, sul suo carattere personale, sulla condizione di famiglia, sul suo stato economico e sociale “al fine di applicare nei di lui confronti una misura di sicurezza”, essendo liberando il 29.10.39. Un mese dopo il questore di Roma, Palma, con nota n. 083860-Gab Cat.U.P./A9, del 30.10.1939, oggetto: Proposta per l’assegnazione al confino di polizia, a carico di Rossi Ernesto fu Antonio, scrive al prefetto di Roma riassumendo il profilo politico di Rossi, ritenendolo non idoneo alla scarcerazione, motivandolo il suo giudizio nel seguente modo: “Era intimo del defunto Rosselli Carlo: se lasciato libero lo sostituirebbe certamente nel movimento di “Giustizia e Libertà”. Durante la detenzione non ha dato alcuna prova di ravvedimento, dimostrandosi, invece, all’occasione, un tenace e irriducibile avversario del Regime”. Inoltre ricorda che nel 1934 gli fu inflitta dal Consiglio di disciplina delle carceri di Regina Coeli la punizione di tre mesi di cella aggravata avendo in una lettera alla famiglia “fatte dirette allusioni offensive per la persona del DUCE” e la tentata evasione da Piacenza e quella durante il viaggio in treno. “Premesso quanto sopra e giusta disposizioni impartite dal Superiore Ministero con la nota n. 441-034226 del 9 corrente, lo denunzio alla E.V. per il provvedimento di polizia al confino”. Si tratta di un documento molto significativo perché dimostra che fu l’allora questore di Roma ad opporsi alla liberazione di Rossi, proponendo il confino come ulteriore misura detentiva, motivando la scelta sulla base della sua pericolosità e per aver continuato a manifestare la sua opposizione al fascismo anche durante il lungo periodo di detenzione (vedi anche lettera della Questura di Roma, Div. II n. 65930 del 1.10.1939, indirizzata al Min. Interni, DG PS; e alle Questure di Napoli e Bergamo). Un altro documento presente nel fascicolo di Rossi dimostra che il Tribunale di Roma, con nota n. 4285 del 14.10.1939, trasmesso a Bergamo il 18.10.1939, aveva già preparato il decreto di prescrizioni per la libertà vigilata di Rossi (si tratta di un modulo a stampa con aggiunte a penna) che assegnava a Rossi 3 anni di vigilanza speciale della PS, obbligandolo alle seguenti prescrizioni, oltre a quelle fissate dall’art. 652 C. Proc. Pen. (1 darsi a stabile lavoro; 2 non uscire dalla propria abitazione prima dell’alba e non rincasare più tardi dell’Ave Maria; 3 non frequentare abitualmente osterie, postriboli, luoghi di riunione, spettacoli pubblici; 4 non accompagnarsi abitualmente a persone sospette politicamente; 5 non tenere armi proprie o altri strumenti di difesa; 6 tenere buona condotta e astenersi da qualsiasi attività politica; 7 presentarsi ogni domenica nelle ore pomeridiane all’autorità di PS del suo distretto. Perché questo decreto non viene attuato e Rossi viene invece internato al confino politico di Ventotene? Come abbiamo già rilevato, è stata l’opposizione del questore di Roma, unitamente a quella del suo collega di Bergamo a costringere il tribunale di Roma a cancellare il decreto di assegnazione di libertà provvisoria per Rossi. Infatti il questore di Bergamo (minuta datt., con appunti e correzioni ms., con data 19.10.1939 n. 012521, oggetto Rossi), scrive al Giudice di Sorveglianza e per conoscenza al questore di Roma, esprimendo un giudizio contrario alla libertà provvisorio. in quanto è “da considerarsi sovversivo pericolosissimo per l’ordine nazionale perché individuo intelligente, di parola facile e convincente e data la sua irriducibile avversione contro il fascismo, specialmente nell’attuale momento, l’opera del Rossi potrebbe riuscire veramente nefasta. Ancorché sottoposto ad assidua vigilanza, egli, per la sua non comune scaltrezza, riuscirebbe ad eluderla (c. 1v) e troverebbe il modo di svolgere occultamente la sua propaganda denigratoria del regime. Ad impedire che il Rossi possa compiere tale opera socialmente pericolosa si propone che nei di lui confronti si applichi una misura di sicurezza detentiva anziché semplice.” Con i pareri negativi dei due questori di Bergamo e di Roma, il 6.11.1939 Rossi viene deferito alla Commissione Provinciale per l’assegnazione al confino di polizia, costituita ai sensi dell’articolo 166 del testo unico delle leggi di PS approvato con R. decreto 18.6.1931 n. 773 composta da Rosario Speciale, Giovanni Santoro, Ciro Verdiani, Gino Ercolani, Giosuè Gangemi, Arnaldo Santini. Tale commissione “visti gli atti concernenti Rossi Ernesto, visto il rapporto del Questore di Roma relativo al predetto dal quale rilevasi che è elemento socialmente pericoloso in linea politica […], Ordina l’assegnazione a 5 anni di confino”. Cinque giorni dopo (11.11.1939) il Ministro degli Interni – DGPS - Div. AGR, prot. N. 441/037365, scrive ai questori di Bergamo e Roma, comunicando l’assegnazione del Rossi al confino per 5 anni a Ventotene. Un nota manoscritta recita: “Alla Squadra Pub. per conoscenza agli effetti della vigilanza e della segnalazione degli spostamenti della moglie Rossi Ada via Garibaldi 9c (16.11.1939)”, cui segue altra nota ms.: “Visto. Preso nota e disposta vigilanza sulla moglie del Rossi”. Seguono tre firme: Calanca, Giglio e altro nome non leggibile. Del periodo in cui Rossi è al confino di Ventotene, rimangono nel suo fascicolo i seguenti documenti: a) Direzione Colonia Confinati e Commissariato Ps Ventotene, n. 01344 Gab., del 17.11.1939. Il confinato Ernesto Rossi “ha presentato istanza per essere autorizzato a corrispondere epistolarmente con Ada Rossi” Inviare parere per accoglimento istanza, firmato direttore Meo Francesco. A questa richiesta segue risposta del 22.11.1939 n. 013914], che esprime parere favorevole dal questore di Bergamo perché trattasi di “corrispondenza epistolare tra congiunti”; b) Direzione Colonia Confinati e Commissariato Ps Ventotene, 28.11.1939 n. 01344, istanza del “pericolosissimo antifascista, qui confinato politico, Rossi Ernesto tendente ad essere autorizzato a farsi visitare in Colonia dalla moglie.” c) la Questura di Roma con nota n. 08386 U.P. A9, del 22.11.1939, oggetto Rossi E., indirizzata al Ministero degli Interni, DGPS Casellario Politico e alle questure di Bergamo, Littoria, Napoli, Firenze, trasmette copia del cartellino segnaletico e fotografia in 3 pose [Si tratta di nuove fotografie segnaletiche scattate al termine del periodo detentivo a Regina Coeli. d) Il questore di Bergamo il 7.12.1939, n. 013914, scrive all’Ufficio Colonia Ventotene e Ufficio PS di Littoria, informando che la moglie Ada condivide gli ideali politici del marito “tant’è che lo sposò dopo la sua condanna per reati politici”; professa apertamente sentimenti antifascisti e quindi si ritiene per il momento di esprimere “subordinato parere contrario affinché abbia l’autorizzazione a recarsi in visita al marito.” (la minuta con correzioni è firmata dal maresciallo di Ps Tito Calanca). Come è noto, durante il confino, insieme ad Altiero Spinelli e ad Eugenio Colorni, Rossi redige nel 1941 il 'Manifesto per un’Europa libera e unita', più noto come Manifesto di Ventotene. Nel giugno del 1943, poco tempo prima della caduta del regime fascista, Rossi viene nuovamente arrestato con Vincenzo Calace e Riccardo Bauer e tradotto da Ventotene al carcere di Regina Coeli. Mentre è in attesa di un nuovo processo davanti al Tribunale Speciale (processo che, come poi si saprà, doveva concludersi con tre condanne a morte), il regime fascista cade e Rossi viene liberato il 30.7.1943. Immediatamente arrestato con alcuni amici, fra i quali Guglielmo Usellini, per la diffusione di un manifesto del Movimento Federalista Europeo, che proclamava la necessità della guerra ai tedeschi, viene rimesso subito in libertà avendo potuto dimostrare la sua estraneità all’elaborazione del manifesto essendo da poco uscito dal carcere. Può così recarsi a Firenze dai famigliari. Nell’agosto del 1943 a Milano, in casa del valdese Mario Alberto Rollier, è fra i fondatori del Movimento Federalista Europeo, di cui viene eletto segretario insieme ad Altiero Spinelli. Nel settembre dello stesso anno partecipa a Firenze al primo congresso del costituendo Partito d’Azione, cui aderisce. Dopo l’8.9.1943, colpito da un grave esaurimento fisico per le privazioni sofferte nell’ultimo periodo di segregazione, si rifugia in Svizzera per sfuggire all’arresto da parte dei nazi-fascisti e per lanciare, insieme a Spinelli, la parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa. Dopo i primi mesi trascorsi a Lugano, si trasferisce a Ginevra, dove prende contatto con i rappresentanti dei movimenti europei di Resistenza presenti in Svizzera. Insieme a questi elabora, nel 1944, una Dichiarazione federalista dei movimenti di resistenza che ha larga diffusione in Svizzera e in alcuni Paesi occupati dai nazisti. Fra il 1944 e il 1945, la sua piccola casa, in rue Chantepoulet 19 a Ginevra, diviene punto di ritrovo dei giovani rifugiati italiani e centro di elaborazione e diffusione della propaganda federalista e azionista. Nell’aprile 1945 torna a Milano in tempo per partecipare all’insurrezione come membro della direzione del Patito d’Azione dell’Alta Italia, e collabora al giornale del Pd’A “L’Italia libera”. Nel giugno 1945 viene nominato sottosegretario alla ricostruzione nel ministero Parri e collabora ai lavori della Consulta. Sempre nel 1945 viene nominato presidente dell’Associazione Rilievo Alienazione Residuati bellici (ARAR) e svolge tale incarico in modo esemplare per circa 11 anni sino alla liquidazione dell’azienda per esaurimento dei compiti affidatele. Nel 1948, con il lancio del Piano Marshall, riprende insieme a Spinelli l’attività all’interno del Movimento Federalista Europeo. Nel 1954, dopo la caduta del trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED), perde fiducia sulla possibilità di realizzare a breve termine la federazione europea e si stacca progressivamente dal Movimento federalista europeo. Neppure durante quegli anni interrompe la sua attività di studioso e la sua collaborazione a giornali, specialmente a «Italia socialista», «Il Mondo», «Il Ponte» e, per breve tempo, al «Corriere della Sera» ed alla «Stampa». Nel 1955 è tra i fondatori del Partito Radicale e vi rimane sino al 1962. Dal 1957 al 1960 dirige la collana “Stato e Chiesa” per l’editore Parenti. Dopo la morte di Gaetano Salvemini, avvenuta nel 1957, dedica la maggior parte della sua attività all’edizione delle opere complete di Salvemini. Nel 1962 è tra i fondatori del “Movimento Gaetano Salvemini” e del settimanale «L’Astrolabio» al quale collabora sino alla morte. Si spegne a Roma, in seguito a un intervento chirurgico, il 9.2.1967. Fra le opere principali di Rossi ricordiamo: Il manifesto di Ventotene (1941); Gli Stati Uniti d’Europa (1944); L’Europe de demani (1945); Abolire la miseria (1945); La riforma agraria (1945); Critica del sindacalismo (1945); Banderillas (1947); Critica del capitalismo (1948); Settimo: non rubare (1951); Lo stato industriale (1953); Il malgoverno (1954); Una spia del regime (1955) [in cui ricostruisce il suo arresto ad opera della spia Carlo Del Re]; I padroni del vapore (1955); La pupilla del duce (1956); Il manganello e l’aspersorio (1958); Borse e borsaioli (1961); Elettricità senza baroni (1963); I nostri quattrini (1964); Il Sillabo e dopo (1964); Viaggio nel feudo di Bonomi (1965); Critica delle costituzioni economiche (1965); Pagine anticlericali (1966). (R. Vittori)
Familiari
Rossi Antonio (padre)
Verardi Elide (madre)
Rossi Ada (moglie)
Rossi Paolo (fratello)
Luoghi di residenza
Firenze Toscana Itralia Bergamo Lombardia Italia Roma Lazio Italia
Sanzioni subite
carcere ( - )
confino politico ( - )
Relaz. con altri soggetti
Salvemini Gaetano
Amendola Giovanni
Traquandi Nello
Rosselli Carlo
Del Re Carlo
Nitti Vincenzo
Nitti Francesco Fausto
Tarchiani Alberto
Bauer Riccardo
Ceva Umberto
Adam Angelo
Sorani Angelo
Lussu Emilio
Cianca Alberto
Facchinetti Cipriano
Rossetti Raffaele
Parri Ferruccio
Papini Giuseppe Antonio
ASBg, Sovversivi
Documentazione allegata
fotografie fotografie scattate dagli organi di polizia
Altre fonti archivistiche
(ACS, C) Archivio centrale dello Stato (Roma), Confino politico
Busta 886, Fascicolo
Riferimenti bibliografici
Braga 2007
Barilli 1991
Fiori 1997
Rossi 1968a
Rossi 1968b
Rossi 2001
Vittori 2003