Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Parre (Bg) il 26.1.1913, falegname, antifascista. Il 23.3.1938, mentre è al lavoro presso la falegnameria del Cotonificio Fratelli Pozzi di Ponte Selva (Bg), nel veder passare con la camicia nera il direttore dello stabilimento, Carminati, Imberti inizia a discutere sulla ricorrenza che si celebra quel giorno (la fondazione del movimento fascista a Milano nel 1919) con un compagno di lavoro, il fascista Bramilio Baroni, di Parre Inferiore. Questi riferisce poi al fascio e ai Cc di Nossa che Imberti nel corso della discussione avrebbe espresso posizioni antifasciste, dicendo che “non aveva tempo di correre dietro a quegli scimmiotti” e che pagava la tessera fascista perché obbligato a farlo, inoltre si sarebbe rammaricato del mancato successo degli attentati a Mussolini degli anni precedenti, dicendo che “se fossi stato io quello che ha sparato al Duce, non l’avrei sbagliato”. Denunciato il 31.5.1938 dal comando della 14a legione della Mvsn al questore Pumo, quest’ultimo il 4.7.1938 ricostruisce per il prefetto l’intera vicenda, suggerendo il deferimento di Imberti alla Commissione Provinciale per il confino di polizia:
“Tale Baroni Bramilio fu Valentino da Parre Inferiore, fece una narrazione precisa, circostanziata, della discussione avuta con l’Imberti alla presenza dell’operaio Zanoletti. Costui invece poco ebbe a riferire, asserendo di non aver sentito la conversazione che si svolgeva tra il Baroni e l’Imberti, essendo alquanto discosto e ponendo attenzione al proprio lavoro. Ammise però di aver udito la frase saliente: ‘Se fossi stato io l’avrei colpito’ ma non comprese a chi, con l’anzidetta frase, l’Imberti volesse alludere. Confermò però di aver veduto il Baroni alzare un attrezzo di lavoro in atto di minaccia verso l’Imberti. Interrogato costui, escluse nel modo più reciso che nella conversazione avuta col Baroni fosse stato nominato il Duce, negando di aver pronunziato la frase incriminata. Posti a confronto l’Imberti ed il Baroni, entrambi mantennero vigorosamente la loro versione. Il Baroni ha fatto una minuziosa, chiara descrizione dell’episodio senza la minima variazione neppure nei più minuti dettagli, senza mai contraddirsi nei ripetuti interrogatori subiti da parte dei Funzionari inquirenti. Egli non ha alcun motivo di rancore verso l’Imberti ed è considerato persona seria e proba. Nella sua deposizione sono state rilevate però due circostanze rimaste assai dubbie: l’avere l’Imberti narrato a tale Ferrari Luigi di Clusone della discussione avuta con il Baroni, ciò che è stato smentito dal Ferrari; l’avere lo stesso Baroni informato dell’accaduto il signor Garzaroli Mario, membro del Direttorio del fascio di Nossa, che non avrebbe dato importanza al fatto e che invece, interrogato, lo ha escluso. L’Imberti, peraltro, è giovane appartenente a famiglia di sani principi e di buone condizioni economiche, iscritto alle organizzazioni Giovanili prima ed al partito poi, da oltre sei anni. Ha due fratelli, essi pure iscritti al Partito. Egli, che sinora non aveva dato indizio di traviamento, per evitare di incontrarsi con il Baroni (a quanto egli stesso dichiarava) dopo aver saputo che era stato da costui denunciato al fascio di Nossa per i noti discorsi, si ebbe a licenziare al lavoro. Non è esatto però che egli avesse detto, all’atto del licenziamento, che egli lasciava il posto ad altra persona più bisognosa; come non è vero che egli si sia licenziato il giorno dopo il fatto, e precisamente il 24 marzo c.a.: l’Imberti continuò a recarsi allo stabilimento, conservando ottimi rapporti con lo Zanoletti ed il Baroni, che non tornarono più sul famoso discorso. Di licenziò soltanto verso la metà di aprile, dopo che (come sopra detto) venne a conoscenza delle dichiarazioni del Baroni al Fascio di Nossa. Dalle indagini esperite non si è potuto acquistare una basata convinzione della responsabilità dell’Imberti, né d’altra parte vi sono circostanze che infirmino la denuncia del Baroni, in parte avvalorata dalle dichiarazioni dello Zanoletti. Pertanto presento l’Imberti Giacomo a codesta On. Commissione perché si compiaccia in base all’esame degli atti assunti e dalle eventuali emergenze in seduta, di deliberare nei confronti del ripetuto Imberti il provvedimento che riterrà del caso”. Il testo delle deposizioni davanti ai Cc di Nossa del 2.6.1938 dello stesso Imberti, di Bramilio Baroni, di Amante Zanoletti e del loro capo-sala Alberto Colombo, e quello della deposizione di Luigi Ferrari del 3.6.1938, sono conservati nel fascicolo. Una ricostruzione ancora più dettagliata e firmata dal maggiore Carlo Perinetti dei Cc di Bergamo, viene mandata alla Prefettura il giorno dopo, 5.7.1938, con la proposta della diffida. In effetti, Imberti viene diffidato l’11.7.1938 dopo essere stato arrestato il 31.5.1938 e tenuto in carcere 40 giorni per “manifestazione antifascista”. In seguito a ciò, viene espulso dal Pnf, al quale si era iscritto dal 24.5.1935. Tuttavia, il segretario del fascio di Parre, interrogato in proposito, dichiara che Imberti è un ottimo elemento, tanto che, nel caso in cui venisse radiato dall’elenco dei sovversivi, lo proporrebbe senz’altro per la reiscrizione al Pnf. Nell’ottobre 1941 chiede l’iscrizione al Pnf e il passaporto per recarsi in Germania per lavoro, ma è richiamato sotto le armi e incorporato nella 511a Compagnia Mitraglieri, 77° reggimento Fanteria di stanza a Chiari. (G. Mangini)