Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Mapello (Bg) il 26.12.1886, sposato, con tre figli. Partecipa alla prima guerra mondiale. Antifascista, emigra in Francia e lavora come minatore nella miniera di ferro della Société de la Mine d’Errouville a Crusnes (dipartimento Meurthe-et-Moselle, regione Grand Est), poi rientra in Italia in data imprecisata. Il 7.2.1937 ad Ambivere (Bg), in un pubblico locale, palesemente ubriaco si rivolge ai presenti e dice: “Il Duce vi fa mangiare della cagiada” e poi, indicando una fotografia di Mussolini aggiunge: “Se state con quello lì mangerete cagiada fino a quando camperete, noi francesi abbiamo da mangiare e bere, divertimenti e poco lavoro”. Portatosi in un altro locale dopo aver bevuto ulteriormente, rivolto ai numerosi presenti dice: “Voi italiani mangiate solo della cagiada e polenta; voi italiani siete buoni a nulla, noi francesi si che siamo buoni a far tutto”. A questo punto un gruppo fascisti lo picchia e lo costringe ad andarsene, non prima di aver dovuto gridare per tre volte “Viva il Duce”. Lazzari se ne va, ma prima di uscire si affaccia sulla soglia della porta e all’esercente dice “Arrivederci” e aggiunge “Cagnazzi d’Italiani”. Nello stesso mese ritorna in Francia, a Seronville (dipartimento Haute Moselle). Nel luglio 1937 il Consolato italiano di Longwy (dipartimento Meurthe-et-Moselle, regione Grand Est) segnala al Cpc che Lazzari è iscritto al fascio di Longwy dal 23.6.1935 e che “nulla vi è da eccepire sulla sua condotta morale e politica. Egli però si lascia andare alle volte a bere smoderatamente, vizio abbastanza frequente fra coloro che, come il Lazzari, esercitano il duro e pericoloso mestiere di minatore”. Il 28.9.1939 il capitano Giuseppe Passanisi dei Cc di Bergamo, richiesto dalla Questura di un parere sulla sua possibile radiazione nel contesto della periodica revisione dello schedario dei sovversivi, risponde che Lazzari “non è iscritto al P.N.F. e si ritiene opportuno non radiarlo dallo schedario dei sovversivi anche perché continua a rimanere all’estero senza dare notizie di sé”. ()G. Mangini)