Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Brignano Gera d’Adda (Bg) il 17.1.1911, sacerdote, antifascista. Allievo spirituale di don Cesare Donini, parroco di Brignano Gera d'Adda, dal quale viene indirizzato al sacerdozio. Ordinato sacerdote nel 1934, dal 20.11.1936 viene destinato come vicario coadiutore presso la parrocchia di Caravaggio, in provincia di Bergamo ma sotto la diocesi di Cremona. Come don Donini, anche don Moro non accetta la volontà dello Stato fascista di avocare a sé l'educazione della gioventù italiana, che ritiene prerogativa essenziale della Chiesa. Per questo, appena giunto a Caravaggio, come responsabile dell'oratorio locale organizza iniziative ricreative nelle stesse ore in cui analoghe iniziative vengono messe in atto dall’organizzazione giovanile fascista, la GIL, che così vede diminuire le adesioni. Il segretario del fascio locale, Diego Bonomi, tra la fine del 1936 e gli inizi del 1937 se ne lamenta vivamente presso l'arciprete di Caravaggio. Nel 1938 don Moro si mette in corrispondenza con don Primo Mazzolari dopo aver letto il suo libro, "Il samaritano. Elevazioni per gli uomini del nostro tempo" (Dehoniane, Bologna 1938), scrivendogli il 22.6.1938 una lettera nella quale, come documenta Giorgio Vecchio, esprime tutta la sua volontà di non essere ‘spettatore’, esortando a uscire “una buona volta dal nostro stupido individualismo” (Vecchio 2005). In seguito all'emanazione delle leggi razziali fasciste del settembre 1938, durante la messa domenicale del 30.10.1938, dal pulpito della chiesa parrocchiale di Caravaggio don Moro tiene un sermone in cui, prendendo spunto da un passo evangelico, condanna duramente le leggi razziali. Il giorno dopo si presenta presso il Municipio di Caravaggio la signora Ingrid Parigi, residente a Caravaggio, che rilascia spontaneamente la seguente dichiarazione: “Assistei ieri al discorso tenuto in Chiesa da Moro don Vincenzo, Vicario della Parrocchia. Egli, cogliendo pretesto dalla spiegazione del Vangelo, trattò ampiamente la questione degli ebrei. Disse che gli ebrei sono il popolo eletto; che essi, nonostante tutte le persecuzioni cui sono stati fatti segno fin dai tempi antichi, sono sempre i protetti da Dio. I loro persecutori non esistono invece più, perché di loro si è perduta ogni traccia, accennando così agli Assiri, ai Medi, ai Greci ed ai Romani. Iddio nel suo disegno ha voluto che gli ebrei fossero presenti presso ogni popolo. Un giorno egli li chiamerà a far parte della grande famiglia cattolica. Non bisogna perciò perseguitare gli ebrei e non bisogna espellerli dallo Stato in cui vivono, perché chi opera diversamente, si mette contro i disegni della volontà di Dio. Letto confermato Ingrid Parigi”. Analoga dichiarazione viene effettuata da Enrica Ceserani, figlia di Tobia Ceserani, principale esponente del fascismo a Caravaggio. Lo stesso giorno anche don Moro viene convocato dal Commissario di Ps Luigi Proto e le sue dichiarazioni vengono verbalizzate e da lui controfirmate:
“Ieri, durante la spiegazione del Vangelo, accennai agli ebrei, dicendo che essi costituiscono un popolo eletto, perché iddio li scelse come tramite della rivelazione divina. Per la loro prevaricazione sono stati ripudiati da Dio e maledetti; questa maledizione è visibile ancora dopo duemila anni. Ma iddio li conserva tuttavia anche nella loro dispersione, perché un giorno li chiamerà a far parte della Chiesa. Ecco perché essi non debbono essere perseguitati né ripudiati, quando non facciano male alla società. Gli ebrei sono benemeriti dell’umanità, perché hanno preparato la venuta del messia (di Cristo) ed in vista di questo il Signore li chiamerà un giorno a far parte della Chiesa. Ogni persecuzione non varrà a distruggerli perché, a differenza dei loro persecutori (Assiri, Greci, Romani) di cui non esiste più traccia, gli ebrei esisteranno ugualmente. Letta e confermata”. L’1.11.1938 il tenente colonnello Nino Bixio, comandante del gruppo di Bergamo dei Cc di Milano, scrive al prefetto di Bergamo un’informativa sulla vicenda: “Il giorno 30 ottobre u.s. alle ore 11, il sacerdote Moro don Vincenzo, di Francesco e di Nisoli Stefania, nato a Brignano il 17 gennaio 1911, coadiutore a Caravaggio, in occasione della messa cantata con forte affluenza di fedeli, dal pergamo, durante il commento del vangelo, ha stigmatizzato apertamente i provvedimenti in corso per gli ebrei. Dopo aver premesso che anche gli ebrei sono persone come tutte le altre, ha aggiunto che la campagna contro di essi è stata scatenata da persone senza fede e religione e che, pertanto, i veri cattolici non devono seguire questa falsa strada di persecuzione morale e materiale degli ebrei, ma pregare affinché anche essi possano rimanere alle loro case come per il passato. Il fatto ha provocato qualche sfavorevole commento tra alcuni presenti lasciando finora indifferente la sezione del P.N.F.”. Il ruolo di don Moro a Caravaggio viene ricostruito da Bernardino Savastano, sottotenente comandante dei Cc di Treviglio, nel suo rapporto alla Questura di Bergamo del 12.11.1938:
“Conduce vita ritirata e non frequenta alcuna famiglia in Caravaggio. Allievo spirituale di monsignor Donini, parroco di Brignano, dal quale fu quasi spinto al sacerdozio, ha sempre considerato una menomazione dal Clero la prerogativa della educazione della gioventù che lo Stato Fascista ha evocato (recte: avocato) a sé. Giunto a Caravaggio ed incaricato dell’assistenza dei ragazzi quale direttore del locale oratorio, cominciò ad indire adunate e ricreazioni nelle ore in cui anche la G.I.L. riuniva i suoi inscritti, facendo così diminuire il numero dei ragazzi che intervenivano alle adunate della G.I.L. stessa. Tale modo di procedere, che provocò risentimento da parte dei dirigenti fascisti, fu fatto subito smettere per il pronto intervento del segretario del fascio, rag. Bonomi Diego, di Treviglio, verso l’arciprete di Caravaggio. Da tale epoca (primi mesi del 1937), il don Moro si è astenuto dal compiere atti che potessero provocare risentimento da parte delle autorità politiche, ma non ne ha neppure cercato con la sua opera di fare dissipare quella impressione sfavorevole da lui in precedenza destata. Per quanto sopra ed anche per i pubblici commenti fatti il 30 ottobre u/s ai provvedimenti che lo Stato ha adottato verso gli Ebrei, è ritenuto dalla popolazione di sentimenti poco favorevoli al Regime”. Alla stessa data del rapporto del sottotenente Savastano alla Questura di Bergamo, il 12.11.1938, il Ministero dell’Interno ordina alla Questura di Bergamo che il sacerdote venga sottoposto a diffida, il che avviene il 15.11.1938 nella Questura di Bergamo, dove il sacerdote viene “severamente diffidato a non pronunziare altri discorsi dal pulpito a favore della razza ebraica e ciò ai sensi dell’art. 164 Legge di Ps e sotto comminatoria di più gravi provvedimenti”. Il 10.1.1939 viene trasferito a Piadena (Cr), mentre dal 13.1.1940 risiede a Fontanella (Bg). Non è iscritto al Fascio locale. Nonostante questo, il comandante della stazione dei Cc della tenenza di Treviglio esprime parere favorevole alla radiazione. Dopo aver svolto una prima volta il servizio militare come cappellano, in seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale è richiamato dal 1.9.1940 nel corpo degli alpini presso il 1° Battaglione Guastatori Posta Militare 43. Si imbarca da Brindisi per l’Albania il 17.11.1940. L'esperienza umana e spirituale della guerra sul fronte greco-albanese radicalizza la sua posizione anti-fascista e anti-nazista, come si può leggere nel suo "Diario di guerra 1940-1941". Rientrato a Fontanella al Piano nella primavera del 1941, i Cc di Treviglio il 24.10.1941 scrivono alla Questura di Bergamo che don Moro “in quest’ultimi tempi non ha dato motivo a rimarchi di natura politica, pertanto si ritiene abbia dato sicure prove di ravvedimento. Si esprime parere favorevole circa un’eventuale radiazione dal novero dei sovversivi”. Nell'estate 1942 don Moro chiede di essere richiamato sul fronte russo. Incorporato come tenente cappellano nell'8° reggimento alpino del battaglione ‘Cividale’ della divisione 'Julia', lascia l’Italia il 6.8.1942. Nel contesto della ritirata dei soldati italiani in Russia, viene ferito nei combattimenti intorno alla località di Nowo Postojalowka, tuttavia continua a prodigarsi per aiutare e soccorrere i suoi alpini. Fatto prigioniero dai sovietici, muore il 4 o il 6.3.1943 nel campo di prigionia di Krinovaja per nefrite e congelamento agli arti inferiori. Gli verrà conferita la medaglia d'argento al valor militare, alla memoria. (G. Mangini, R. Vittori)