Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Goriano (Go) il 24.6.1875, sacerdote, definito ‘slavofilo’. Il suo cognome in sloveno si scrive Mesinec, ma le carte della polizia fascista italiana lo scrivono con la 'z' finale per restituirne la fonetica. Sacerdote, amministratore parrocchiale di Truscolo San Canziano di Maresego (Pola). Il 19.4.1924 il pretore di Capodistria lo condanna a 50 lire di ammenda per contravvenzione all’articolo 7 della legge di Ps. Il 30.3.1935 ancora il pretore di Capodistria lo assolve dall’accusa di minaccia e diffamazione per remissione di querela, anche se nel fascicolo non viene riportata la circostanza della querela. Nel corso del 1939 il Tribunale di Capodistria lo condanna a 13 mesi di reclusione per offese al gerente postale di Cortina di Maresego. Dalla fine del settembre 1940 viene nominato parroco di Orecca di Postumia. In una sua relazione al prefetto locale, il questore di Trieste R. Capobianco scrive che Mesinez “non appena prese possesso del suo ufficio dette sfogo al suo livore antitaliano e dal pulpito non si peritò di trattare argomenti tutt’altro che religiosi, adoperando, come in tutti i suoi rapporti, la lingua slovena. Il don Mesinez a causa della sua venalità si è, in pochi giorni, attirato l’odio di quella popolazione creando così un’atmosfera di accesa ostilità nei suoi confronti. É persona avara, avida di denaro e senza scrupoli. Non curante della sua qualità di curatore d’anime, è dedito al vino ed alle bevande alcooliche, ingerendone senza ritegno fino a rendersi ubbriaco, dando, così, pietoso spettacolo ai fedeli”. Inoltre, “è sempre stato di accesi sentimenti sloveni ed acerrimo nemico della penetrazione italiana nelle zone allogene. É capace di attività spionistica ai nostri danni”. Arrestato il 4.11.1940, viene condotto nelle carceri triestine di via Nizza e interrogato da Feliciano Ricciardelli, commissario aggiunto di Ps. Di fronte alle accuse che gli vengono mosse, a sua difesa don Mesinez firma la seguente dichiarazione: “Nego recisamente d’essermi mai occupato di questioni politiche. Per quanto riguarda la messa e la predica, tali funzioni sono state da me trattate in lingua slovena per la popolazione ed in italiano per i militari. Il catechismo ai bambini è stato da me impartito tanto in lingua italiana che in sloveno, poiché ne avevo 38 dai 5 ai 6 anni allogeni e 8 di nazionalità italiana”. Nella stessa data del 4.11.1940 viene condannato dalla Commissione Provinciale di Trieste a 2 anni di confino di polizia per ‘attività antinazionale’. Nel relativo verbale viene indicato come elemento particolarmente pericoloso per avere svolto “attività irredentista slava ed ostacolato con ogni mezzo la nostra pacifica penetrazione tra l’elemento allogeno”. Il 13.11.1940 dal Ministero dell’Interno è destinato a Bergamo presso la Casa del Clero, partendo da Trieste il 15.11.1940 scortato da due agenti. Giunto a Bergamo il 16.11.1940, in questura gli vengono comunicate le prescrizioni previste per i confinati politici: non allontanarsi dalla periferia della città senza il preventivo avviso; non uscire al mattino prima della levata del sole e non rincasare la sera dopo il tramonto; non frequentare esercizi, spettacoli e trattenimenti pubblici, nonché pubbliche riunioni; tenere buona condotta e non dar luogo a sospetti; presentarsi in questura alla fine di ogni mese; portare sempre con sé la carta prescrittiva per esibirla ad ogni richiesta di ufficiali e agenti di Ps. Don Mesinez chiede subito di avere almeno il sussidio governativo giornaliero di lire 8, dato che il costo giornaliero alla Casa del Clero è di lire 18 e la Curia di Bergamo gli corrisponde lire 10 giornaliere. Il sussidio però gli viene rifiutato perché ritenuto possessore di un patrimonio di lire 120.000. Il sacerdote nega di avere tali risorse e scrive subito al vescovo di Trieste, Antonio Lantri, pregandolo di intervenire in proprio favore. Questi, su carta intestata ‘Curia Vescovile di Trieste e Capodistria’, il 10.12.1940 si rivolge alla questura di Bergamo dichiarando che don Mesinez non possiede nulla, dato che “egli è un povero sacerdote, che ha realmente bisogno del sussidio governativo, senza del quale egli si troverebbe nell’impossibilità di vivere. Voglia quindi Codesta R. Prefettura disporre perché il sussidio gli sia concesso”. Dopo aver condotto una breve inchiesta, dalla quale emerge che Mesinez a Orecca di Postumia è solo coadiutore e non parroco e quindi non gode della congrua che spetta ai parroci bensì solo delle offerte in natura dei parrocchiani, la sua richiesta viene accolta e il 26.12.1940 viene accordato a don Mesinez un sussidio giornaliero di lire 6.50. Nel marzo 1941 chiede una riduzione di pena, che gli viene negata. Presentata un’altra richiesta di sussidio sulla base di quanto viene corrisposto a don Bidovec, un altro sacerdote slavo confinato alla Casa del Clero di Bergamo, il 10.5.1941 il Ministero dell’Interno gli concede un adeguamento del sussidio, riconoscendogli lire 50 mensili come indennità d’alloggio e, a partire dall’1.5.1941, lire 8 al giorno di indennità alimentare. Un suo ulteriore appello per la riduzione della pena viene accolto il 10.6.1941 e il 13.6.1941 viene munito di foglio di via obbligatorio e rimpatriato a Trieste, dove deve presentarsi entro due giorni. Il 14.6.1941 viene radiato dall’elenco dei sovversivi della provincia di Bergamo. Nel fascicolo è conservata una sua fotografia in triplice posa. (G. Mangini)