Profilo sintetico riassuntivo
Nata a Tortona (Al) il 16.6.1898, maestra elementare, antifascista. Il padre, dopo essere stato a Tortona, a Torino e a Monza, diviene capo ufficio della polizia urbana di Treviglio (Bg) dal 5.12.1905 al 19.10.1909, incarico dal quale viene licenziato “in seguito a malefatte”, non specificate nei documenti conservati nel fascicolo, inoltre partecipa alla prima guerra mondiale, congedandosi con il grado di sergente maggiore. La Grassi lavora come insegnante elementare in varie località del nord Italia, come Bergamo e Almenno San Salvatore (Bg). Nel 1934, passa a Monza e nel 1935 si trasferisce nella provincia di Varese, dove insegna in diverse località (Mercallo, Sesto Calende, Borsano di Busto Arsizio) fino al termine dell’anno scolastico 1937-1938. Affetta da grafomania, viene sottoposta ad una visita collegiale e il 10.6.1938 dispensata in modo permanente dall’insegnamento. Da Busto Arsizio il 25.8.1938 torna a Bergamo, dove prende alloggio al dormitorio popolare di via Torre del Raso 4, dicendo di doversi fermare in città 15 giorni circa. In realtà si ferma più a lungo, lavorando come istitutrice presso famiglie a lei note. Nel frattempo la madre, Luigia Porrino, si trasferisce a sua volta a Bergamo in via Santa Lucia 1, presso la famiglia Zanchi, per stare il più possibile accanto alla figlia, i cui bagagli sono rimasti presso la persona che aveva ospitato la Grassi a Busto Arsizio. Il 6.10 1938 il brigadiere Luigi Guidolotti, della squadra politica della questura, in una nota di servizio segnala la sua presenza a Bergamo: “si crede abbia ad esercitare la professione di istitutrice presso famiglie da lei già conosciute. Pertanto fino oggi non ha dato luogo a rilievi”. La Grassi, tuttavia, nella convinzione di aggirare i controlli polizieschi, il 10.3.1939 spedisce da Bergamo una busta a Benedetto Croce e una ad Antonio Monti, direttore del Museo del Risorgimento al Castello Sforzesco di Milano. In entrambe le buste, mai recapitate ai destinatari, è inclusa la stessa lettera indirizzata a Vittorio Emanuele III, accompagnata da un biglietto in cui Grassi chiede rispettivamente a Croce e a Monti di farsi da tramite per fare avere al Re la sua lettera ‘politica’, con la quale supplica il Re di ripristinare lo Statuto e le libertà fondamentali in esso previste contro gli stravolgimenti fascisti. Questo è il testo della lettera:
“Per S. Altezza il Re Imperatore d’Italia
Vittorio Emanuele III
Roma
In nome
della parte del Popolo Italiano pura ed oppressa,
in nome
della sacra Memoria di Re Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II,
in nome
del sangue di Re Umberto, augusto Genitore di V. Maestà,
in nome
di tutti i Martiri della causa Italiana,
Supplico
Sua maestà, prestare l’autorità e potenza della Corona affinché venga rispettato il santo Statuto, onore e gloria d’Italia, che venne in questi ultimi anni calpestato.
Supplico venga ripristinata integralmente quella Legge statutaria che fu base e fulcro dell’eccelso Risorgimento nostro. Ridonando al Popolo il già sancito potere elettorale.
Supplico ridare la “libertà di stampa” e ogni altro dono già concessi dai magnanimi Savoia che seppero elevare dal fango del dispotismo e della tirannia, l’italo suolo.
La mia supplica, non ambisce a nulla di particolarmente nuovo, solo richiede il già dato e che fu repentinamente rapito con inganno, tradimento, violenza, da nemici interni mentre resistette impavido a Vignale.
Lo chiedo supplice a Vostra Maestà, in nome di quel Dio che Re Vittorio Emanuele II ritenne Fautore primo del grande edifizio costituzionale italico elevato dalla di Lui volontà, fermezza ed amore di Patria e Popolo. – Ringraziamo insieme Iddio –, Egli disse nel discorso parlamentare del 1874, - e colla costante virtù dei propositi e degli atti, continuiamo a meritare la protezione e l’aiuto.
<Dio premia chi lo serve colla giustizia e colla carità, non chi opprime i popoli e conculca il diritto delle nazioni> disse da Ancona ai soldati, nel 1860.
- La nostra patria, non è più l’Italia dei Romani, né quella del medio evo, ma deve essere bensì l’Italia degli italiani – così chiariva il gran Re nel discorso del 2 Aprile 1860.
Per questa “Italia degli italiani” che so posta a a tutela dell’onore di Casa Savoia con fede di giuramento, supplico e ringrazio.
Devota suddita Grassi Giuseppina
10-3-1939 da Bergamo”.
Il biglietto di accompagnamento indirizzato a Monti recita:
“Pregiatissimo. Non posso ammettere ch’Ella possa profanare il tempio di cui n’è custode. Credo invece abbia a sentire il sacrosanto dovere di rivendicare la sublime ed alta Idea di cui i cimeli parlano. Nella di lei condizione sociale, avrà forse mezzo di far pervenire all’augusto Destinatario, l’acclusa supplica per via intima e privata. Spedita come corrispondenza, arenerebbe. Fiduciosa che, nella possibilità, mi assecondi, sentitamente ringrazio. G. Grassi. Bergamo 10-3-1939”.
Le lettere, intercettate rispettivamente dalla polizia postale della Questura di Napoli e da quella di Milano, il 20.3.1939 portano all’arresto della Grassi, che lo stesso giorno viene ricoverata nell’ospedale psichiatrico provinciale di Bergamo. Il 24.3.1939 la questura di Varese informa quella di Bergamo che “gli inconvenienti a cui la predetta diede luogo erano costituiti dai princìpi anticattolici dei quali infarciva le lezioni da lei impartite ai bambini; da lunghi e sconclusionati memoriali sullo stesso tono che inviava con frequenza all’Autorità del Regno; da intemperanti giudizi da lei espressi contro il Fascismo e il Duce, discutendo con le colleghe e con altre persone, tanto che più di una volta fu proceduto al di lei fermo. Fu poi rilasciata in considerazione delle sue menomate facoltà mentali”.
Il 12.5.1939 il questore di Milano informa quello di Bergamo dell’intercettazione della lettera al direttore Monti e così presenta la Grassi: “è una psicopatica, con tendenza ad una strana forma di mania religiosa, nel 1936 venne trasferita dalle scuole elementari di Mercallo per le sue manie in fatto di religione”. Le condizioni complessive della Grassi inducono i genitori, benché separati, a farsi carico della figlia. La madre, facendo leva sulla sua conoscenza del Commissario capo di Ps Giovanni Guaitani, in quel momento in servizio a Trento ma in precedenza a Treviglio (dove la madre della Grassi l’aveva conosciuto) e poi a Bergamo (dove Guaitani tornerà dal 29.11.1944 al 5.5.1945 come podestà per il Partito Fascista Repubblicano), gli si rivolge per ottenere un aiuto. Guaitani accondiscende scrivendo un biglietto, conservato nel fascicolo, indirizzato al funzionario di Bergamo suo corrispettivo in grado e consegnato dalla madre della Grassi:
“Trento 19/5.939-XVII Carissimo collega, Ti presento e ti raccomando caldamente la Signora Luigia Porrino Grassi, una vera povera martire che ha sofferto la vita intiera ogni sorta di sofferenze fisiche e morali. Ti assicuro che è meritevole della migliore considerazione. Aiutala in quanto ha bisogno e farai cosa veramente meritoria. Ti ringrazio e ti saluto caramente. Aff. mo G. Guaitani”.
Il 22.5.1939 la madre della Grassi si rivolge direttamente per lettera al questore di Bergamo:
“Ill.mo R. Questore Bergamo
Ritengo inutile dilungarmi sulla dolorosa sorte di mia figlia ‘Grassi Giuseppina’ già insegnante ad Almenno S. Salvatore; e dei miei rapporti con la stessa, perché ormai tutto noto a V.S.Ill e ad altre autorità cittadine.
Dirò invece che soltanto il 21 Aprile u.s. seppi che la suddetta mia figliola venne ricoverata al Manicomio; = silenzio che di proposito è stato mantenuto da quelle pietose persone che da lunghi anni mi seguono nelle mie numerose sofferenze fisiche e morali, sperando potermi evitare un nuovo intenso dolore = e richieste informazioni, l’Ill. Direttore, così mi rispondeva: «La figlia Sua è affetta da paranoia cioè essa giudica male i fatti e quindi si espone ad inconvenienti e dissidi molteplici che la rendono asociale. Del resto qui è quieta, rassegnata. Esprime le sue idee di riforma sociale e motiva. Il prognostico è incerto. Sarà difficile che la figlia Sua possa mutare idee; però non è escluso che in seguito possa riacquistare un discreto equilibrio. Comunque si vedrà come decorre la psicopatia».
Nel frattempo ho potuto stabilire che l’ultima sua residenza scolastica fu Borsano di Busto Arsizio e che a quell’epoca (ottobre 1937) aveva preso stanza stabile a Busto A.
Prego quindi V.S. Ill.ma voler far esperire accertamenti per sapere a chi è stata affidata la roba che possedeva; e ciò chiedo nell’esclusivo interesse della mia povera figliuola.
Confidando nell’esaudimenti, ringrazio e con profondo ossequio mi segno della S.V. Ill.ma umil.ma
Porrino Grassi Luigia via S. Lucia 1° Casa Zanchi.
Bergamo, 22-V-939 – XVII°”.
Il 6.6.1939 il questore si attiva in tal senso e si rivolge alla direzione dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Bergamo chiedendo di interrogare la Grassi per sapere esattamente dove sono rimasti i suoi bagagli e poterli così recuperare. Il 16.6.1939 il direttore Rostan dell’Ospedale Psichiatrico comunica al questore che “la Grassi Giuseppina non vuol dire dove abbia depositata la sua roba. Solo ha dichiarato di avere qualche indumento al Dormitorio Pubblico”. Il 17.6.1939 il questore incarica gli agenti della squadra politica di controllare se effettivamente tali oggetti siano presenti al Dormitorio Popolare e, constata l’effettiva presenza degli effetti personali della Grassi, il 20.6.1930 il custode dell’Ospedale Psichiatrico, Angelo Perico, riesce a recuperarli e a consegnarli alla proprietaria. Il giorno dopo, con effettiva solerzia, il questore di Bergamo si rivolge al collega di Varese, ultima provincia di residenza e di lavoro della Grassi prima del suo trasferimento a Bergamo, chiedendogli di attivarsi per trovare l’ubicazione delle rimanenti cose di sua proprietà e rimaste in giacenza. La pratica viene risolta agli inizi dell’ottobre successivo, quando la Questura di Varese comunica a quella di Bergamo l’indirizzo di Busto Arsizio presso il quale si trovano i bagagli della Grassi. A sua volta, la questura di Bergamo ne trasmette notizia alla madre della Grassi. Nel frattempo, l’8.6.1939, la Grassi ha scritto una lettera al questore di Bergamo nella quale chiede di essere dimessa dall’ospedale psichiatrico, impegnandosi a non occuparsi mai più di politica e ad accettare di trasferirsi presso suo padre, che si propone come garante dei comportamenti della figlia. In calce alla lettera c’è anche l’appunto autografo dello psichiatra curante, il dr. Alberto Zilocchi, che si dice favorevole alla richiesta. Due giorni dopo, il 10.6.1939, il padre della Grassi scrive al questore di Bergamo dalla Casa di Riposo per veterani di Turate (Co), dove vive, chiedendo di acconsentire al rilascio della figlia e al suo trasferimento presso di lui, dichiarando che il direttore dell’ospedale psichiatrico di Bergamo, prof. Alberto Rostan, si dice favorevole a tale provvedimento a condizione che in proposito ci sia il nulla osta della Questura. Il nulla osta, tuttavia, viene negato, dato che la Questura di Bergamo ne trasmette il contenuto a quella di Como, competente per quanto riguarda la località di Turate e al cui podestà la Questura di Como si rivolge per averne parere. Il parere però è, appunto, negativo, dato che il padre della Grassi è a sua volta ospite della Casa Veterani Umberto I°, non ha i mezzi per occuparsi della figlia e non può garantire il comportamento della figlia in rapporto agli altri ospiti della Casa. Con la caduta del fascismo del 25.7.1943, il padre della Grassi scrive il 7.8.1943 al nuovo questore, ribadendo la stessa richiesta di liberazione della figlia sotto la propria tutela già avanzata nel 1939, “cosa ch’io non potei ottenere dal Signor Questore d’allora trattandosi d’una ostile al fascismo, manifestatasi col detto scritto. Ora però coll’avvento del nuovo Governo che ha ristabilito la primiera libertà di pensiero ed abolito il Partito Fascista, per cui tutti i detenuti politici per antifascismo sono stati rimessi in libertà, faccio viva istanza alla S.V. onde voglia compiacersi dare il benestare per la liberazione di detta mia figlia, di cui sono anche il suo legale tutore poiché ora non può più essere cagione di pericolo per l’ordine pubblico. Prego quindi la S.V. favorirmi uno scritto in merito onde io possa presentarlo al Signor Direttore dell’ospedale ed ottenere così la libertà di detta mia figlia”. Informato di tale lettera e richiesto di un parere in proposito, l’11.8.1943 così risponde il direttore dell’ospedale psichiatrico di Bergamo, prof. Rostan, al procuratore del Re di Bergamo: “questa Direzione non ritiene rilasciare la Grassi in esperimento sotto la propria responsabilità ma ne farà consegna dietro autorizzazione della Autorità competente che avrà accertato se esistono le condizioni necessarie per la cura e la custodia della paziente tuttora affetta da Psicosi paranoide”. L’ultimo documento in ordine cronologico conservato nel fascicolo è del 5.4.1944. Si tratta di un’informativa spedita dalla Questura repubblicana fascista di Como a quella di Bergamo, con la quale si trasmette una generica cartolina postale inviata dalla Grassi al padre dall’ospedale psichiatrico di Bergamo e indirizzata alla Casa di riposo di Turate. (G. Mangini)