Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Bergamo il 21.9.1889 da Casimiro (di Francesco, nato a Randazzo, provincia di Catania) e Santa Maria Battisti, detta Marina (di Giulio, nata probabilmente a Verona nel 1864, morta a Roma nel 1920). In seguito ad un atto rogato dal notaio Carlo Vitali di Bergamo il 30.9.1891 e registrato all’anagrafe del Comune di Bergamo il 17.12.1891, il padre Casimiro barone Vagliasindi riconosce ufficialmente il figlio, che così ne acquisisce legalmente il cognome. I due genitori si sposano poi a Verona il 22.12.1895. Prima di Pietro Paolo, a Brescia il 24.11.1886 era nato un altro figlio, Casimiro Angelo Francesco, a sua volta solo in seguito riconosciuto dal padre con atto del 2.5.1891 di Alessandro Melchiori, notaio in Brescia, registrato all’anagrafe del Comune di Brescia l’11.5.1891. Figlio di un generale del R. Esercito, Pietro Paolo Vagliasindi nasce a Bergamo per mera casualità, dato che la famiglia non vi ha mai risieduto, né vi sono parenti o conoscenti. Il fratello maggiore, inizialmente militare come il padre, lascia l’esercito e diviene direttore di banca a Milano. Le vicende della vita di Pietro Paolo, perciò, non hanno alcuna attinenza con Bergamo: il fascicolo che lo riguarda viene aperto dalla locale Prefettura perché si tratta della sua città natale. Il fascicolo, però, è voluminoso perché segue gran parte delle numerose e varie vicende in cui è coinvolto, benché non vi siano notizie su luoghi, forme e contenuti della sua formazione scolastica giovanile. Svolge il servizio militare in Fanteria come sottotenente di complemento a partire dal 9.2.1911. Nel settembre dello stesso anno, al momento dell’inizio della guerra di Libia, non è chiamato dall’esercito per le operazioni militari, alle quali però intende partecipare. Si procura una divisa da bersagliere e, all’insaputa del padre, si imbarca come volontario per Tripoli. Al momento del suo arrivo, nell’ottobre 1911, viene riconosciuto, arrestato e posto a disposizione del comando per essere rimpatriato con foglio di via obbligatorio. Elusa la sorveglianza cui è sottoposto, raggiunge l’11° Reggimento Bersaglieri, di presidio ad alcuni sobborghi della capitale libica. Anche qui viene riconosciuto e costretto all’abito borghese in attesa di ordini. Tuttavia, è ormai imminente un contrattacco turco alle postazioni italiane e nella battaglia del 23.10.1911 a Sciara Sciat, a est di Tripoli, si mette agli ordini del colonnello Gustavo Fara (Orta San Giulio, 18.9.1859 – Nervi, 24.2.1936), comandante del Reggimento di stanza in quella località. Il suo comportamento valoroso induce Fara a ignorare le pendenze di Vagliasindi con la giustizia militare e ad affidargli il comando di un plotone di bersaglieri con cui tre giorni dopo, il 26.10.1911, contribuisce a respingere un nuovo contrattacco portato dai turchi alla collina di Henni, a poca distanza a sud di Sciara-Sciat. Il generale Guglielmo Pecori-Giraldi, comandante del settore tripolino, insieme ai rimproveri per il mancato rispetto degli ordini gli manifesta il suo apprezzamento. In questa circostanza Vagliasindi ottiene la sua prima medaglia d’argento al valor militare. Nel corso della guerra ottiene un’altra medaglia, stavolta di bronzo, in occasione della battaglia di Sidi Abd el-Samad del 15.8.1912. Dopo la fine della guerra rimane a lungo in Libia come comandante dell’XI° Battaglione Eritreo, con il quale reprime con durezza la guerriglia anti-italiana. In Libia il suo grado è quello di tenente e, appena prima del suo rientro in Italia, viene promosso capitano dell’arma di Fanteria e del corpo aeronautico. Al momento del suo rientro in patria il 4.10.1915, la guerra italiana contro l’Austria è in pieno svolgimento e Vagliasindi chiede subito di essere inviato al fronte. Gli viene assegnato il comando del 147° Reggimento Fanteria, inquadrato nel Terzo Corpo d’armata, dislocato in una frazione del comune di Sagrado (Go), Sdraussina (dal 1923 rinominata Poggio Terza Armata), posta tra il fiume Isonzo e il Monte San Michele. Viene ferito in battaglia e già il 22.10.1915 a Sdraussina riceve la sua seconda medaglia d’argento. Dopo la convalescenza ritorna in prima linea sul Carso, al comando di una compagnia di bersaglieri nella conca di Plezzo, nei pressi di due montagne, il Rombon e il piccolo Javorcek. Nel contesto della nona battaglia dell’Isonzo, dall’1 al 3.11.1916 partecipa allo scontro del monte Plecinka, oggi in territorio sloveno, conquistandosi la terza medaglia d’argento al valor militare. Sul Plecinka combatte con Achille Starace, futuro segretario politico fascista, del quale diviene amico. Agli inizi del 1917 acquisisce il grado di maggiore. Nel contesto della guerra svolge un ulteriore ruolo perché, insieme ai due ufficiali Cristoforo Baseggio (già volontario in Libia) e Luigi Freguglia (a sua volta in Libia), è tra i fondatori degli Arditi, un corpo speciale dei Reparti d’Assalto, ufficialmente costituiti il 29.7.1917 a Manzano (Ud), in località Sdricca, presso la Scuola delle Truppe d’Assalto, nuovo comparto della fanteria italiana. Tra l’agosto e l’ottobre 1917 con gli Arditi partecipa alle sanguinose battaglie della Bainsizza, del San Gabriele, del Monte Santo e del Monte Piana. Durante la ritirata di Caporetto combatte con 800 Arditi del XXII° Reparto per proteggere la ritirata sui corsi d’acqua Torre (affluente di destra dell’Isonzo, a est di Udine), e Meduna (principale affluente del fiume Livenza), a Sacile e a Cavazuccherina (oggi Jesolo): giunto dall’Isonzo al Piave, gli rimangono circa 100 uomini. In vista della controffensiva italiana passa a comandare l’VIII° Reparto d’Assalto, costituito da uomini scelti da lui. Combatte agli ordini del generale Ottavio Zoppi nella ‘battaglia del Solstizio’, in particolare a Fossalta di Piave, dove il 18.6.1918 con gli Arditi guida tre contrattacchi facendo alcune centinaia di prigionieri e recuperando molte mitragliatrici. Per il comportamento di Vagliasindi, il maggiore Giorgio Moro Lin, comandante del III Gruppo d'Assalto, lo propone per la medaglia d'argento. La medaglia d’argento non gli viene concessa, bensì quella di bronzo, che gli verrà conferita solo il 12.7.1921. Dopo la guerra è collocato in aspettativa per la riduzione del numero di ufficiali dell’esercito. Nel marzo 1919 aderisce al programma dei fasci di combattimento mussoliniani di piazza San Sepolcro a Milano. Molto stretto è il suo rapporto con Gabriele D’Annunzio, con il quale condivide l’esperienza di Fiume, diventandone portavoce e assumendo il ruolo di Ispettore dell’esercito della Reggenza del Carnaro. Alla vigilia del Natale 1920, quando l’esercito italiano, comandato dal generale Caviglia, ha ormai circondato le posizioni fiumane, Vagliasindi riesce a convincere D’Annunzio che è giunto il momento di aprire il fuoco, ma ormai è troppo tardi e, dopo la tregua del giorno di Natale, il 26 ricomincia il fuoco italiano, il che induce D’Annunzio a chiudere l’esperienza fiumana. Dal 23 al 31 dicembre 1920 Vagliasindi firma 9 bollettini di guerra prima dello scioglimento dell’esercito fiumano. Tornato alla vita civile, mantiene i rapporti con D’Annunzio, ritiratosi al Vittoriale. Vagliasindi si stabilisce prima a Milano, poi per alcuni mesi a Catania. Stabilitosi poi a Roma, frequenta gli ambienti della corte, lo stesso Mussolini e la dirigenza fascista, con la quale però entra in urto in seguito al delitto Matteotti, da lui stigmatizzato, rispetto al quale fornirà materiali epistolari allegati all’atto d’accusa formulato dal giornalista cattolico Giuseppe Donati contro il quadrumviro Emilio De Bono, capo della polizia. Nel corso del 1925 si allontana dall’Italia come fascista dissidente o forse come ex-fascista. Dopo essere stato per breve tempo in Africa orientale si trasferisce in Francia. A Parigi, in particolare, frequenta il variegato e ambiguo mondo dei dissidenti fascisti fuggiti dall’Italia. Tra questi ci sono Carlo Bazzi, Cesare Rossi, Arturo Fasciolo. Rossi e Bazzi, in particolare, sono a conoscenza di moltissime cose sulle vicende fasciste, sia sugli affari economico-finanziari degli uomini più in vista del regime, sia sulle violenze esercitate nei confronti degli oppositori. Va ricordato che l’aggressione condotta contro il deputato repubblicano Ulderico Mazzolani, prelevato a forza a Roma nella notte tra il 25 e il 26.10.1923 da parte di Amerigo Dumini (il capo della banda che pochi mesi dopo rapisce e uccide Matteotti usando le stesse modalità) e dei suoi complici, era stata ordinata da Rossi, mentre l’auto con cui Mazzolani era stato rapito era stata fornita da Bazzi. L’assassinio di Matteotti nel giugno 1924, tuttavia, cambia irreversibilmente la vita di tutti questi uomini. Ne è un esempio il caso di Ludovico Perrone. Agente e spia fascista, durante la prima guerra mondiale era stato agli ordini di Vagliasindi, che aveva seguito anche nell’avventura di Fiume e nell’ingresso nelle fila fasciste. Perrone a Roma diviene capomanipolo fascista della CXII legione della Mvsn, attiva soprattutto nelle provocazioni e nelle violenze contro gli avversari del fascismo. L’inchiesta nata dopo il delitto Matteotti aveva fatto emergere non solo la diretta responsabilità del potere fascista, ma anche l’esistenza di una speciale organizzazione squadristica parallela, denominata la Ceka fascista, che aveva come riferimento Amerigo Dumini, costituita per neutralizzare o eliminare uomini scomodi al potere, fascisti o antifascisti che fossero. Voluta da Mussolini, la Ceka fascista era coordinata dagli uomini di Mussolini, tra i quali appunto Cesare Rossi e lo stesso capo della polizia Emilio De Bono. Spaventato dalla piega che l’inchiesta stava assumendo e dall’emergere delle sue responsabilità, Perrone aveva chiesto protezione a De Bono, ma non sentendosi tutelato nell’estate 1924 fugge in Francia. Per tentare di attenuare i rischi, Perrone scrive all’unica persona che, a suo giudizio, è in grado di aiutarlo: Vagliasindi. Perrone ammette il suo ruolo nell’agguato ad Amendola, fa i nomi dei complici e invoca l’attenuante dell’aver obbedito agli ordini, indicando come responsabili De Bono, che aveva conferito l’ordine, e lo stesso Mussolini, che aveva deciso l’azione. Tramite il giornalista cattolico Giuseppe Donati, direttore del quotidiano «Il Popolo», Vagliasindi fa conoscere le lettere di Perrone alla commissione di senatori che, come Alta Corte, deve giudicare De Bono. Nella circostanza Donati fa conoscere anche la lettera-memoriale scritta a Mussolini da Cesare Rossi. Donati, in quella sede, afferma che l’originale della lettera è nelle mani di Vagliasindi. L’Alta Corte, tuttavia, assolve De Bono. La vicenda Matteotti, con l’uso dei materiali epistolari forniti da Vagliasindi, sembra allontanare quest’ultimo dagli uomini del fascismo al potere e avvicinarlo ad altri che, tra dissidentismo fascista e antifascismo, cercano una diversa collocazione. Alla fine del 1924 Vagliasindi si reca a Gardone da D’Annunzio e i fascisti, informati di ciò, temono che Vagliasindi possa mettere D’Annunzio contro Mussolini. É la vigilia del discorso mussoliniano in parlamento del 3.1.1925. Tuttavia, ci sono elementi che lasciano ritenere Vagliasindi coinvolto in una sorta di doppiogioco. Nel corso del 1925, infatti, è in rapporto con l’ambasciatore italiano a Parigi, Romano Avezzana, e con il commissario di polizia Giuseppe Sabbatini, giunto appositamente da Roma per organizzare un centro di sorveglianza, controllo e repressione del fuoruscitismo. In tal senso, Vagliasindi viene incaricato di mettersi in contatto soprattutto con Carlo Bazzi, per tentare di comprenderne le intenzioni allo scopo di neutralizzarlo. Nel 1927 Vagliasindi viene promosso tenente colonnello, ma la sua frequentazione di Bazzi non solo non deve avere prodotto i risultati che le autorità fasciste avevano sperato, ma lascia loro sospettare una possibile complicità tra i due. Con l’accusa di essere una spia, nel febbraio 1927 viene espulso dalla Francia. Il capo della polizia fascista Arturo Bocchini, con un telegramma dell’11.2.1927, chiede a tutti i prefetti del Regno di essere tempestivamente informato via telegrafo qualora Vagliasindi dovesse rientrare in Italia. In effetti, nel febbraio 1927 Vagliasindi si presenta al console italiano di Rotterdam per il rilascio del passaporto. Il console, secondo prassi istituzionale, si rivolge alle Questure di tutte le città in cui Vagliasindi ha risieduto e a quella in cui è nato, appunto Bergamo. Si tratta della prima occasione di interessamento nei suoi confronti da parte della Questura locale. Cinque settimane dopo, il 18.3.1927, con un’informativa riservata e indirizzata ai prefetti del Regno, la DAGR - Divisione Affari Generali e Riservati del Ministero dell’Interno descrive i suoi connotati: statura 1.76, torace 0.87, capelli castani lisci, occhi castani, colorito rosso, dentatura sana, segni particolari cicatrice alla fronte, sopracciglia castane, fronte bassa, naso greco, bocca larga, mento quadrato, viso lungo. Un mese dopo, con la nota riservata n. 07933 del 19.4.1927, la DGPS - Direzione Generale di Pubblica Sicurezza ordina al prefetto di Bergamo, al console d’Italia a Rotterdam e al Gabinetto del Ministero della Guerra che, in caso di specifica richiesta, il nulla osta per il rilascio del passaporto venga rifiutato. Vagliasindi però giunge in Belgio con un passaporto valido rilasciato a Milano nel luglio 1925. Il 17.5.1927 fissa la sua dimora nei pressi di Bruxelles, a St. Gilles, rue d’Argonne 16, nell’Albergo del Progresso. Con nota del 10.9.1928 (protocollo n. 40996/1479) indirizzata al prefetto di Bergamo, il Cpc chiede indagini a tutte le Questure delle località in cui ha dimorato “per accertare quale condotta politica egli abbia tenuta in Patria”. La Questura di Bergamo si attiva subito e il 19.9.1928, con richiesta protocollata al n. 7801, scrive alla Questura di Verona per avere notizie. La risposta giunge il 25.9.1928: la famiglia Vagliasindi non ha mai risieduto a Verona, trasferendosi a Treviso lo stesso giorno del matrimonio. Il 29.9.1928 la Questura di Bergamo si rivolge allora a quella di Treviso per eventuali informazioni, ma la risposta del 24.10.1928 è che a Treviso è sconosciuto. Appurato che Vagliasindi è in Belgio, nelle settimane successive continua lo scambio tra le diverse strutture dello Stato per rintracciarlo e avere sue notizie. Sulla scorta dell’informativa n. 200 del 29.9.1928 spedita dal Consolato Generale italiano di Amsterdam - in cui si afferma che “non risulta che, nel febbraio del 1927, sia stato richiesto alla Prefettura di Bergamo il nulla osta per la concessione del passaporto a favore del Vagliasindi Pietro di Casimiro. Questo nome è inoltre sconosciuto a questo Consolato, né si ebbe mai a notare nel registro dei connazionali di questo Distretto” –, il 24.10.1928 il Cpc chiede alla Prefettura di Bergamo di avere in visione, qualora fosse presente negli atti, l’originale della richiesta del nulla osta avanzata dal Consolato di Amsterdam a Bergamo. Il prefetto di Bergamo, tuttavia, il 2.11.1928 risponde spiegando che il nulla osta non è stato richiesto dal console di Amsterdam, bensì da quello di Rotterdam; trasmette inoltre al Cpc tale richiesta, informando che una successiva richiesta è stata inoltrata dal Consolato di Bruxelles con foglio n. 467 del 27.7.1928, a cui la Questura di Bergamo non ha aderito in seguito alle istruzioni ricevute dalla DAGR del Ministero dell’Interno con la nota 07933 del 19.4.1927. Il questore di Treviso, per parte sua, il 20.12.1928 ribadisce alla Questura di Bergamo che Vagliasindi non è stato rintracciato a Treviso, aggiungendo però che dall’annuario militare risulta essere “in forza alla Divisione Militare di Milano e collocato in aspettativa per riduzione di quadri”. Il 16.5.1929 il Cpc ricorda alla Divisione Polizia Politica e alle Prefetture di Como e Bergamo che, come già comunicato nel telegramma circolare n. 5933 dell’11.2.1927, Vagliasindi deve essere iscritto in RF (n° 12061) con l’indicazione di fermarlo alla frontiera qualora rientrasse in Italia. La Questura di Bergamo, in una nota interna di pochi giorni dopo, il 23.5.1929, al suo nome associa la dicitura ‘antifascista da fermare’. L’intera vicenda di Vagliasindi, tuttavia, più che l’esperienza politica, certo importante, ha come filo conduttore la sua esperienza militare. Dal punto di vista dell’esercito italiano, a tutto il 1929 il suo profilo è il seguente: presta regolare servizio militare dal 9.2.1911 e nel 1927 raggiunge il grado di Tenente Colonnello; a decorrere però dall’1.3.1929 è collocato a riposo d’autorità per motivi disciplinari ed iscritto nei ruoli della riserva con Regio Decreto del 7.2.1929, registrato alla Corte dei Conti il 12.5.1929 (registro 67, foglio 149); infine, il 15.11.1929 viene iscritto nel ruolo 71.B della forza in congedo del Distretto di Bergamo quale soldato di Fanteria col n. 25254 di matricola. Intanto, con una nota riservata del 31.5.1929, il Cpc informa le Prefetture di Como e Bergamo che Vagliasindi è ancora a Bruxelles ma ha un nuovo domicilio, in rue Aviateur Thieffry 72/74, che in realtà è l’indirizzo di un sobborgo di Bruxelles, Etterbeek. Il 6.7.1929 la Questura di Milano si rivolge a quella di Bergamo per avere notizie su di lui (famiglia, condizioni economiche, indirizzo). La risposta viene spedita due giorni dopo, il 9.7.1929, e costituisce un breve sunto delle informazioni fin qui delineate. Il console italiano di Bruxelles, nel frattempo, informa che Vagliasindi ha comunicato il suo nuovo indirizzo: risiede ad Anderlecht, in rue Lieutenant Liedel 87. Ha un impiego presso un locale pubblico di Bruxelles, dove aiuta la gerente, la belga Marie Van de Cauter, nella conduzione del locale. Tra il dicembre 1929 e il gennaio 1930 progetta di lanciare una grande campagna di stampa anti-mussoliniana, ma nella capitale belga si limita a collaborare con Bazzi, il quale scrive articoli anti-mussoliniani e pubblica sul quotidiano di Bruxelles «Le Soir» con la firma di Vagliasindi, che a Bruxelles può contare, dal 1928 al 1930, sull’appoggio del console Camillo Giuriati, da lui quasi certamente conosciuto durante la prima guerra mondiale e a sua volta, come Vagliasindi, pluridecorato al valor militare. Nel giugno 1931 è di nuovo in Francia, a Parigi, dove gli informatori fascisti segnalano che Vagliasindi, definito “l’aviatore siciliano”, due o tre volte alla settimana si reca verso sera ad Argenteuil, dove effettua prove di volo con idrovolanti di proprietà di suoi amici. A Roma cresce la preoccupazione dopo che lo stesso informatore, nel settembre 1931, riferisce che Vagliasindi avrebbe detto ad alcuni amici di essere in trattative per l’acquisto di un aereo per effettuare un’incursione sulla capitale italiana. Dal Cpc viene pertanto chiesto all’ambasciata italiana di raccogliere informazioni più precise in proposito. Vagliasindi si muove sia all’interno della Francia, tra Parigi, Nizza e Marsiglia, sia tra Francia e Belgio. Infatti, il 15.6.1932 il Cpc informa l’ambasciata italiana di Bruxelles e il prefetto di Bergamo che domenica 29.5.1932, ad una riunione della sezione di Bruxelles dell’Associazione Nazionale Ex-Combattenti organizzata per celebrare l’anniversario del 24 maggio, “insieme alla signora” si è presentato Vagliasindi, intrattenendosi in cordiale colloquio con il primo consigliere dell’ambasciata, Scaduto, e il console italiano di Bruxelles, cav. Giovan Battista Cuneo, ospiti dell’iniziativa. Nella circostanza chiede di poter far parte dell’associazione. Il Cpc, con malcelato stupore, chiede conferma della segnalazione ricevuta all’Ambasciata italiana di Bruxelles, “tenendo presente che pel Vagliasindi è intercorsa numerosa corrispondenza con cotesta R. Ambasciata”, dato che, alla voce ‘oggetto’ della lettera, accanto al suo nome sta scritto ‘antifascista’. L’ambasciata di Bruxelles tramite il Ministero degli Esteri reagisce prontamente alla sollecitazione e già il 19.6.1932 il Cpc, dopo aver ricevuto il rapporto chiesto a Bruxelles, è in grado di comunicarlo anche al prefetto di Bergamo: “Il Vagliasindi si alzò quando fu suonata la Marcia Reale e rimase rispettosamente in piedi anche durante il suono di Giovinezza. Alla fine del rancio, il Vagliasindi si presentò al R. Console, Cav. Cuneo, e gli dichiarò che i suoi sentimenti di italiano e di Ufficiale ex combattente lo avevano indotto a partecipare alla cerimonia. Ho tenuto a segnalare il fatto sebbene non sappia fino a che punto i sentimenti del Vagliasindi siano sinceri e se il suo atteggiamento, in questa occasione, sia stato determinato da resipiscenza o dall’interesse che egli può avere che la R. Ambasciata non lo danneggi nello svolgimento della sua attività come proprietario-direttore del locale mondano da lui gestito”. Quest’ultimo riferimento riguarda in realtà due locali che gestisce a Bruxelles, il già citato ‘Taverne’ del Residence Palace e la ‘Bombe’. L’annotazione rimanda anche alla difficoltà di spiegare la disponibilità di capitali di cui Vagliasindi sembra disporre e, anche in questo caso, ad emergere è l’opacità della sua figura, dato che non è chiaro se i suoi capitali, di cui si preoccupa anche il Cpc in una nota del 4.9.1932 al prefetto di Bergamo, siano i proventi dell’attività dei due locali o se, invece, non siano proprio i capitali già disponibili ad aver reso possibile l’apertura dei locali. Alla fine del marzo 1933 Vagliasindi si presenta al Consolato generale italiano di Barcellona per avere il visto di arrivo. Il Consolato lo fa immediatamente sorvegliare, informandone il Cpc. Nel maggio successivo giunge un nuovo dispaccio dal Consolato di Barcellona, con il quale si informa che Vagliasindi risiede in una pensione del centro, fa vita ritirata, porta all’occhiello i distintivi delle medaglie ottenute in guerra “ma tutto il suo atteggiamento è molto misterioso. Dispone di danaro, ma nessuno sa da dove gli venga; si accompagna con Zelaschi Luigi, direttore di «Repubblica», e con il noto Marcolin Fioravante; ha cercato di entrare in relazione con parte dell’equipaggio degli aerei italiani della linea Genova Barcellona interessandosi anche troppo per sapere se gli apparecchi erano vigilati nottetempo, e sulle loro caratteristiche, domande che anzi misero in sospetto gli equipaggi stessi”. Effettivamente, nella comunicazione successiva, spedita il 26.6.1934 dal Cpc al Consolato di Barcellona e al prefetto di Bergamo, viene riferita una confidenza raccolta il 5.6.1934 dagli informatori del Ministero degli Esteri, secondo la quale ai suoi interlocutori, raccolti nel Bar Ideal di Barcellona, Vagliasindi avrebbe detto “cari miei, bisogna cambiar strada, con gli aviatori della linea italiana non c’è nulla da fare, le ho tentate tutte...”. Vagliasindi si trasferisce poi a Sitges, prima a Villa Las Cobas e poi a Torre Solimar. A Barcellona si reca una volta al mese per riscuotere la pensione di guerra. Commercia anche in francobolli, essendo in possesso di una vistosa quantità di francobolli fiumani, che vende a collezionisti e negozianti filatelici. Il 22.6.1934 il Cpc trasmette una foto di Vagliasindi al prefetto di Bergamo e a tutte le Questure d’Italia. Allo scoppio della guerra d’Etiopia nell’ottobre 1935 Vagliasindi chiede di potersi arruolare come volontario nonostante la degradazione dai ranghi di ufficiale, indirizzando in tal senso da Sitges il 4.10.1935, cioè il giorno dopo l’inizio della campagna militare etiopica, telegrammi al Re, a Mussolini, a D’Annunzio, al segretario del Pnf Achille Starace, suo compagno d’armi nella prima guerra mondiale, al capo di stato maggiore della Mvsn Attilio Teruzzi e al generale Francesco Saverio Grazioli, ottenendo soltanto, a tutto il 27.10.1935, la breve risposta di quest’ultimo. Solo il 28.4.1936 il console italiano di Barcellona gli comunica che il 16.3.1936 il Ministero della Guerra, ‘pur apprezzando e compiacendosi per il nobile gesto, osserva che ragioni varie non consentono di accogliere la sua domanda’. Il 18.7.1936 si verifica l’ammutinamento militare che segna l’inizio della guerra civile spagnola. L’attenzione degli agenti fascisti per il comportamento del militare italiano aumenta. In una nota riservata del 12.9.1936, il Cpc informa il prefetto di Bergamo che Vagliasindi “non si è mosso da Sitges, e continua a fare l’eremita nella sua casetta. Egli non ha voluto partecipare ai movimenti rossi, e si è dichiarato italianissimo. Ancora adesso insiste nel voler ritornare in Italia ed andare in A.O. magari come semplice operaio. Ha sollecitato le nostre Autorità in tal senso varie volte, senza averne risposta e di questo se ne lagna con tutti”. Questo rapporto, tuttavia, dimostra che agli informatori fascisti è sfuggito il fatto che, poco tempo dopo il colpo di stato militare, tra la fine di luglio e gli inizi di agosto, un gruppo di miliziani anarchici di Sitges arresta Vagliasindi e lo interroga, sequestrando e analizzando tutta la documentazione conservata nella sua casa, dalla quale emerge la sua storia politica insieme alle sue relazioni con esercito, monarchia e fascismo, ma nello stesso tempo anche la sua notevole esperienza militare, proprio ciò di cui gli anarchici hanno bisogno in quel momento. La sua situazione è singolare: gli antifascisti lo sospettano fascista, mentre i fascisti lo credono antifascista. Vagliasindi, viene costretto a entrare nella fila anarchiche, dove assume il nome di battaglia di ‘Pablo’. Dopo la mancata segnalazione del mese precedente, un rapporto al Cpc dei servizi fascisti di Barcellona del 24.10.1936 informa che Vagliasindi ha già combattuto sul fronte aragonese: in agosto a Barbastro e poi, il 12 settembre, nella battaglia che ha portato alla conquista del villaggio di Siétamo. Gli anarchici si sono convinti che Vagliasindi è un nazionalista monarchico ma non una spia fascista, lo giudicano un megalomane assetato di gloria militare e un avventuriero che ama il ruolo del Don Giovanni, ma soprattutto apprezzano il fatto che sia un esperto militare. In uno dei rapporti degli informatori fascisti è contenuta una valutazione anche psicologica sull’uomo Vagliasindi il quale, come già gli era successo, dopo aver fatto buon viso a cattivo gioco finisce per fare di necessità virtù, impegnandosi cioè in una causa che non è la sua ma che ciononostante fa propria perché, secondo un’etica prettamente militare, dopo essersi offerto all’esercito italiano, che lo ha respinto, sceglie di rischiare la vita per i miliziani anarchici: non per il progetto politico-sociale di cui sono portatori, ma perché gli anarchici gli si sono affidati riconoscendo e valorizzando il suo ruolo e le sue capacità militari. Intanto, il 9.10.1936 il consolato di Barcellona informa il Cpc, che a sua volta, con oltre un mese di ritardo, il 28.11.1936 informa il prefetto di Bergamo: “attualmente combatte con grado e funzioni di ufficiale superiore nelle file delle Milizie antifasciste catalane sul fronte aragonese. Egli sarebbe anzi stato nominato consulente tecnico e capo di stato maggiore della colonna anarchica Durruti. Da mie riservate informazioni risulta che il Vagliasindi venne arruolato per forza e sotto la minaccia di morte da parte di una banda di anarchici che lo prelevarono dalla sua villetta di Sitges, consci di acquistare così un ottimo elemento militare a loro favore. In un primo tempo il Vagliasindi si mostrò refrattario e fu a più riprese minacciato di fucilazione; successivamente pare abbia abbracciato con un certo ardore la causa repubblicana, distinguendosi in alcuni combattimenti. É da ritenersi che il suo elevato spirito militare, manifestato in tante occasioni, lo spinga ora ad appassionarsi alla guerra civile spagnola e a dedicarvisi con ogni sua energia. Ho potuto fare avvicinare il Vagliasindi da persona di fiducia del Consolato, a cui ha dichiarato di avere molto risentito che le sue numerose domande di volontariato per l’A.O. siano sempre state respinte dalle Autorità Italiane e l’ultima anzi, lasciata senza risposta. Ha detto inoltre che poiché il suo paese non ha voluto i suoi servizi, egli è stato contento di trovare un’altra occasione per poter dedicarsi al suo mestiere, che è quello delle armi”.
In seguito a questo rapporto, il 4.12.1936 il prefetto di Bergamo invia a tutti i questori del Regno e al Cpc una nota a proposito dei ‘sovversivi’ che si trovano in Spagna e che, nel caso di rientro in Italia, devono essere rintracciati, segnalati, vigilati, tra i quali appunto Vagliasindi. Oltre a quello di Vagliasindi, per la provincia di Bergamo il prefetto segnala i nomi di Baldassarre Londero (fu Giacomo e Angela Marzullo, nato a Györ in Ungheria il 6.1.1893, iscritto in RF, del quale però non è chiarita la connessione con Bergamo, dato che tra le carte di Prefettura manca il fascicolo a suo nome) e di Luigi Nervi (di Giacomo e Giuseppina Locatelli, nato a Bonate Sopra il 2.10.1891, antifascista ‘da fermare’; b. 69). Il 7.12.1936 il Ministero dell’Interno telegrafa al prefetto di Bergamo in questi termini: “Pericoloso antifascista ex tenente Colonnello Vagliasindi Pietro di Casimiro. Appassionatosi guerra civile spagnola combatte con grado e funzioni di Ufficiale Superiore nelle file Milizie antifasciste catalane fronte Aragonese pregasi intensificare misure vigilanza affinché predetto caso ingresso regno sia arrestato previa rigorosa perquisizione riferendone per ulteriori determinazioni. Medesimo est iscritto rubrica frontiera et schedina N. 5025 Bollettino Ricerche luglio 1928. Prefetto Bergamo est pregato diramare fotografia predetto assicurando. Pel Ministro Bocchini”. In seguito a questo rapporto il 30.12.1936 viene aperta la sua scheda biografica. Il 15.1.1937 la Questura di Milano trasmette a quella di Bergamo 100 copie della sua fotografia, richieste l’8.12.1936, in parte spedite dal prefetto di Bergamo al Cpc il 18.1.1937. Nel gennaio 1937 alcune Questure, come Mantova (26.1.193), Littoria e Campobasso (28.1.1937), chiedono copia della circolare ministeriale dell’8.12.1936 e della fotografia di Vagliasindi. Il 21.2.1937 il prefetto di Milano, Riccardo Motta, informa il Cpc e il prefetto di Bergamo che Vagliasindi “risulta notificato in questo Ufficio anagrafe in data 27.1.1925 in via Vincenzo Bellini n. 19: nel 1931 fu censito assente nel Belgio. In tale stabile egli però non vi ha mai abitato, mentre dal 1923 vi è domiciliato il di lui fratello Casimiro”, il quale viene pertanto sottoposto a sorveglianza nel caso che Pietro Paolo rientrasse dall’estero cercando alloggio presso di lui. Anche la Questura di Catania il 6.3.1937si rivolge a quella di Bergamo perché, non avendole, chiede notizie di Vagliasindi. Il 12.3.1937 parte la risposta da Bergamo per Catania con l’invio in copia della scheda biografica redatta il 20.12.1936. Il 17.4.1937 la Questura di Catania spedisce a quella di Bergamo e al Cpc l’aggiornamento della nota biografica con le copie dei telegrammi, già citati sopra, spediti nell’aprile 1936 da Vagliasindi alle autorità fasciste per riprendere servizio come aviatore nella campagna d’Africa, insieme alla copia del documento di rifiuto delle autorità italiane. La Questura di Catania, nella stessa nota, sottolinea il fatto che il motivo determinante della scelta anti-franchista di Vagliasindi, più che in un convincimento ideologico, sta nella sua volontà di rivalsa nei confronti del fascismo, “dal quale secondo lui avrebbe ricevuto dei torti”. Vagliasindi nell’ottobre 1936 si sposta su Madrid con la Colonna di Buenaventura Durruti, che il 20.11.1936 viene assassinato nella capitale spagnola, forse per mano comunista. Per le milizie anarchiche è la svolta: private del loro capo carismatico, subiscono l’iniziativa comunista che punta all’inquadramento disciplinarmente organizzato delle milizie spontanee, che così perderebbero il loro carattere autonomo sia sul piano militare che su quello politico. Vagliasindi, per parte sua, cerca di riorganizzare il suo gruppo sul fronte aragonese, ma gli uomini rimasti sono ormai pochi e, prendendo atto della fine delle milizie autonome, il 29.5.1937 a Barcellona, nonostante l’enorme distanza della sua cultura politica dallo stalinismo e dal marxismo, pur di continuare a combattere compila la domanda per entrare a far parte delle Brigate Internazionali. Compilando il modulo pre-stampato della domanda di arruolamento si dichiara aviatore, ex ufficiale dell’esercito italiano e antifascista. L’originale è conservato a Mosca nell’archivio RGASPI, f. 545. Sulle vicende successive le informazioni sono scarse e talvolta contraddittorie. Secondo la ricostruzione contenuta nel libro di A. Gimenez, citato nei riferimenti bibliografici, Vagliasindi sarebbe stato arrestato alla fine del 1938 dai soldati italiani nel corso di una delle battaglie d’Aragona, ma in un documento del Ministero dell’Interno italiano già nell’estate 1937 è scritto del suo arresto da parte del Servizio Investigazione Militare controllato dai comunisti: rifiutatosi di comandare un reparto contro i legionari italiani, viene incarcerato prima al Montjuich e poi a Segorbe. Il 27.3.1939 un documento del Cpc informa il prefetto di Bergamo che Vagliasindi è detenuto a Girona e che prima dell’arrivo delle truppe nazionaliste in quella città nel gennaio 1939, viene avviato in Francia insieme ad altri detenuti politici, ipotizzando che dalla Francia potrebbe tornare in Spagna e, in tale eventualità, il comando del CTV - Corpo Truppe Volontarie italiano ne dispone l’arresto. In effetti Vagliasindi decide di rientrare in Spagna e recarsi a Sitges passando dalla frontiera franco-spagnola di Le Perthus nel febbraio 1939, probabilmente convinto che la sua storia militare e il suo rifiuto di combattere contro gli italiani lo avrebbero messo al riparo da problemi. Invece, giunto a Girona, viene riconosciuto e arrestato dagli italiani del CTV e il 15.2.1939 incarcerato. Il Cpc, su richiesta della Prefettura di Bergamo del 27.3.1939 che chiede altre informazioni in proposito, il 18.4.1939 risponde informando su queste ultime vicende. Ancora una volta si ripropone la singolare collocazione della sua figura: le forze anti-franchiste lo avevano arrestato e imprigionato perché non voleva combattere contro i suoi connazionali, mentre i suoi connazionali lo arrestano e lo imprigionano nel Carcel Modelo di Barcellona per aver combattuto a fianco dei repubblicani. Vagliasindi si rivolge subito al console italiano di Barcellona per chiarire la sua posizione, senza esito. Il 25.10.1939 viene formalmente consegnato alla Jefatura Superior del Servicio Nacional de Seguritad y Orden Público e il 29.3.1940 viene condannato all’ergastolo dal Consiglio di guerra della capitale catalana per aver combattuto sul fronte aragonese con gli anarchici di Durruti e, insieme a un polacco, per aver confezionato per due mesi bombe a mano per l’esercito repubblicano. Come risulta dall’informativa del Cpc del 27.7.1940 alla Prefettura di Bergamo, “il R. Consolato generale di Barcellona, con telespresso n° 4524 del 5 luglio corrente, ha comunicato che il tribunale di guerra spagnolo ha condannato nel mese di giugno u.s. il nominato in oggetto a 20 anni e un giorno di reclusione”. L’8.12.1940 Vagliasindi indirizza a Mussolini un pro-memoria dove, sperando in un aiuto da parte del duce, si richiama al proprio passato fascista, ma anche questo passo rimane senza esito. Nel suo fascicolo è contenuta anche la copia trascritta a macchina di una lettera indirizzata da Vagliasindi ad una parente a Catania, quartiere Canalicchio, con la data del 15.8.1941, in cui tranquillizza la famiglia sulle sue condizioni di salute, in via di miglioramento. Nella lettera c’è anche un passo, tanto interessante quanto criptico, dal quale però si coglie il fatto che sta operando per ottenere la propria liberazione. Scrive infatti Vagliasindi: “All’ardito ho scritto e non potrò modificare l’opinione fattami di lui fino a quando avrò ricevuto risposta alla mia ultima indirizzatagli l’8 corrente. É meglio abbondare nelle precauzioni piuttosto che commettere l’errore di essere troppo fiduciosi”. La presenza di tale lettera nelle carte di Bergamo significa che la Questura di Catania ha predisposto il controllo della corrispondenza dei suoi parenti siciliani. Tuttavia, quello che è difficile capire è che tanto la Questura di Catania, che controlla la posta indirizzata da Vagliasindi ai suoi parenti, quanto quella di Bergamo, che ne ottiene copia, quanto il Cpc, continuano a chiedersi reciprocamente informazioni su di lui pur avendole già, non comprendendo infatti che l’indirizzo da lui trascritto per ricevere posta, ‘Carcel Modelo - Politicos’, significa appunto che il destinatario è un detenuto nel ‘Carcere Modello’, come appunto nel caso, appena citato, della lettera scritta dal carcere di Barcellona alla ‘Baronessina Agnese Bartoli Romeo - Canalicchio - Catania’ che reca l’indirizzo del mittente “Paolo Vagliasindi - Carcel Modelo - Politicos - Barcellona – Espana”, trasmessa in copia dalla Questura di Catania a quella di Bergamo e al Cpc il 29.8.1941. Anche in seguito la Questura di Catania mostra di non aver compreso la situazione di detenzione di Vagliasindi, che il 9.1.1942 scrive una lettera indirizzata a Catania ad Attilio Vagliasindi, verosimilmente un cugino. Informandone la Questura di Bergamo e il Cpc il 28.1.1942, il questore di Catania, Alfonso Molina, osserva che “da una lettera di contenuto familiare, qui revisionata ed alla quale è stato dato corso, spedita il 9 corrente dal nominato in oggetto all’indirizzo del Dr. Attilio Vagliasindi - via XX Settembre n. 29 Catania, si è rilevato il seguente suo recapito: Calle Entenza 255 - Politicos - Espana – Barcellona”. Lo stesso si verifica alla Questura di Bergamo il 12.7.1942, che ribadisce quanto appreso sull’indirizzo di Vagliasindi dall’informazione contenuta nell’informativa della Questura di Catania del 28.1.1942. Vagliasindi scrive al suo vecchio comandante della battaglia del Solstizio, generale Ottavio Zoppi (che comandava Ia Divisione d’Assalto), chiedendo il suo aiuto nell’ottenere un passo ufficiale da parte del governo italiano per la sua liberazione. Zoppi reagisce positivamente alla richiesta e il 12.8.1943, su carta intestata del Ministero dell’Interno – Comando Reparti Arditi d’Italia, si rivolge al Gabinetto del Ministero della Guerra, ricostruendo la vicenda complessiva di Vagliasindi per perorare un intervento a suo favore. Viene così interessata l’Ambasciata italiana di Madrid. Come risulta dalla ricerca condotta dallo studioso bergamasco Matteo Cefis, Vagliasindi viene rilasciato nel settembre 1943 e nel dispositivo dell’ordinanza di scarcerazione emerge che si tratta di libertà condizionata dovuta alla buona condotta e al tempo già trascorso in carcere. Fissata la sua residenza a Barcellona, per il resto della condanna Vagliasindi dovrà sottostare ad alcune restrizioni. Delle vicende della sua vita successiva è noto che si sposa a Siracusa con Carlotta Testolini il 6.10.1946 e che il 27.11.1946 la Questura di Bergamo revoca la disposizione per la sua ricerca in seguito alla riorganizzazione del Cpc, avvenuta in conformità “alle disposizioni della Circolare Ministeriale n° 1/340 del 23 agosto 1945”. Vagliasindi muore a Catania il 28.11.1961. Nel fascicolo sono conservate alcune sue fotografie. Cpc, b. 5281, fasc. 086811, 1924-1943, scheda biografica, fascicolo doppio. (G. Mangini)