Profilo sintetico riassuntivo
Nato a Sovere il 2.3.1898, comunista. Non presta servizio militare perché viene riformato per l’atrofia del nervo ottico destro. Inizialmente lavora come elettricista e aggiustatore presso la ferriera Franchi Gregorini di Lovere (Bg). Il 30.12.1917 si sposa a Sovere con Maria Elisabetta Carrara, ma dopo 3 anni abbandona la moglie e in seguito emigra in Francia senza dar più notizie di sé. Secondo la successiva testimonianza di Giuseppe Brighenti, invece, Giové avrebbe lasciato la sposa, Sovere e l’Italia lo stesso giorno dello sposalizio durante il pranzo di nozze, celebrate per volontà dei genitori perché la ragazza era rimasta incinta, anche se i due giovani non volevano sposarsi. Così, racconta Brighenti, “Giové, che aveva preparato per bene le cose di nascosto dalla famiglia, verso la fine del pasto, chiese il permesso di assentarsi un momento per recarsi dal tabaccaio a comperare le sigarette. Non tornò che dopo vent’anni”. Quale che sia la data dell’espatrio, sappiamo da Brighenti che la gravidanza non è stata portata a termine dalla giovane di Sovere e che Giové risulta all’estero intorno al 1920, appunto tre anni dopo la data delle nozze. Il 28.12.1923, intanto, il Tribunale di Brescia lo condanna in contumacia a un anno e 6 mesi di reclusione e a 200 lire di multa per ricettazione dolosa, ma la pena è annullata per indulto nel 1925. Nel fascicolo è conservata una nota informativa del 17.5.1926 inviata dal prefetto di Bergamo al Ministero dell’Interno, nella quale viene ricostruita una parte significativa della presenza di Giové all’estero. Il 24.4.1926, infatti, il Ministero aveva inviato alla Prefettura di Bergamo una fotografia, con la richiesta di confermare se si trattasse della fotografia di Giové. Dopo aver trasmesso la fotografia alla Sotto-prefettura di Clusone, e questa ai parenti di Giové a Sovere, il prefetto di Bergamo nella sua risposta al Ministero scrive che “il ritratto fotografico, che restituisco, è stato accertato essere di Giové Leonardo indicato in oggetto. Detto individuo formò oggetto di corrispondenza fra il Sottoprefetto di Clusone e codesta Scuola di Polizia Scientifica che chiese informazioni con espresso 17 Agosto 1925 N. 3897 ed 8 Settembre 1925 N. 3897. Costui risulta condannato con sentenza 28.2.1923 del Tribunale di Brescia ad anni uno e mesi sei di reclusione e L. 200 di multa per ricettazione dolosa, pena condonata con declaratoria del tribunale di Brescia con decreto 31.7.1925. Lo stesso Giové, come riferì detta Scuola fu nel 1925 arrestato ad Arlon (Belgio) per usurpazione di nome e vagabondaggio qualificato, e dalla polizia di Bruxelles fu trovato in possesso di un libretto postale intestato alla bambina Builla Maria da Malonno (Breno) ed asportato dalla madre di costei, allontanatasi dal tetto coniugale assieme al Giové nel 1920. La polizia di Bruxelles con l’occasione comunicò che costui le era stato segnalato come comunista. La S. Prefettura di Clusone in data 6 Novembre 1925 ha rilasciato alla legazione d’Italia in Lussemburgo il nulla osta per la concessione del passaporto per l’estero al Giové, che non consta abbia pendenze penali. Egli manca da Sovere da oltre 5 anni, e durante la permanenza in quel Comune ha dimostrato di professare idee sovversive, senza manifestarsi politicamente pericoloso. Essendo stato detto individuo perfettamente identificato, non ho creduto di inviare la fotografia alla Prefettura di Milano, alla quale però ho fatta opportuna comunicazione”. Il 31.8.1926 il Ministero dell’Interno comunica al prefetto di Bergamo che la Legazione d’Italia in Lussemburgo ha comunicato che Giové ha lasciato il Lussemburgo il 27.6.1926 per ignota destinazione, rendendo impossibile chiedergli conto del perché avesse deciso di ricorrere ad un nome falso, quello di Attilio Gaio. Nell’aprile 1927 il Cpc comunica al prefetto di Bergamo un’informazione fornita dal governo lussemburghese al Consolato italiano, secondo la quale il 23.10.1925, provenendo dalla Francia, Giové si era stabilito a Pètange, località accorpata al municipio di Rodange, nel cantone di Esch-sur-Alzette. In Francia, prima di essere espulso, risiedeva a Conflans-en-Jarnisy (dipartimento Meurthe-et-Moselle, regione Grand Est). Il governo lussemburghese sospetta che quello di Giové sia uno pseudonimo sotto cui si nasconderebbe il meccanico socialista Vincenzo Attilio Gaio, nato a Canegrate (Mi) il 14.6.1895, espulso dal Belgio e trasferito alla frontiera lussemburghese il 6.10.1925, poi in America meridionale (Cpc, b. 2227, 1926-1943). Nel marzo 1926 lavora a Rodange e alla sera, dopo il lavoro, frequenta un caffè in rue du Commerce in compagnia di un uomo rimasto sconosciuto. Nell’aprile 1926, in occasione di una gita fatta in Belgio, a Namur, capitale della Vallonia, le autorità belghe lo fermano e lo perquisiscono, trovandogli addosso un elenco di nomi di comunisti della legione di Longwy (Francia) in cui figura anche il suo. Nel marzo 1927 risulta risiedere in Belgio, ad Athus, in rue Rodange 59. Secondo un’informativa inviata l’1.7.1927 dal Cpc alla Prefettura di Bergamo, Giové risiede ancora ad Athus (Belgio) e lavora presso l’officina della società anonima Athus-Grivegnée, dove manifesta le sue posizioni filo-comuniste. Agli inizi del 1928, però, lascia il Belgio e si trasferisce di nuovo a Rodange/Rodingen, dove gestisce un caffè con alloggi. In RF nel maggio 1929 col n. 2294, e in BR nell’aprile 1930 con il n° 3045. Rientra a Sovere per un breve periodo nel luglio 1932. Tornato in Lussemburgo, il 5.6.1936 rientra di nuovo a Sovere in occasione della morte del padre, ripartendo il giorno 10. Nello stesso 1936 il Consolato italiano in Lussemburgo, oltre a informare che il caffè di Giové è frequentato da elementi antifascisti, aggiunge che “il Giové stesso non mancava in qualche occasione di esprimere pubblicamente nel suo locale i suoi sentimenti antifascisti”. Ha una sorella, Luigia, nubile, che risiede a Sovere in casa del fratello Mario, operaio, sposato e padre di due figli. Il fratello maggiore, Luigi, fascista e centurione, muore nel 1938 nella guerra di Spagna combattendo come capitano di fanteria volontario con le truppe fasciste, alla cui memoria viene conferita la medaglia d’oro al valor militare, mentre Leonardo si è sempre mostrato ostile alle autorità politiche ed ecclesiastiche. Il 21.7.1939 anche il Cpc informa il prefetto di Bergamo che Giové lavora sempre nel suo caffè di Rodange e “non manca occasione per svolgere attività antifascista”. Nel marzo 1942 il Consolato italiano in Lussemburgo chiede alla Questura di Bergamo se il passaporto debba essere o meno concesso a Giové, che ne ha chiesto il rinnovo, aggiungendo che “in passato il Giové, che è proprietario di un caffè a Rodingen, ha svolto attività antifascista, ma da quando il Lussemburgo è stato occupato da truppe tedesche non si è fatto più notare”. La Questura si rivolge ai Cc di Clusone per informazioni e la risposta, del 12.4.1942, è favorevole alla concessione del passaporto. La Questura trasmette la notizia alla Prefettura, la quale il 13.4.1941 comunica al Ministero dell’Interno e al Consolato italiano che, “tenuto conto delle risultanze di questi atti, nulla osta al rinnovo del passaporto a favore del connazionale in oggetto”. Analogamente, il 5.5.1942 il Ministero dell’Interno risponde al Ministero degli Affari Esteri e alla Prefettura di Bergamo che “nulla osta da parte di questo Ministero alla rinnovazione del passaporto in favore del nominato in oggetto, qualora l’attuale suo comportamento politico non sia riprovevole”. Nel frattempo però la situazione di Giové è cambiata. Il Cpc, con una nota informativa del 12.7.1942 indirizzata ai prefetti di Bergamo e Brescia con cui viene trasmessa una nota del 30.6.1942 del Consolato Generale del Lussemburgo, comunica che nell’aprile 1942 Giovè è stato arrestato dalla Gestapo per i suoi precedenti politici e perché sospettato di contrabbando. Il 16.6.1942 viene accompagnato al Brennero e consegnato senza passaporto né altri documenti agli agenti italiani di frontiera, che il 17.6.1942 inviano un telegramma alla Questura di Bergamo (e per conoscenza alla Questura di Bolzano e al Commissariato della polizia di frontiera) chiedendo informazioni e istruzioni circa le modalità da seguire per trasferire Giové a Bergamo. Internato nelle carceri di Vipiteno, il 19.6.1942 viene portato dai Cc a Bergamo, dove viene detenuto in carcere e il 16.7.1942 interrogato nelle carceri giudiziarie e al termine controfirma il verbale che ne risulta. Dalle sue parole si coglie bene il suo tentativo di ridimensionare il più possibile il suo essere comunista, che presenta come una scelta necessaria, indotta dalle circostanze per motivi di opportunità, e non come un’adesione spontanea e volontaria:
“Risiedo da 22 anni all’estero e precisamente nel Lussemburgo, vivo a Rodange, gestisco un albergo. Il 14 aprile u.s. fui arrestato dalla polizia tedesca e trattenuto due mesi in carcere, e poi fui accompagnato al Brennero e consegnato alla polizia italiana. Ignoro il motivo dell’arresto, suppongo però d’essere stato sospettato di avere favorito prigionieri francesi che fuggivano dai campi di concentramento tedeschi. L’accusa, se questo è veramente il motivo dell’arresto, è del tutto infondata, pur essendo il mio albergo in località prossima alla frontiera francese, non ho mai favorito nessuno. Prima di essere arrestato avevo chiesto al nostro Console del Lussemburgo la concessione di un passaporto, per venire in Italia, a trovare i miei congiunti. Non sono iscritto a nessun partito politico: sono di sentimenti patriottici, sentimenti comuni anche ai miei famigliari, tanto è vero che un mio fratello comandante di compagnia delle frecce azzurre è morto combattendo contro i rossi in Ispagna ed è stato anche decorato di medaglia d’oro al valor militare. Non ho mai svolto attività sovversiva ed antifascista. E’ vero che nel 1923, quando ero ancora in Francia mi lasciai indurre dai compagni di lavoro ad iscrivermi al partito comunista, ma ciò feci per non essere malvisto e maltrattato dai compagni di lavoro, che non tolleravano chi mostrava di non essere delle loro idee. Che l’iscrizione a detto partito mi fosse suggerita da ragioni di opportunità e non da sentimenti comunisti, lo dimostra il fatto che l’iscrizione stessa durò 8 o 9 mesi in tutto, e non vi feci più parte; e per questo fatto fui anche boicottato nel commercio durante la mia permanenza nel Lussemburgo”.
Dopo l’arresto di Giové, la sua compagna Santina Rondoni, già moglie di Nicola Builla, il 25.6.1942 scrive da Rodange/Rodingen alla famiglia Giové, “sorella et fratelli”, informando dell’accaduto: “Vengo a darvi una cattiva notizia che l’autorità ha preso vostro fratello e lo hanno condotto in Italia. Ha preso la via per Brennero, senza nulla sapere, e sprovisto di vestiti e senza denari. E per questo vi scrive questi due righi per farvi sapere di occuparsi di lui il più presto possibile. Qui risulta nulla di grave, io sono stata dalla polizia tedesca e mi hanno detto che nulla risulta sul suo conto, che è stato il consule italiano che ha fatto rimpatriare, senza nulla senza vestriti e senza denaro. Fatte me sapere il più presto possibile dove Leonardo se trove. Distingue saluti. Per comunichare le ricerche sarebe migliore di addressare alla polizia del Brennero. Santina Rondoni”. L’indirizzo della mittente è: Adolf Hitlerstrasse 20, Rodingen, Lussemburgo. Appena ricevuta la lettera, i famigliari di Giové si rivolgono al podestà di Sovere consegnandogli copia della lettera per chiedere il suo intervento allo scopo di avere informazioni sul loro congiunto. Il podestà di Sovere l’11.7.1942 scrive alla Questura di Bergamo: “poiché il Giové a Sovere non si è presentato e nulla ha fatto sapere direttamente ai famigliari, si prega voler fornire informazioni, confermando o meno le ragioni del rimpatrio e dove trovasi”. Per dare maggior forza alla richiesta, la lettera del podestà alla Questura si conclude così: “Si fa presente infine che il Giové è fratello della Medaglia d’Oro Centurione Giové, Caduto in Spagna”. Nel frattempo, il 24.7.1942 era stata arrestata anche la Rondoni per aver protestato contro l’arresto di Giové. Il 4.8.1942 la Commissione Provinciale di Bergamo per il confino di polizia condanna Giové a due anni di confino “per attività antifascista” svolta all’estero. Il 6.8.1942 il prefetto di Bergamo, presidente della Commissione Provinciale, informa della condanna la Direzione Generale di Ps del Ministero dell’Interno, riservandosi di trasmettere tutta la documentazione del caso in un secondo momento e proponendo che la scelta della località di confino da parte del Ministero cada su una località di terraferma e non delle isole, aggiungendo infine che Giové, “che non è ex combattente, non ha beni di fortuna e per le sue mediocri condizioni economiche non è in grado di provvedere al suo mantenimento”. Per effettuare il passaggio burocratico dall’emanazione della sentenza, emessa dalla Commissione Provinciale, all’indicazione della località del confino, scelta dal Ministero dell’Interno, vigono le indicazioni all’articolo 321 del regolamento per l’esecuzione della legge di Ps, che prescrivono che la Commissione Provinciale trasmetta al Ministero copia di tutta la documentazione prodotta per giungere alla sentenza (verbali di interrogatorio, verbali di eventuali testimonianze di terzi, certificato di nascita, del casellario giudiziario, stato di famiglia, certificato medico delle carceri giudiziarie sull’idoneità fisica e psichica del condannato a sopportare il regime di confino, rapporti dei Cc, della Questura, delle sedi diplomatiche all’estero qualora si tratti di emigrati, ecc.). Nel caso di Giové, la documentazione viene trasmessa il 17.8.1942. Intanto, la Prefettura di Brescia risponde il 18.8.1942 alla richiesta di informazioni sulla Rondoni avanzata dal Cpc il 20.7.1942, informando che nei registri anagrafici di Malonno non ci sono tracce di Santina Rondoni, però “la medesima tornò in Patria, proveniente dall’America, nel 1910 e rimase a Malonno fino al 1918, riespatriando, poi, per ignota destinazione (..). Il 15 corrente venne consegnata dalla polizia germanica all’Ufficio di Ps di confine del Brennero ed attualmente trovasi detenuta nelle carceri di Vipiteno in attesa dell’espletamento delle informazioni qui richieste”. Il 26.8.1942, con un telegramma, il Ministero dell’Interno comunica al prefetto di Bergamo che la località del confino assegnata a Giové è Castelvetere Valfortore (Bn). Dalla direzione delle carceri giudiziarie centrali di Bergamo, Giové viene “messo a disposizione” dei Cc locali il 3.9.1942 per la sua ‘traduzione’ al confino, dove giunge solo il 26.9.1942. La sorella di Giové nello stesso mese di settembre 1942 scrive al Ministero dell’Interno chiedendo una riduzione del periodo di confino del fratello. Il 29.10.1942 il Cpc ordina la revoca dell’iscrizione del nome di Giové dalla RF. Il 30.9.1942 il prefetto di Benevento chiede a quello di Bergamo se Giové sia in grado di mantenersi al confino con mezzi propri e il prefetto di Bergamo risponde il 6.10.1942 informando che Giové non è in grado di farlo. Il 6.12.1942 in Ministero dell’Interno – Direzione Generale di Ps – Confino Politico, scrive alla Prefettura di Bergamo in questi termini: “Si prega di comunicare alla sorella del soprascritto che la sua istanza per atto di clemenza non può essere presa in esame non avendo il predetto prodotta analoga istanza”. La Prefettura di Bergamo, ricevuto tale documento, lo trasmette alla Questura il 15.12.1942, che a sua volta lo inserisce nel fascicolo personale del ‘sovversivo’ Giové. Intanto, non ottenendo direttamente risposta, la sorella di Giové si rivolge al podestà del comune di Sovere per avere notizie in proposito. Il podestà di Sovere, da parte sua, il 16.12.1942 scrive alla Questura di Bergamo chiedendo informazioni. La risposta della Questura è del 23.12.1942, con la quale si comunica che la domanda della sorella non può essere presa in considerazione perché deve essere presentata dallo stesso confinato. Il 21.3.1943 la Questura di Benevento informa quella di Bergamo che Giové, fino a quel momento, a Castelvetere Valfortore “non ha dato luogo a rilievi di sorta ed ha serbato buona condotta in genere. Pertanto in considerazione delle recenti disposizioni, nulla osterebbe da parte di questo Ufficio a che il provvedimento del confino sia commutato in quello dell’ammonizione”. Nel maggio 1943 Giové presenta un esposto al Duce chiedendo un atto di clemenza. Il Ministero dell’Interno ne informa la Prefettura di Bergamo chiedendo un parere in proposito e il 22.5.1943 la Prefettura risponde esprimendo la propria contrarietà alla concessione della richiesta. Tuttavia, nelle carte del fascicolo è conservata la minuta manoscritta di tale risposta al Ministero, sulla quale si legge chiaramente che la prima redazione si concludeva con la formula “da parte di quest’ufficio nulla osta che codesto Ministero adotti il provvedimento che riterrà più opportuno”, demandando quindi al Ministero la decisione in proposito. Su questa parte di testo, però, viene tracciata una riga di cancellazione, sostituendo il testo iniziale con il seguente: “Data la delicatezza del caso, si esprime parere contrario all’adozione di un atto di clemenza del Duce nei riguardi del predetto”. Così, il 6.6.1943 il Ministero dell’Interno comunica alle Prefetture di Benevento e di Bergamo che la domanda di grazia non è stata accolta. Le vicende legate al crollo del fascismo del 25.7.1943 determinano anche l’effetto del proscioglimento di Giové dal confino, avvenuto formalmente il 14.8.1943. Il 23.8.1943 la Questura di Benevento fornisce Giové del foglio di via obbligatorio, con l’ingiunzione a presentarsi entro il 26.8.1943 alla Questura di Bergamo, che ne viene informata lo stesso giorno. Giové si presenta a Bergamo entro il termine prescritto, come conferma l’1.9.1943 la Questura di Bergamo a quella di Benevento e al Ministero dell’Interno. Nel frattempo, la domanda di grazia presentata da Giové nel maggio precedente compie il suo corso burocratico. Infatti, in seguito alle vicende del 25.7.1943, la Prefettura di Benevento si era rivolta al Ministero dell’Interno – Direzione Generale di Ps – Affari Generali e Riservati – Sezione 1a confino, per avere indicazioni su come comportarsi di fronte alla domanda di Giové. La risposta del Ministero, su carta da lettera intestata e firmata Jannelli, è datata 9.8.1943 e dice che “dati precedenti del confinato in oggetto ed i motivi che provocarono la sua assegnazione al confino, non si ravvisa la opportunità di disporne la liberazione”. Questa lettera, però, giunge a destinazione solo il 25.8.1943, come si può desumere dal timbro d’ingresso della Prefettura di Bergamo, cioè due giorni dopo che Giové è stato liberato. Infatti, sul testo della lettera ministeriale, a lapis compare un significativo e lapidario commento: “ma se è stato già liberato?”. Sulle vicende di Giové successive all’8.9.1943, nel fascicolo non ci documenti e informazioni, che però sono presenti in breve sintesi nelle citate memorie del partigiano Brighenti della 53a Brigata ‘Garibaldi’, che così racconta di Giové: “con Giovanni Brasi organizzò il gruppo partigiano di Lovere. Dopo la cattura dei 13 partigiani e la conseguente fucilazione, con la disgregazione della formazione, andò in Valle Camonica dove continuò la lotta partigiana. Alla Liberazione, ritornando nella zona, venne nominato sindaco di Sovere”. Tuttavia, Brighenti racconta anche la difficile situazione in cui si viene a trovare il sindaco Giové (e con lui tutti i partigiani reduci dalla Resistenza), alle prese con una difficilissima situazione economica e sociale, senza risorse ma con innumerevoli problemi da affrontare, in un paese che lo giudicava negativamente, perché gli rimproverava la fuga di 20 anni prima e vedeva come colpa ulteriore il suo essere comunista. Disilluso e amareggiato, dopo essere stato nominato il 27.4.1945, il 27.9.1945 Giové si dimette da sindaco di Sovere, lascia il paese e si trasferisce a Iseo (Bs), per gestire con la sua compagna un piccolo ristorante. Nel fascicolo sono conservate alcune fotografie. Una di queste lo ritrae insieme al suo cane sulla soglia del locale da lui gestito in Lussemburgo, mentre le più recenti, in triplice posa, sono state eseguite il 4.8.1942 per conto della polizia fascista dal fotografo A. Terzi di via Paglia 27 a Bergamo. Il 12.8.1947 viene incluso nell’elenco dei confinati politici durante il regime fascista con la qualifica di comunista. Muore in una casa di riposo di Corti di Costa Volpino (Bg) il 9.11.1986. Cpc, b. 2441, 1926-1943, scheda biografica. (L. Citerio, G. Mangini, R. Vittori)